L'INTERNAZIONALE LIBERISTA Reti, fondazioni e strategie di egemonia in Italia. di Marcello Crescenzi del 12 novembre 2025
12 novembre 2025
Per
rendere utile e questa relazione anche a chi è meno addentro alle questioni, è
bene partire dalle condizioni a monte degli attori in questione, poiché esse
informano le loro azioni e i loro scopi fino a oggi. Il modello di lavoro di
questi apparati infatti si definisce, affina e realizza fin dall'immediato
dopoguerra con modalità e dinamiche di influenza che si reiterano ugualmente da
una generazione all'altra, in soggetti diversi dagli stessi intenti ma anche da
soggetti rimasti immutati da decenni, oggi si direbbe “nascosti in bella
vista”.
1.
Premesse ideologiche: il neoliberismo contro la democrazia
Tutte le tradizioni economiche liberali del Novecento hanno avuto come
obiettivo indiretto la demolizione della democrazia così come noi — e gran
parte delle costituzioni del dopoguerra — la intendiamo: un sistema
rappresentativo degli interessi collettivi, intermediato da corpi e strutture
ai quali il cittadino può e deve partecipare, nell’interesse proprio e altrui.
L’ambiguità con cui i liberali utilizzano — o brandiscono come un randello — la
parola “democrazia” è voluta, per sviare da un’accezione partecipativa del
termine verso una loro accezione individualista.
Ludwig
von Mises, già nel 1919, chiarisce che per lui la democrazia consiste nella
capacità dell’individuo di autodeterminarsi al riparo da qualsiasi vincolo
statale. La sua è un’accezione di democrazia negativa: una visione che nega
l’inclusione dell’individuo nella società. Per von Mises, la democrazia è “the
right to exit”, il diritto a chiamarsi fuori e a darsi regole proprie. È
evidente che, in una società segnata da profonde disuguaglianze come quella del
primo Novecento, questa visione porta logicamente al fatto che solo chi
possiede già risorse ha la possibilità concreta di autodeterminarsi. Gli altri,
inevitabilmente, subiscono uno stato di cose deciso de facto da un’aristocrazia
del capitale — non più di sangue — ispirata al modello anglosassone degli Old
Whigs.
Friedrich
von Hayek, successivamente, estende ulteriormente questo perimetro negativo.
Già nel secondo dopoguerra, osservando l’ascesa delle democrazie popolari,
teorizza che la democrazia possa essere utile al governo delle cose, ma non sia
necessaria. Essa serve solo come strumento di disciplina della società, come
timone dello status quo, in cui il soggetto privato, dotato di capitale,
gestisce tutti i processi attraverso una Rule of Law calibrata su questa
logica. Al contrario, una democrazia partecipativa e popolare può condurre al
socialismo, cioè alla sottrazione di potere al capitale, e va quindi
scongiurata con ogni mezzo. Negli anni Settanta arriverà a sostenere
apertamente che è preferibile una dittatura improntata al capitalismo piuttosto
che una socialdemocrazia, esprimendosi a favore del regime di Pinochet in Cile.
Milton
Friedman, con gli economisti della Scuola di Chicago — poi noti come Chicago
Boys — porta negli anni Settanta a compimento la traiettoria tracciata
dagli austriaci tra le due guerre mondiali. Dopo aver ricevuto il Nobel per
l’economia, legittimato da un riconoscimento a dir poco interessato, influenza
profondamente le politiche economiche del mondo angloamericano, in particolare
con Margaret Thatcher e Ronald Reagan. La Thatcher porterà persino i testi di
von Hayek in audizione al Partito Conservatore quando ne fu eletta segretaria.
Per Friedman, un modello ideale era rappresentato dalle Zone Economiche
Speciali (ZES) cinesi come Hong Kong: territori senza rappresentanza, senza
sindacati, senza regole se non quelle dettate dagli investitori. In questi
contesti, la democrazia viene completamente sostituita da una struttura
estrattiva, residuo del colonialismo, dove il capitalismo opera indisturbato.
Questi
tre personaggi chiave del pensiero liberista contemporaneo — o più
correttamente neoliberista, in quanto seconda generazione dopo gli economisti
classici del XVIII secolo — sono tutt’oggi i riferimenti teorici dei grandi
apparati di moral suasion e lobbying. Da ciò possiamo dedurre quale idea di
“democrazia” essi promuovano e quanto, ontologicamente, i liberali siano nemici
di classe, privi di un terreno comune con i socialisti.
2. Infiltrazione
culturale e istituzionale nel dopoguerra italiano
Nel dopoguerra italiano si
assiste a una proliferazione di organismi associazionistici e fondazioni
dall’agenda opaca, finanziati e promossi da entità ancora più opache: dalla
Confindustria a facoltosi ex membri del Partito Nazionale Fascista, fino ai servizi
segreti statunitensi — come il celebre e onnipresente Congress of Cultural Freedom — e alla Fondazione Ford.
Lo
scopo di quasi tutte queste realtà è produrre teorie e strumenti per formare
personale politico e dirigenziale da inserire all’interno della filiera
democratica, culturale e istituzionale, al fine di smontarla dall’interno,
delegittimare le istanze sociali e sabotare i partiti che ne sono portatori. In
un’Italia violentata dal ventennio fascista e ritrovatasi convintamente nella
Costituzione, lo sforzo per delegittimare i partiti che maggiormente vi hanno
contribuito è stato incessante e su due fronti: da un lato, la demolizione
culturale dei capisaldi economici e sociali attraverso articoli e libri;
dall’altro, la disarticolazione organizzativa e l’esclusione dei
rappresentanti.
Tra
le moltissime realtà operanti in tal senso, merita attenzione il famigerato
CESES — Centro ricerche Economiche e Sociologiche dei Paesi dell’Est. Fondato a
Milano all’inizio degli anni Sessanta con finanziamenti di Confindustria, da
Renato Mieli — ex agente dei servizi segreti inglesi durante la guerra e poi
uomo di fiducia di Togliatti nel PCI — il CESES fu per vent’anni una delle
principali piattaforme di diffusione delle idee controrivoluzionarie, liberiste
e anticostituzionali del secondo dopoguerra. Dietro una apparente terzietà e un
interesse specioso verso il blocco orientale, il centro studi promosse seminari
sugli economisti dissidenti sovietici di stampo liberista, propaganda
anticomunista mascherata da analisi sociologiche, teorie sull’automazione
industriale e, in anni più recenti, fu persino luogo di aggregazione del
primissimo movimento federalista di Gianfranco Miglio, che influenzò molti
giovani dirigenti comunisti lombardi e contribuì alla nascita della Lega
Lombarda. Milton Friedman parlando del CESES, di cui era un collaboratore,
disse “Il CESES è la Mont Pelerin dell'est”, affermazione quantomai sensata
visto che Mieli entrò a far parte della MPS dopo essere fuoriuscito dal PCI. Il
Centro studi fu il primo avamposto per lo sbarco in Italia delle teorie della
New Right incarnata da Friedman, di cui tradusse opere insieme a quelle di
Hayek e altri. LA caratteristica che lo rendeva atipico agli occhi della destra
statunitense e della stessa Confindustria era che fosse popolato da gente attiva
o che era stata attiva nelle organizzazioni di sinistra, come ad esempio Carlo
Ripa di Meana e Giorgio Galli.
Luciano
Gallino, in una delle sue ultime interviste, ricorda come le idee del neoliberismo in Italia
furono introdotte di sottecchi, sotto una patina di anticorporativismo e di
efficientamento delle forze produttive, proprio nel CESES, dove si formarono
molti giovani dirigenti destinati a diventare quadri nazionali nei partiti di
sinistra. È interessante notare che Renato Mieli, mentre dirigeva il CESES, fu
tra i promotori — assieme ad alcuni dirigenti del SIFAR — del famigerato
“Convegno sulla guerra rivoluzionaria” all’Hotel Parco dei Principi di Roma nel
1965, considerato il Big Bang della strategia della tensione. In
quell’occasione si iniziarono a tessere rapporti tra apparati militari, servizi
segreti, neofascisti e intellettuali che avrebbero portato a decenni di eversione
violenta. Nella sua relazione, guarda caso, Mieli affrontò il tema
dell’infiltrazione e deviazione dei partiti socialisti e comunisti attraverso
membri di organizzazioni politiche in dissenso con le linee ufficiali. Una
vita, quella di Renato Mieli (padre di Paolo), dedicata al sabotaggio della
democrazia come intesa dai socialisti e a totale vantaggio del capitalismo
angloamericano.
2. La rete
transnazionale: Mont Pelerin Society, Atlas Network e Heritage Foundation
Questo pregresso storico era
essenziale da ricostruire per comprendere come queste esperienze, che pur
essendo dannose già all’epoca comunque rimanevano relativamente esterne alla
decisione politica, siano da decenni entrate dalla porta principale delle istituzioni.
Oggi plasmano il dibattito pubblico seguendo fedelmente le linee guida di
Mises, Hayek, Friedman e della Mont Pelerin Society.
Ha
destato scalpore la rivelazione su Report di Rai Tre della vasta rete di
rapporti locali e internazionali della Heritage Foundation americana, vicina a
Steve Bannon, attiva in Italia come nel resto d’Europa. Ma questa è solo
l’ultima — e forse la più muscolare — operazione di retrovia dell’offensiva
liberista contro la democrazia partecipativa. Fondata nel 1973 come progetto
parallelo dalla stessa Mont Pelerin Society, la Heritage Foundation è stata artefice dell’agenda Reagan prima e Bush poi, chiarendo
ulteriormente quanto sia cruciale comprendere almeno in linea generale i
pregressi che hanno condotto alla situazione attuale.
Oltre
alla Mont Pelerin Society, merita attenzione il potente Cato Institute, think tank
finanziato dai fratelli Koch e fondato, tra gli altri, da Murray Rothbard.
L’istituto ha un profilo accademico molto elevato e annovera tra i suoi membri
professori universitari, banchieri, dirigenti di multinazionali come FedEx,
Gillette, Barclays, e altri. Le figure coinvolte in queste realtà occupano
posizioni chiave a tutti i livelli: lobbisti del complesso
militare-industriale, CEO di fondi speculativi, consulenti economici di
governi, direttori di dipartimenti universitari di atenei prestigiosi, e così
via.
In
Italia, altre realtà di assoluto interesse sono le diramazioni dell’Atlas
Network, una rete di think tank
coordinati tra loro, per i quali l' Atlas Network — che prende il nome dal
romanzo-totem “Atlas Shrugged” della libertaria soggettivista Ayn Rand —
funge da raccordo e rete di supporto. La fondazione offre premi annuali,
servizi di amministrazione, coordinamento dei contenuti e, naturalmente,
donazioni.
3. L’internazionale
liberista in Italia: think tank, media e partiti
Tra i think tank italiani
affiliati all’Atlas Network, spicca l’Istituto Bruno Leoni, realtà liberista
che negli anni ha saputo attestarsi presso governi di ogni colore, sia a
livello locale che nazionale, offrendo consulenze e talvolta ricoprendo ruoli ufficiali.
Ne sono esempio gli economisti Carlo Stagnaro e Serena Sileoni, che hanno
ricoperto incarichi di consulenza economica rispettivamente nei governi Draghi
e Renzi. Attorno all’Istituto Bruno Leoni — fondato e presieduto da Franco De
Benedetti, e intitolato a uno dei primi membri italiani della Mont Pelerin
Society — ruotano figure influenti della finanza e dell’accademia. Vi si sono
avvicendati personaggi come Sergio Ricossa e Tito Tettamanti, ma anche giovani
giuristi come Vitalba Azzolini, collaboratori editoriali sotto una patina di
neutralità. Tra i suoi fellows internazionali figura José Piñera, consulente
economico del regime di Pinochet. Gli eventi dell’Istituto sono frequentati da
un notabilato italiano trasversale, spesso presente sui giornali anche senza
titoli specifici: da Cottarelli a Burioni, da Anna Paola Concia a Giulia
Pastorella, da Pietro Ichino a Luigi Marattin, un sottobosco di opinionisti “di
sinistra” che hanno ricoperto ruoli pubblici e apicali, una buona ricognizione
sul tema venne fatta pochi anni fa su Jacobin Italia da Giuliana Freschi e
Demetrio Guzzardi col titolo “I manipolatori occulti”
Negli
ultimi dieci anni, l’Istituto ha organizzato un evento al mese, coinvolgendo
4-5 figure ogni volta, spesso in sedi istituzionali come università pubbliche e
fondazioni, con partner come Bocconi e Bicocca. In alcune conferenze sono
intervenuti personaggi come Federico Sturzenegger, attuale ministro
dell’economia argentino, in eventi dal titolo esplicito come “Come si
deregolamenta un Paese”. È importante sottolineare, per rimarcare la solidità
del tessuto di queste realtà, come membri dell’Istituto Bruno Leoni siano al
contempo affiliati anche al Cato Institute e alla Mont Pelerin Society — tra
cui José Piñera, Alberto Mingardi e Carlo Stagnaro — e come l’Istituto sia
diventato la piattaforma di sbarco per le pubblicazioni di queste fondazioni
straniere. In particolare, ha avuto un ruolo centrale nella normalizzazione del
negazionismo climatico e nella promozione della liberalizzazione delle armi da
fuoco, fornendo i testi di riferimento nelle loro edizioni italiane.
Una vera e propria
“Internazionale liberista”, dunque: ramificata, organizzata, influente e opaca
per chi non è addetto ai lavori, alla quale afferisce una parte consistente
dell’élite finanziaria ed economica mondiale, direttamente come membri o come
sodali e collaboratori. Questa rete si è fatta strada dai margini del dibattito
pubblico, avanzando a suon di lobbying, infiltrazioni e normalizzazioni. È
recentissima, ad esempio, la serie di incontri sul “Miracolo di Milei”,
tenutisi a ridosso e anche dopo l’elezione del presidente argentino. Se le
prime iniziative sono state promosse da realtà organizzate affini al tema —
come l’associazione Liberi Oltre — le successive hanno coinvolto personaggi non
formalmente riuniti, ma accomunati dalla stessa agenda: anti-statale,
anti-welfare, pro-privatizzazione, pro-spese militari e fortemente atlantista.
Notevoli le presenze di Luigi Marattin in veste di segretario del suo nuovo
mini-partito liberaldemocratico, ma anche di tutto un mondo sempre presente —
online e in presenza — a questi incontri, che va dalla redazione de Il
Riformista a quella de Il Foglio, a dimostrazione di come opinioni un tempo
marginali siano oggi diventate comuni, sdoganate e non più percepite come parte
di una oscura macchinazione di fondazioni e think tank.
In
chiave minore, si segnala la giovane realtà dell’Istituto Liberale, vincitore
per due anni consecutivi di un finanziamento dall’Atlas Network come miglior
nuova realtà italiana. Vi è poi il movimento politico Liberi Oltre le
Illusioni, che annovera al suo interno figure già affiliate con l’Istituto
Bruno Leoni o direttamente con le fondazioni d’oltreoceano, come Mingardi,
Boldrin, Lottieri e altri. Oggi, una parte di questo movimento è confluita nel
piccolo partito Drin Drin, capeggiato da Michele Boldrin. Non può mancare la
Fondazione Einaudi di Roma, per decenni organo di riferimento del Partito
Liberale Italiano, oggi divenuta una piattaforma istituzionale per raccogliere
iniziative provenienti dal mondo associazionistico liberista, nazionale e internazionale.
Vanno menzionate anche la fondazione Magna Carta, una delle relatà dietro la
formazione di tantissima dirigenza del centrodestra italiano dei primi anni
duemila e la enigmatica Astrid, una associazione che si occupa in maniera molto
più riservata della fomrazione di personale politico e dirigenti pubblici.
Per chi ha voglia di tenere il
filo delle cose, è evidente come le realtà in appoggio all’agenda liberista e
neoconservatrice delle grandi fondazioni d’oltreoceano seguano sempre la stessa
struttura piramidale e siano animate dagli stessi protagonisti. Dalle
fondazioni madre si diramano le loro omologhe italiane — Istituto Bruno Leoni,
Liberi Oltre, Istituto Liberale, Fondazione Einaudi — al cui interno ritroviamo
spesso gli stessi nomi, italiani e stranieri, associati tra loro in più di una
di queste realtà. Scendendo ancora, troviamo le piattaforme mediatiche di
riferimento, che occasionalmente coincidono con i maggiori quotidiani nazionali
— dal Corriere della Sera a Repubblica, da La Stampa a Il Giornale e Libero —
ma più specificamente si identificano con testate come Il Riformista,
Linkiesta, Formiche e soprattutto Il Foglio, che funziona quasi come una
fondazione a sé stante. Queste pubblicazioni si sostengono con modalità non
sempre trasparenti: se è vero che in alcuni casi, come Il Foglio, si sopravvive
distraendo fondi pubblici con stratagemmi al limite della legalità, per altre
rimane il dubbio su chi le mantenga, visto che testate come Linkiesta
presentano bilanci costantemente in passivo. Quest’ultima è attiva anche come
casa editrice e pubblica in Italia testi di autori della sfera neocon americana
come Robert Kagan e accademici antisocialisti come Paul Hollander, teorico
della parificazione tra nazismo e comunismo.
Alla
base di tutto questo sistema si trovano, a vario titolo e con gradi diversi di
consapevolezza, personalità pubbliche e intellettuali, come accadde nelle prime
operazioni del Congress for Cultural Freedom: se Ignazio Silone e Altiero
Spinelli erano consapevolmente a libro paga della CIA, altri come Italo Calvino
e Carlo Levi furono coinvolti e cooptati probabilmente senza piena
consapevolezza. Oggi, tra i decisori politici di ogni spettro, troviamo i
cosiddetti riformisti del PD, giornalisti delle testate citate, dirigenti come
Chicco Testa e Anna Paola Concia, ex sindacalisti come Marco Bentivogli, e un
certo opinionismo presentato come neutro — quando non “progressista” — nelle
frequenti ospitate su giornali e televisioni: da Paolo Mieli a Ernesto Galli
della Loggia, da Federico Rampini a Sofia Ventura.
4 . Conclusioni, spunti
e prospettive
Questa panoramica, che non
pretende di essere esaustiva né accademica, vuole offrire un primo approccio a
una delle conformazioni più tossiche e meno riconosciute della vita politica
italiana: un sistema nato nella Prima Repubblica, organicizzato nella Seconda e
oggi pienamente visibile. Lo scopo di questa rete — perlopiù organizzata, ma
anche composta da realtà in dialogo e formalmente indipendenti, come le tante
associazioni lib-dem (Libertà Eguale, Ottimisti e Razionali, Tenda Riformista,
Circolo Matteotti, ecc.) — non è solo infiltrare figure nella macchina pubblica
per disorganizzarla e piegarla all’interesse privato, ma anche produrre
letteratura, dispositivi retorici, testimonial influenti e propaganda su più
livelli, per colpevolizzare certe istanze e normalizzarne altre in contrasto
con l’interesse pubblico.
Nei
decenni del dominio neoliberale — i “lunghi Novanta”, come li definisce Phillip
Wegner prendendo in esame dal 1989 al 2001 ma lo spazio di tempo si allunga
fino a oggi — il dibattito a sinistra è stato talmente schiacciato su slogan e
nozioni provenienti dal mondo neoliberale da non essere quasi più in grado di
accorgersi del proprio fallimento, producendo in serie una falsa coscienza, per
usare un termine marxista. L’equazione libertà = individualismo, benessere =
consumo e crescita illimitata, la dfiniszione di tutto attraverso il merito, il
mercato come entità razionale, il rifiuto delle sovranità nazionali in favore
di un atlantismo acritico: sono oggi idee dominanti, ma informate da una lotta
costante — interna ed esterna — contro il socialismo, dal dopoguerra a oggi, e
dal conformismo di una classe intellettuale che ha trovato riconoscimento e
attestazione in consorterie informate da questi dogmi e che spesso vengono
finanziate per reiterarli. Il lungo ed eterogeneo percorso iniziato dagli anni sessanta
dalle forze liberal-capitaliste per spostare con strumenti ibridi di politica
attiva, violenza organizzata e soft power, prima le lotte sociali dal
“noi” al “me” e poi dal “me contro di te” trova una realizzazione plastica
nell'azione di queste realtà.
Il
crollo della struttura di massa dei partiti ha fatto sì che tutta la
teorizzazione interna, l’evoluzione ideologica e il dibattitoche prima venivano
prodotti internamente fossero dapprima infiltrati e poi sostituiti da agenti
portatori di interessi. Nella convulsione degli eventi, che lascia ai dirigenti
confusi solo il presente immediato come oggetto di interesse, si è finiti per
appaltare tutto l’apparato culturale, economico e sociale a consulenti esterni,
e quindi a realtà come queste fondazioni. In fondo, si tratta di una replica in
scala minore di quanto accaduto con l’apparato pubblico, con interi settori
esternalizzati a società con interessi propri come McKinsey, Accenture,
Deloitte — spesso esse stesse partner dei think tank citati.
In
questo contesto, sarebbe auspicabile che le realtà associative e culturali di
sinistra si dotassero di strumenti analoghi, capaci di produrre pensiero,
formare quadri, influenzare il discorso pubblico e costruire alleanze. Non si
tratta di imitare le logiche del potere neoliberale, ma di riconoscere la
necessità di una contro-egemonia strutturata, capace di agire con continuità e
visione strategica. Formare dirigenti, approntare dossier economici e sociali
da presentare dove si presentase l'opportunità, arrivare a candidare dei nostri
membri in liste civiche o in federazioni locali di partiti affini, scrivere
dove possibile su giornali di area ma anche di grande diffusione, organizzare
convegni e creare contenuti (o partecipare alla creazione di contenuti altrui)
facilmente condivisibili e virali, partecipare a podcast.
La
sfida è ardua ed esiziale, ma vale la pena provarci. Coinvolgere quante più
realtà possibili, costruire reti di solidarietà e pensiero critico, recuperare
la dimensione collettiva della politica e riattivare il legame tra cultura e
trasformazione sociale sono passi fondamentali per contrastare l’egemonia
neoliberale e restituire senso alla democrazia partecipativa.
5.
Bibliografia tematica consigliata.
·
Marco D'Eramo Dominio:la guerra invisibile dei potenti contro i
sudditi (Feltrinelli 2020)
·
Quinn
Slobodian Il capitalismo della
frammentazione: gli integralisti del mercato e il sogno di un mondo
senza
democrazia (Einaudi 2023)
·
Philipp E.
Wagner
Life Between Two Deaths, 1989–2001: U.S. Culture in the Long Nineties (Duke
University Press 2009)
·
Frances S. Saunders
La guerra fredda culturale. La CIA e il mondo delle lettere e delle arti. (Fazi
Editore 2004)
·
David Harvey
Breve storia del Neoliberismo (Il saggiatore 2007)
·
Nancy MacLean Democracy in Chains: The Deep
History of the Radical Right’s Stealth Plan for America (Viking
Press, 2017)
·
Mattia Diletti I think tank: le fabbriche del pensiero in America
e in Europa (Il Mulino 2009)
·
Johanna
Bockman Markets in the Name of
Socialism (Stanford Univerisyty Press 2011)
·
Marco Revelli Le due destre (Bollati Boringhieri 1996)
Marcello Crescenzi
12 novembre 2025