LETTERA APERTA SUL FUTURO DELL'EUROPA - di Ulrich Beck e Anthony Giddens, da La Repubblica del 4 ottobre 2005
12 ottobre 2005
La proposta di Costituzione europea è morta. Gli elettori francesi e olandesi si sono pronunciati. Ma qual è stata la ragione di fondo dei loro “non" o “nee”? Probabilmente una confusione di idee e di sentimenti: “Aiuto, non riusciamo più a capire l'Europa!", oppure:
«Dove sono i confini dell'Ue?" o ancora: «Il nostro stile di vita è sempre più stravolto, «L'Europa non ha fatto abbastanza per noi".
La Costituzione è morta. Evviva...! Che Cosa? A dirlo tocca ora agli europeisti. Non dobbiamo permettere agli euroscettici di impossessarsi dell'agenda. Occorre reagire e far fronte a quei no in maniera positiva e costruttiva.
L'Ue è l'esperimento politico di costruzione istituzionale più originale e riuscito dalla fine della seconda guerra mondiale. Ha riunificato l'Europa dopo la caduta del muro di Berlino; ha influenzato il cambiamento politico anche a distanza, ad esempio in Turchia e in Ucraina non con la forza delle armi come in passato, ma con mezzi pacifici. Grazie alle sue innovazioni economiche, ha contribuito a portare la prosperità a milioni di persone, sebbene negli anni ,recenti i suoi livelli di crescita siano stati deludenti. Ha aiutato l'Irlanda, uno dei Paesi più poveri dell'Europa, a entrare nel novero dei più ricchi. Ha rappresentato uno strumento essenziale per portare la democrazia a Paesi già oppressi da regimi dittatoriali quali la Spagna, il Portogallo e la Grecia.
Gli europeisti sottolineano spesso che grazie all'Ue il nostro continente è vissuto in pace per più di cinquant'anni; ma questo merito potrebbe esserle contestato. È stata la presenza degli americani e quella della Nato a svolgere il ruolo più importante in questo senso. Ma di fatto, ciò che l'Unione ha ottenuto è qualcosa di più profondo: il capovolgimento delle influenze nefaste della storia europea - nazionalismo, colonialismo, avventurismo militare. E ha costruito e sostenuto istituzioni, quali la Corte europea dei diritti umani, ricusando, anche per via giuridica, quella barbarie che aveva segnato il passato europeo.
A turbare i cittadini europei non sono le carenze o i rovesci, ma al contrario i successi dell'Ue. Meno di vent'anni fa, il ricongiungimento tra l'Occidente e l'Est europeo sarebbe sembrato un sogno impossibile. Ma persino nei nuovi Stati membri, la popolazione si chiede: fin dove arriverà tuttq questo? A volte, anche chi ne trae i maggiori vantaggi tende a vedere nell'Ue un agente della globalizzazione, piuttosto che la via per adattarvisi e per riconfigurarla.
Queste percezioni tendono a stimolare, a livello emotivo, il desiderio di tornare nel porto apparentemente sicuro della nazione. Ma se anche l'Ue fosse abolita da un giorno all'altro, nessuno avrebbe motivo di sentirsi più confortato nelle rispettive identità nazionali e culturali.
Supponiamo ad esempio che in Gran Bretagna gli euroscettici riescano a imporre il loro punto di vista. Se il Regno Unito uscisse armi e bagagli dall'Unione Europea, i britannici ritroverebbero un senso più chiaro della loro identità? Una più effettiva sovranità nella gestione degli affari nazionali?
La risposta a queste due domande non può che essere negativa. Quasi certamente, gli scozzesi e i gallesi continuerebbero comunque a guardare verso l'Ue, e finirebbero magari per provocare una scissione nel Regno Unito; e la Gran Bretagna, o l'Inghilterra, finirebbe anzi per subire una perdita di sovranità, se con questo termine si intende un reale potere di esercitare la propria influenza nel mondo, al di là delle proprie frontiere. Troppo numerosi sono oggi i problemi originati ben oltre i confini dello Stato-nazione, e impossibili da risolvere al loro interno.
Dopo la battuta d'arresto imposta alla Costituzione, il futuro dell'Europa appare improvvisamente incerto ed amorfo. Ma così non dovrebbe essere! Gli europeisti devono porsi tre domande: vogliamo un'Europa capace di affermare i propri valori nel mondo, un'Europa economicamente forte, un'Europa coesa e socialmente giusta? Di fatto, si tratta di domande retoriche poiché chiunque desideri il successo dell'Ue non può che dare altrettante risposte affermative.
Ora, tutto ciò comporta alcune conseguenze molto concrete. Se vogliamo un'Europa autorevole, che trovi ascolto sulla scena mondiale, non possiamo decretare la fine dell'allargamento, né lasciare il sistema di governance dell'Ue nello stato in cui si trova.
L'allargamento è lo strumento di politica estera più potente dell'Unione; è un mezzo per promuovere la diffusione della pace, della democrazia e dei mercati aperti. Ad esempio, difficilmente si può sperare di arrivare a una stabilizzazione nei Balcani senza la prospettiva dell' accesso di quei paesi all'Ue; e l'esplosione di
nuovi conflitti in quell'area sarebbe un evento disastroso. Quanto alla Turchia,l'Ue perderebbe un enorme potenziale di influenza geopolitica se decidesse la sua esclusione.
Considerazioni analoghe si possono fare per quanto riguarda la governance. Per giocare un ruolo globale effettivo, l'Ue ha bisogno di più innovazione politica. Va tenuta presente, ad esempio, la proposta di nominare un ministro degli Esteri europeo. I reciproci processi decisionali richiedono strumenti più efficaci dei metodi farraginosi ereditati dagli accordi di Nizza. E le proposte contenute
nella Costituzione per intensificare le consultazioni coni parlamenti nazionali in preparazione degli atti politici dell'Ue sono sicuramente democratiche e sensate.
Ma è vero anche che l'influenza politica e diplomatica riflette sempre il potere economico. Ed è quindi soprattutto su questo piano che chi sostiene.
L’Europa deve sollecitare l'azione della Commissione e quella dei leader degli stati membri. Sappiamo che i «no» espressi dagli elettori francesi e olandesi erano essenzialmente motivati da preoccupazioni economiche i sociali, le quali a loro volta hanno alimentato i timori, di più vasta portata cui si è fatto cenno. Se ha riportato successi in altri settori, in campo economico l'Unione Europea segna il passo. I suoi livelli di crescita sono lontani da quelli degli Usa, per non parlare dei paesi emergenti quali l'lndia e la Cina. I disoccupati nell'Ue sono ben 20 milioni, più 93 milioni di cittadini economicamente inattivi, molti dei quali vorrebbero lavorare, se ne avessero la possibilità.
Il paradosso è che nel mondo contemporaneo, il pensiero nazionalista o isolazionista rischia di essere il peggior nemico della nazione e dei suoi interessi. L'Ue è un'arena ove la sovranità formale si può scambiare contro un potere reale, le culture nazionali possono trovare il loro nutrimento, e il successo economico può essere incentivato. Difatti, l'Ue è nelle migliori condizioni per sostenere quegli interessi nazionali che i singoli stati non possono difendere da soli, nel campo commerciale come in quelli dell'ambiente, dell’immigrazione, della legalità e dell'ordine, della difesa ecc.
Dovremmo incominciare a vedere l'Europa non come una «nazione incompiuta o uno «Stato federale incompleto», ma piuttosto come un progetto cosmopolita di nuovo genere. I cittadini temono -e non a torto- l'eventualità di un super-Stato federale. Di fatto, l'Ue non può sorgere dalle rovine delle nazioni, la cui sussistenza rappresenta anzi la condizione per costruire un'Europa cosmopolita; e oggi - per le ragioni sopra indicate - la stessa cosa è vera anche in senso opposto. Per molto tempo il processo di integrazione europea è andato avanti esclusivamente attraverso l'eliminazione delle differenze. Ma unità non è sinonimo di uniformità. Da un punto di vista cosmopolita, la diversità non è il problema, bensì Ia soluzione.
Per di più, la pressione dei mercati mondiali cresce incessantemente. A livello planetario, mentre nel 1970 solo il 10% dei prodotti industriali provenivano dai paesi in via di sviluppo, a questa percentuale ha raggiunto il 45%, e non mancherà di aumentare ulteriormente. Con il decremento dei costi delle tecnologie informatiche, molti servizi possono essere trasferiti ovunque; e l' outsourcing verso l'India è solo l'inizio di una tendenza che potrebbe espandersi notevolmente.
In sintesi, l'Europa deve accelerare la dinamica del cambiamento. Ma accanto alle riforme, dobbiamo preservare e anzi approfondire il nostro impegno per la giustizia sociale. n primo ministro britannico Tony Blair ha proposto recentemente un dibattito europeo su questo tema; e a nostro parere il suo appello va nella direzione giusta. Alcuni paesi, soprattutto nell'Europa del Nord, hanno ottenuto successi notevoli conciliando la crescita economica con alti livelli di protezione sociale e di uguaglianza. Si tratta di vedere quanto gli altri stati europei possano imparare da loro, così come da altri Paesi a livello mondiale.
Chi scrive ha sostenuto la Costituzione europea, malgrado i suoi difetti di prolissità e ineleganza. Oggi però riteniamo che la sua bocciatura debba indurre, o magari costringere gli europei ad affrontare alcune realtà fondamentali, e a trovare le necessarie risposte. L'Unione Europea potrebbe rappresentare una forza influente, fors'anche la più influente sulla. scena globale del secolo in cui viviamo. Questo dovrebbe essere l'auspicio di ogni europeista. Sta a noi tradurlo in realtà.