“LETTA, NAPOLITANO E LA PEDAGOGIA DEL RINVIO" di Alberto Benzoni dall’Avanti! della domenica del 22 settembre 2013

05 dicembre 2013

“LETTA, NAPOLITANO E LA PEDAGOGIA DEL RINVIO

“Questo governo non ha alternative”. Un concetto che, a furia di essere, autorevolmente, ripetuto è diventato verità indiscutibile.
Al punto di non avere bisogno di essere argomentato.
Ora, si dà il caso che questa “verità”non possa essere decentemente argomentata, sino al punto da non reggere al primo esame.
Così sé vero che Letta “fa del suo meglio” è anche vero che questo meglio non riesce ad essere adeguato alle necessità del Paese, e tanto meno a rompere i vincoli, politici ed economici che ci impediscono di uscire dalla crisi. Governare insieme non ha portato Pd e Pdl né a comunque improbabili “pacificazioni nazionali”, né a un comune sentire sui problemi contingenti e ancor più sulle prospettive di riforma. Come è dimostrato ampiamente dal pasticciaccio brutto dell’Imu e dalla pratica del rinvio automaticamente usata in ogni questione controversa: dalle riforme costituzionali a quella elettorale, dal finanziamento dei partiti alle politiche di riduzione del deficit. Per altro verso, il vincolo europeo è rimasto in tutti i sensi inalterato: la nostra capacità di manovra sul terreno economico-finanziario è sempre molto limitata, rimaniamo dei sorvegliati speciali appiccicati allo spread, e nessun cavaliere bianco verrà in nostro soccorso all’indomani delle elezioni tedesche.
Così l’essere “senza alternative” non ha nulla a che fare con la qualità del nostro governo e cioè con i risultati concretamente raggiunti o con la possibilità di raggiungerli nell’immediato futuro. Un dato tanto evidente da indurre gli zeloti dell’unità nazionale a sostenere che la sua ragion d’essere sta proprio nella lunghezza dei tempi necessari per raggiungere i suoi obbiettivi. Una affermazione che, come vedremo, ha un senso solo nella prospettiva pedagogica che sta alla base del disegno di Napolitano, ma che, per un comune mortale, corrisponde a un clamoroso autogol.
E, allora, la forza di questo governo sta soltanto nel rifiuto pregiudiziale di qualsiasi soluzione alternativa. Ciò ci riconduce alla crisi attuale, e alla serafica tranquillità con cui è affrontata dal nostro Presidente del Consiglio. Secondo il quale la vicenda Berlusconi non avrà alcuna conseguenza sull’esecutivo. Ora questo esito è impossibile senza un esplicito accordo. O tra Napolitano e Berlusconi: tu accetti la sentenza e fai un passo indietro, io ti concedo la grazia. Oppure tra Pd e Pdl: voi accettate la sentenza rinunciando, con ciò alla polemica contro la magistratura, noi troveremo un marchingegno per rinviarne l’applicazione.
Una sorta, come dire, di disarmo totale e bilanciato. E, come tale, del tutto impraticabile. Perché implicherebbe, per i suoi protagonisti dei prezzi intollerabili, e perché non sarebbe mai percepito come bilanciato dai medesimi. Da cosa deriva, allora, la “serafica tranquillità di Letta? Questa ha un’unica possibile fonte: la sua totale adesione alla strategia, meglio alla pedagogia politica del nostro Presidente della Repubblica. Questi ha vissuto, in prima persona, gli anni del massimo fulgore del bipolarismo italiano, e al tempo stesso della sua sempre più totale inconcludenza politica. Giungendo - schematizziamo al massimo - alla conclusione che il male non stava nel sistema, ma piuttosto nell’inadeguatezza dei suoi interpreti. Ambedue privi di cultura di governo: il Pdl per le sue radici populistiche e anti istituzionali, il Pd per, diciamo così, persistenti ritardi culturali.
Da questa diagnosi derivava naturalmente la cura, nel senso che la cultura di governo non poteva che nascere dall’assunzione comune delle relative responsabilità. Prima, indirettamente, con l’appoggio all’esperienza Monti, poi, in prima persona, con la partecipazione al governo delle larghe intese. Con ciò sarebbero progressivamente venuti meno i miti fondanti dei due schieramenti, vale a dire il berlusconismo e l’antiberlusconismo, mentre si avrebbe, sempre nel corso del tempo, acquisito piena conoscenza dei problemi reali del Paese e del fatto che questi potessero essere affrontati correttamente solo con soluzioni razionalmente condivise.
Un percorso di apprendimento necessariamente lento, e di cui perciò il rinvio può essere requisito essenziale. Una pedagogia progressiva che non è giunta, ancora, al punto di indurre i due schieramenti a rinunciare alla loro ragion d’essere, ma che, forse, dico forse, può portare, all’interno dei medesimi, agli opportuni ripensamenti. Inducendo, in parole povere, per non dire volgari: a qualche “soccorso rosso” nei confronti del Cavaliere nel segreto dell’urna o prima o dopo i “governativi”, nel governo e in Parlamento, a mollare Berlusconi in nome, beninteso, del bene del Paese.
Per questo il nostro Premier è così tranquillo. Male che vada spera di poter essere alternativa a sé stesso. Magari scontando una piccola variante nello schema pedagogico quirinalizio: la catarsi di Pd e Pdl attraverso lo sfascio, magari limitato e controllato, dell’uno o dell’altro, o magari di tutti e due.

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