LISTA UNICA E SINISTRA ITALIANA di Felice Besostri

31 agosto 2004

LISTA UNICA E SINISTRA ITALIANA  di Felice Besostri

Riportiamo il testo di Felice Besostri a testimonianza del dibattito interno ai DS sul socialismo europeo. Gravi vizi di forma democratica O il partito riformista (PUR o PRE non è questione di nomi: la socialdemocrazia per eccellenza, quella svedese, si chiama SAP, cioè partito svedese dei lavoratori) si iscrive in queste linee, cioè diviene membro dell’Internazionale Socialista e del PSE, oppure nei DS il progetto prodiano ha bisogno di una vera e propria legittimazione congressuale. Sia ben chiaro la proposta Prodi di una lista unica alle elezioni europee del giugno 2004, come anticipazione di un partito unico del riformismo italiano, è una proposta forte, anzi fortissima. Ha la forza delle proposte semplici, ancorché semplificatrici, addirittura sbagliate. Ha la forza di uno slogan pubblicitario ben inventato ed a livello politico la si può paragonare alle invenzioni del primo Bossi sulla libertà del Nord o alla discesa in campo di Berlusconi. A differenza di queste è una proposta di alta dignità politica e con forti implicazioni, capace nel contempo di parlare al cuore della gente ed anche al loro subconscio. Ci sono parole magiche e fortemente evocative come è la parola “Unità”. Certamente l’esperienza ha mostrato come in nome di idee giuste, come la libertà, si possono commettere molti delitti. Nella storia del movimento operaio e socialista in nome dell’unità, nel secondo dopoguerra mondiale, si realizzarono unificazioni forzate dei partiti socialisti e comunisti, che affossarono ogni ideale progressista e democratico legato alla parola socialismo. Dopo i tormenti del giardino dei ciliegi, gridare “A Mosca! A Mosca!” ha un effetto liberatorio. Era come per noi, allora universitari del nord, in serate uggiose, quando non si sapeva che fare e l’umidità con la nebbia ti penetrava le ossa, la proposta di andare a Genova: “Al mare! Al mare!”, assumeva, ricorda Paolo Conte, una immediata forza propulsiva. La proposta della lista unica e del PUR (Partito unico riformista), del PRE (Partito riformista europeo) per i più ambiziosi (il PRI, Partito riformista italiano, non è agibile perché la sigla è di La Malfa e sa troppo di Prima Repubblica e di proporzionale) è tanto più forte in quanto appare nella più totale assenza di proposte alternative nell’ambito della sinistra, che non sia la tavola rotonda rituale della sinistra alternativa, che è di una noia mortale perché sempre uguale, come diceva Lucio Dalla della musica andina. A sinistra non mancano teoricamente le proposte, ma prive di tempi e di forme precise, rinviate ad una generica rigenerazione della sinistra sotto la spinta dei movimenti e dei Forum Sociali Mondiali ed Europei. In ogni caso lo scenario dell’altra sinistra, non riformista, è ancora dominato dal vetero-conservatorismo di Rifondazione Comunista e dai suoi interessi immediati di partito. La forza della proposta Prodi, con l’interpretazione di D’Alema, sta nel fatto che i no di molti oppositori, come i Verdi ed il PCDI nascano nel nome della conservazione dell’esistente, di uno status quo assolutamente insopportabile e privo di prospettive anche per l’opinione pubblica di sinistra. Una ulteriore forza della proposta, oltre che dell’assenza di proposte alternative a sinistra, deriva dal fallimento degli esperimenti che l’hanno preceduta, come la Cosa 2 ovvero della proposta del Congresso di Pesaro della Costituzione del partito del socialismo europeo. A chi sostiene con entusiasmo il PUR suggerisco, peraltro, nell’interesse del loro progetto di dedicare un po’ di tempo all’analisi delle ragioni dell’insuccesso dei precedenti tentativi. Se non altro perché, almeno nei DS, il gruppo dirigente che dovrà realizzare la lista unica ed il partito riformista è quello stesso responsabile degli altri fallimenti: a) la costruzione del partito del socialismo europeo è abortita, non già prima di nascere, che sarebbe normale, ma prima ancora di essere stata concepita; b) la sconfitta delle politiche del 2001 che si profila come una fotocopia, con qualche spostamento di ruolo nelle foto di famiglia (Veltroni a Roma e Bassolino a Napoli allora, Cofferati a Bologna prossimamente). Michele Salvati che da anni conduce la battaglia del Partito Democratico, prima, e del Partito Riformista, ora, è stato eliminato dal gruppo dirigente che dovrebbe realizzare le sue idee. A me sembra, questo, un bel paradosso. Ogni proposta, se non s'invera in persone che ci credano davvero e se non suscita partecipazione al di là del ceto politico esistente, è destinata a fallire, tanto più in un contesto come quello italiano, in cui il monopolio dell’informazione di massa può essere contrastato soltanto da una accresciuta partecipazione di base. Ricordiamoci che i primi ineguagliati successi della Lega Nord si sono ottenuti con un ostracismo radiotelevisivo totale, contrastato da una efficace comunicazione da persona a persona, sui luoghi di lavori, nei bar o nei circoli, tra la gente. Dunque una tale decisione non può essere presa tra un’intervista ed un’altra: in un paese normale, concetto una volta caro al compagno D’Alema, la proposta stessa non avrebbe fatto un passo se non fosse stata elaborata in un qualche organo di partito democraticamente eletto e sufficientemente rappresentativo. Il percorso di discussione sarebbe iniziato subito a tutti i livelli, anche come iniziativa spontanea. E invece, a fronte di quel leggo sui giornali, mi domando: le unità di base a cosa servono? A registrare i consensi del gruppo dirigente o a cogliere gli umori della società? Decidere per la lista unica ed il partito riformista non è materia che si potrà esaurire nella Direzione, finalmente convocata, né nell’Assemblea dei delegati, per non ripetere la farsa della Conferenza Programmatica di Milano (a proposito che fine hanno fatto i documenti programmatici approvati a Pesaro e a Milano? Che fine hanno fatto i lavori delle Commissioni Ruffolo e Trentin? Ma neppure un referendum tra gli iscritti sarebbe all’altezza delle decisioni da assumere. Soltanto per rinfrescarmi la memoria, perché ritengo che tutti gli altri compagni, specialmente della maggioranza si ricordano cosa hanno votato, trascrivo un passo delle tesi della maggioranza congressuale: “Una sinistra che si pensi nell’Ulivo e voglia, con la sua identità riformista, contribuire a fare dell’Ulivo la casa comune dei riformisti italiani. Una sinistra che – portando a compimento la “svolta” dell’89/91 – si colloca così a pieno titolo nel pensiero e nelle idealità del socialismo democratico, non solo perché affiliata all’Internazionale socialista e al Pse, ma perché esprime e pratica quella cultura politica e programmatica che, da tempo, consente ai partiti socialisti e socialdemocratici europei di assolvere a una funzione dirigente. Con lo stesso spirito accogliamo la sollecitazione di Giuliano Amato a mettere a disposizione le energie del principale partito della sinistra italiana, i DS, per costruire una forza socialista plurima nelle radici, ma unita in un solo partito riformista. Un obiettivo di unità che ci siamo sempre posti e per il quale all’indomani del Congresso si dovrà lavorare senza indugi. D’altra parte le ragioni che a lungo hanno diviso e contrapposto le diverse anime della sinistra stanno alle nostre spalle. La storica contrapposizione tra movimento comunista e socialdemocrazia è stata risolta dal crollo del Muro di Berlino e dal riconoscimento che l’esperienza del riformismo socialdemocratico è l’unica sinistra che ha vinto le sfide della società contemporanea. Le divisioni politiche che a lungo hanno contrapposto PCI e PSI sono anch’esse consegnate alla storia e oggi gli eredi di quei partiti si riconoscono in comuni valore e idealità, appartengono alle stesse organizzazioni socialiste internazionali, stanno insieme nell’Ulivo.” Di qui si deduce facilmente che: o il partito riformista (PUR o PRE non è questione di nomi: la socialdemocrazia per eccellenza, quella svedese, si chiama SAP, cioè partito svedese dei lavoratori) si iscrive in queste linee, cioè diviene membro dell’Internazionale Socialista e del PSE, oppure nei DS il progetto prodiano ha bisogno di una vera e propria legittimazione congressuale. La sostanza della questione In questa situazione, in cui è in gioco il futuro dell’Europa, con l’allargamento a est, e con i socialisti al Governo nei tre paesi più importanti dell’Europa centro-orientale, cioè Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, In questa situazione, in cui sono in gioco le relazioni dell’Europa con gli USA, a me non sembra per nulla opportuno indebolire lo schieramento progressista europeo, tanto più in presenza di forti tensioni etniche e religiose e dei segni di una rinascita di attivismo fascista, neonazista e razzista, con episodi di violenza politica come l’assassinio della campagna socialdemocratica svedese Lindh. Al di là del punto di vista formale, sul piano sostanziale i sostenitori della nuova linea dovrebbero spiegare per quali ragioni in questi anni che ci dividono da Pesaro i partiti socialisti e socialdemocratici europei non sono più in grado di “assolvere ad una funzione dirigente” e cosa sia avvenuto in Italia, in Europa e nel mondo affinché si giustifichi l’abbandono del giudizio e del riconoscimento, che “l’esperienza del riformismo socialdemocratico è l’unica sinistra che ha vinto le sfide della società contemporanea”. Queste risposte devono essere date: non si può lasciare nell’ombra una questione così importante come quella della famiglia politica del futuro partito riformista: da subito, del gruppo del Parlamento Europeo al quale si iscriveranno gli eletti della lista unica. Prima del crollo del sistema comunista, tre famiglie politiche europee con proiezione internazionale si dividevano la scena, sia pure con una presenza non sempre omogenea ed equilibrata: i comunisti, i democristiani ed i socialisti. I primi presenti nel blocco orientale ed in quello occidentale soltanto in Italia con una certa rilevanza. I secondi distribuiti in tutta Europa, con l’eccezione della Gran Bretagna e della Spagna e dei paesi scandinavi, dove erano soltanto una componente dello schieramento borghese. I socialisti, infine, si caratterizzavano come la forza politica di maggioranza relativa nell’Europa Occidentale. Ebbene, i comunisti si sono dissolti come forza significativa. Sopravvive tuttavia in Europa una sinistra alternativa ed antagonista, da valutare tra il 5 ed il 10%, di cui spesso sono parte partiti neo-comunisti. I democratici cristiani si sono trasformati nel coagulo conservatore alternativo alla sinistra sotto la spinta egemonica della CDU/CSU tedesca, cui non faceva più da contrappeso la DC italiana. Essi perseguono l’obiettivo conclamato di acquisire la supremazia in Europa rispetto ai socialisti; di qui l’allargamento alle forze conservatrici e di destra, come i popolari spagnoli, Forza Italia ed i conservatori inglesi. Colpo riuscito, ma al prezzo di cancellare ogni identità democratica cristiana o cristiano sociale che fosse. I socialisti, invece, pur alle prese con le crisi del Welfare stato sociale, si sono espansi all’Europa Centrale ed Orientale, senza cambiare la loro natura. E allora ripeto la domanda: per quali ragioni i partiti socialisti e socialdemocratici europei non sarebbero più in grado di assolvere alla "funzione dirigente” che gli è stata attribuita a Pesaro? In questa situazione, in cui è in gioco il futuro dell’Europa, con l’allargamento a est, e con i socialisti al Governo nei tre paesi più importanti dell’Europa centro-orientale, cioè Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, In questa situazione, in cui sono in gioco le relazioni dell’Europa con gli USA, a me non sembra per nulla opportuno indebolire lo schieramento progressista europeo, tanto più in presenza di forti tensioni etniche e religiose e dei segni di una rinascita di attivismo fascista, neonazista e razzista, con episodi di violenza politica come l’assassinio della campagna socialdemocratica svedese Lindh. I partiti socialisti hanno conosciuto sconfitte elettorali in Europa, in Francia e Portogallo, ma hanno anche riportato vittorie significative in Germania, Svezia e nei sopraricordati paesi dell’Europa Centrale ed Orientale. La socialdemocrazia sciogliere grossi nodi, nessuno vuole negarlo, e lo scenario internazionale, soprattutto la guerra in Iraq ha provocato profonde divisioni nel suo seno. Tuttavia un conto è ragionare intorno ai problemi della socialdemocrazia ed un altro è ritenere sulla scorta di un pensiero conservatore, condiviso da Prodi e da certo cattolicesimo di sinistra, che il crollo del Comunismo debba significare anche la fine del socialismo democratico come di ogni ipotesi collegata ad una società con marcati connotati di eguaglianza e protezione sociale e con un forte intervento pubblico nello sviluppo economico e nella regolazione dei mercati. Felice Besostri è Membro della segreteria nazionale della FSIS-DS, della Direzione regionale lombarda dei DS, coordinatore regionale lombardo di Socialismo 2000

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