LETTERA APERTA A MASSIMO D’ALEMA, di Peppino Calderoli, da Il riformista 7 dicembre 2008
22 dicembre 2008
«Caro Massimo, siamo stati amici. Poi è andata come è andata. Ti scrivo nel momento di maggior pericolo per te e in fondo per tutti noi, apolidi di sinistra che non vogliamo ammainare la bandiera rossa. Il Pd è fallito. Non c'è niente di nuovo sotto quell'insegna. Non ho mai capito bene perché dal partito riformista al partito di Prodi sei finito nel Partito democratico che tanto aborrivi. Talvolta penso che le tue scelte siano state un po' costrette dagli eventi e che l'eterna battaglia per farti fuori ti abbia costretto a incamminarti lungo sentieri a te sgraditi per allontanare i cecchini e portare in salvo te stesso e l'esercito di militanti che ti segue. Ora siamo arrivati alla fine del percorso. Dopo c'è il burrone. Puoi fare come Thelma e Louise, accelerare e prepararti al grande salto suicida, Puoi fermarti e riprendere il cammino a ritroso. A ogni curva c'è Di Pietro e i suoi pm pronti a impalarti. Veltroni lo sa e lascia fare, felice e contento. Capitò a Giacomo Mancini, capitò a Bettino Craxi, rischia di capitare anche a te. Fatti coraggio e prendi l'iniziativa. Butta fuori dal partito del Sud i mercanti, promuovi una nuova generazione e parti all'assalto di Roma. Tu vuoi restare nel Pse, vuoi un partito che difenda gli svantaggiati, ti piace discutere con quelli che contano, non disprezzi il tuo avversario storico. È una linea. Se stai fermo, questa volta ti distruggono. Io, da ex amico, ti difenderò, ma forse non basterà, tuo Peppino».
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