LIBERTA' E (O) DEMOCRAZIA? di Alberto Benzoni
23 gennaio 2018
Il nostro carissimo amico e compagno Antonio Landolfi usava chiamare il "secolo lungo", aperto con la fondazione della Seconda internazionale e chiuso con la caduta del muro di Berlino e con il trattato di Maastricht e la nascita dell'euro,"secolo socialdemocratico". Magari esagerava; magari la sua volontà di ottimismo faceva premio sul pessimismo dell'intelligenza. Più giusto chiamarlo "secolo liberal-democratico", prima con il trattino e poi senza. Nel senso della progressiva costruzione di una visione del mondo sostanzialmente condivisa. Da una parte inscindibilità di un percorso volto a garantire, insieme, libertà individuali e diritti collettivi. Dall'altra riconoscimento reciproco del carattere sacrale del mercato - come base del migliore sistema economico possibile - e del suffragio universale - come base del miglior sistema politico possibile.
Oggi, questo legame che appariva acquisito per sempre (anche per la sconfitta totale dei suoi nemici) si sta allentando. Cresce il coro di coloro che affermano, correttamente peraltro, che non si può avere nel contempo sovranità nazionale, democrazia e globalizzazione. Opinione ampiamente confermata dal fatto che le democrazie illiberali diventano sempre più illiberali mentre le liberaldemocrazie sempre meno democratiche.
Negli ambienti della sinistra socialista- che è poi il nostro- non mancano le spiegazioni di questo fenomeno: che prendono in conto le crescenti insofferenze del capitalismo finanziario globale per i "lacci e lacciuoli"che lo legavano e alla democrazia e allo stato nazionale; e, insieme, la funzionalità a questo disegno dell'Europa così com'è, delle sue istituzioni e delle varie sinistre di governo. Tutto vero; con l'aggiunta che l'insofferenza per la democrazia è giunta sino a rimettere in discussione la sacralità del suffragio universale. Così i "liberal-chic" d'oltreoceano (dove, per inciso, tutte le 493 contee a più alto livello di reddito procapite hanno votato in massa per Hillary mentre nella stragrande maggioranza delle altre ha prevalso Trump) cominciano a ripetere ad alta voce quello che aveva scritto Beatrice Webb (non a caso, da riformista autoritaria, grande ammiratrice della Russia di Stalin) negli anni trenta; leggi che "la democrazia non può essere la moltiplicazione di opinioni ignoranti". Così le èlites europee occidentali; a partire da quelli che, per gli stessi motivi, intendano rimettere in discussione il voto britannico, per finire con i liberalchic di casa nostra, il cui disprezzo per il popolo bue non ha più limiti.
Naturalmente rinnegare il suffragio universale, almeno in Europa, è impensabile. E, allora, si tratta di sminuire il valore del voto; come disincentivo per chi intendesse pervicacemente esercitarlo in futuro. Ecco, allora, il ritorno obbligato alle grandi coalizioni come unica garanzia per la sopravvivenza del sistema. E ancora il non tenere in minimo conto i risultati di un referendum. Ed , infine, il valutare i voti espressi non in funzione della loro quantità ma della loro qualità: Calenda, la Bonino e Gentiloni promossi a protagonisti essenziali di un futuro obbligato; il M5S, parte della coalizione di centro-destra (Salvini cattivo, Berlusconi statista) e tutta l'opposizione di sinistra reietti come colpevoli di ignoranza se non di manipolazione, primitivismo ideologico e di rancori personali.
Miserie. Ma miserie che si inseriscono in processi di fondo che un pò dappertutto nel mondo, tendono a separare i valori, sempre più appetibili, delle libertà personali da quelli, sempre meno percepiti, dei diritti collettivi. Processi in cui la sinistra ha responsabilità pesantissime.
Così in Italia siamo arrivati vicini al punto di rottura: pubblicità, politiche di governi, posizioni dei media tendono a farti credere che come individuo puoi potenzialmente fare tutto: diventare non solo sano ma anche bello, arricchirsi in breve tempo, aprire una start up, essere felici, costruirti la tua pensione, trovare un lavoro, viaggiare in tutto il mondo, cambiare la vita intorno a te, parlare di tutto con tutti e così via; mentre dalle istituzioni e dalla politica non puoi e non devi attenderti nulla e nemmeno il riempimento delle buche della strada in cui vivi.
Frutto di tutto questo i sondaggi di opinione che mettano al primo posto l'indignazione per i vitalizi: un campo aperto per chi denuncia l'inutilità della politica e l'incompetenza e la corruzione di chi l'esercita e svaluta di continuo il ruolo del pubblico stendendo un velo complice sulle manchevolezze e le ingiustizie del privato.
Ma l'Italia, attenzione, è solo la punta di un iceberg. Di un mondo in cui, soprattutto ma non solo negli Stati uniti, un appartenente alla classe media (definita qui solo in termini di reddito al di fuori di qualsiasi accezione politico-sociologica) ha un accesso sempre meno costoso ai beni di consumo individuale mentre deve spendere molto di più (anche in termini di possibilità di accesso) per la sanità e l'istruzione. Il che erode alla base l'adesione al "welfare universale": un sistema finanziato e fruito da un numero sempre minore di persone.
E dunque puoi - almeno così ti si dice - ottenere tutto dalla libertà; ma sempre meno dalla democrazia. Un messaggio perfettamente percepito dai "millennials"che, interrogati su cosa significasse per loro l'Europa rispondono in maggioranza "Pace" e "Libertà di viaggiare" mentre relegano in fondo le istituzioni e il modello economico-sociale.
Tutta colpa dell'ordoliberismo e della subalternità ai suoi dettami delle varie sinistre di governo? Forse in tutto questo c'è qualcosa di più: una globalizzazione che siamo ancora incapaci non dico di padroneggiare ma almeno di capire; la crescita prepotente di un individualismo che nasce anche da un 1968 distruttore di qualsiasi principio di autorità; e, infine,e questo ci riguarda direttamente, il degrado, sino alla perdita di credibilità, degli strumenti e delle istituzioni che avevano accompagnato la nostra crescita dalla seconda metà dell'ottocento fino a buona parte del secolo scorso.
Ora, si dà il caso che il mondo degli enti locali e delle loro strutture operative, delle cooperative del sindacalismo e dell'associazionismo di base e di scopo sia quello in cui le ragioni e le speranze della democrazia sono percepite con maggiore evidenza. E che questo mondo risponda sempre meno al richiamo della sinistra: in negativo perché, con l'andar del tempo, appare sempre più omologato al sistema esistente e dimentico dei suoi obbiettivi iniziali ; in positivo perché cresce e si organizza al di fuori di qualsiasi rapporto con il sistema dei partiti e la sinistra tradizionale.
Difficile, molto difficile che l'attuale sinistra di governo, nell'insieme, sempre più verticistica ed elitaria e, oltre tutto, totalmente dimentica della sua funzione tribunizia possa restituire il suo valore alla democrazia; almeno nel senso di qualcosa la cui importanza torni ad essere percepita nella vita delle persone e delle collettività.
Ma se non lo farà e se non sorgerà una nuova sinistra in grado di farlo , la maggiore libertà significherà maggiore disuguaglianza e il popolo, privato di ogni potere, perderà ogni residua fiducia nella democrazia e nelle istituzioni oscillando tra passività rancorose e periodici conati di ribellione, riconducendoci a tempi lontani che ritenevamo superati per sempre.
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