L'EUROPA DEL DOPO BOLKESTEIN - di Domenico Siniscalco da La Stampa del 20 febbraio 2006
27 febbraio 2006
Il Parlamento europeo, riflettendo le forti proteste scoppiate nei Paesi della vecchia Europa, ha molto annacquato la cosiddetta direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi. Con piena ragione i media europei hanno parlato di liberalizzazione a metà. Il testo approvato giovedì, infatti, attraverso molte deroghe (medici, notai, finanza, prestazioni sociali) e l'abbandono dei più importanti principi del progetto originario, incide poco sull'esistente e avrà effetti limitati sulla concorrenza. Inoltre, l'iter della direttiva, che deve ora tornare alla Commissione europea, ne ritarderà l'applicazione al 2009-2011. In sintesi, troppo poco e troppo tardi in un mondo che cambia rapidamente. La direttiva, che era stata disegnata in modo coraggioso dal liberale olandese Frits Bolkestein, ex commissario europeo, doveva rappresentare il completamento del mercato unico europeo sul fronte dei servizi. Un risultato così timido, pur voluto da molte fasce della popolazione europea, deve indurre serie riflessioni.
La prima riflessione è di carattere economico. La mancata liberalizzazione incide negativamente sul tasso di crescita potenziale dell'economia, perché deprime il consumo, attraverso gli alti prezzi, e frena la dinamica della produttività nei servizi che sono ormai la parte preponderante delle nostre economie. Di fronte alle sfide della globalizzazione, è dunque del tutto probabile che l'Europa continui a divergere crescendo assai meno delle altre aree, a partire dagli Stati Uniti.
La seconda riflessione è sul piano sociale. Le reazioni popolari contro il progetto originario di direttiva, soprattutto nel cuore dell'Europa continentale, dimostrano ancora una volta che amplissimi settori della società europea hanno un desiderio di protezione dalla concorrenza, piuttosto che di efficienza e bassi prezzi: senza ricordare che ogni protezione dei produttori corrisponde a uno sfruttamento dei consumatori. Ma, se queste sono le preferenze dei cittadini elettori, è del tutto naturale che il Parlamento europeo e i governi nazionali le facciano proprie contro i piani della Commissione, accusata di essere ultraliberista e tecnocratica. Riflettere le preferenze dei cittadini è l'essenza della democrazia. Se i cittadini scelgono la lenta crescita pur di essere protetti sul posto di lavoro, benissimo. Purché sia chiaro che si tratta di una scelta politica. Queste constatazioni aprono tuttavia una questione più profonda, innanzitutto sul piano europeo.
Il «no» francese e olandese alla Costituzione europea, nella scorsa primavera, ha aperto una crisi istituzionale senza precedenti e sospeso sine die il processo di ratifica dei nuovi trattati. Secondo molti osservatori, tuttavia, il voto contrario alla Costituzione è la conseguenza e non la causa della crisi europea. Quest'ultima, piuttosto, affonda le radici nelle difficoltà economiche strutturali che datano ormai cinque anni e hanno indotto una profonda disillusione nei confronti dell'intera costruzione europea. Un periodo prolungato di lento sviluppo in un mondo che, per contro, da qualche anno ha preso a crescere tumultuosamente, ha tradito le promesse europee e rappresenta un fallimento economico impressionante soprattutto per le istituzioni europee dove si disegna la politica economica. Un fallimento che si ripercuote simmetricamente a livello nazionale, dove i governi in carica sono stati investiti da ondate crescenti di dissenso.
Sui motivi della lenta crescita in Europa bisognerebbe fare un lungo discorso. Anche senza grandi analisi, tuttavia, salta subito all'occhio che i pochi Paesi che crescono a ritmi elevati nell'Eurozona sono quelli che hanno realizzato le riforme strutturali e liberalizzato i propri mercati.
Per questo motivo il desiderio di protezione affermato nel voto dell'Europarlamento sulla direttiva Bolkestein contiene un paradosso. Esprime una scelta economica, probabilmente maggioritaria, che privilegia la protezione sulla concorrenza; ma contiene le radici del malessere economico che stiamo vivendo e che sta minando il consenso a livello nazionale e europeo. Ecco perché è prioritario affrontare i problemi della lenta crescita. Se continueremo a scegliere protezione a spese dell'efficienza, placheremo forse le ansie, ma pianteremo i semi del declino.