LEGGI ELETTORALI E SCELTE POLITICHE di Felice Besostri

01 maggio 2017

LEGGI ELETTORALI E SCELTE POLITICHE di Felice Besostri

Con le leggi elettorali proposte e sul tavolo si vuol ripetere l’errore dell’Italikum, cioè come aggirare una sentenza della Corte costituzionale, prima la n.1/2014 e ora la 35/2017. Tre leggi elettorali incostituzionali una di seguito all’altra rappresenterebbe un non invidiabile primato europeo del Parlamento italiano e dei Presidenti della Repubblica, che le abbiano promulgate.  La priorità è quella di evitare una legge anche solo potenzialmente incostituzionale, quindi non solo non tenere conto dei principi che discendono con chiarezza da due sentenze della Consulta, ma anche, direi soprattutto, delle questioni impregiudicate perché non rimesse alla Corte dalle cinque ordinanze ovvero dichiarate inammissibili per ragioni diverse da un’infondatezza. Se i giudici investiti in primo grado, che finora non si sono pronunciati, ben dodici lo facessero tenendo conto dei suggerimenti della sentenza n. 35/2017, non si potrebbe ignorarne l’impatto sui lavori della Commissione Affari della Camera e sull’aula di Montecitorio. Teoricamente se si rispettassero i termini, purtroppo solamente ordinatori, per il deposito delle decisioni 4 o 5 ordinanze potrebbero essere depositate prima del prossimo 29 maggio, la data presunta per la conclusione dei lavori della Prima Commissione della Camera dei Deputati.  Non c’è neppure un testo base o l’ombra di principi comuni sui quali discutere, paradossalmente sarebbe un passo avanti un OdG premissivo, piuttosto che ballon d’essai veicolati dalla stampa per assecondare tatticismi politici. Per fare chiarezza un sistema di collegi uninominali a riparto proporzionale, con premio di maggioranza sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 48, 56 e 58 Cost. e dei principi del voto eguale, personale e diretto. Né miglior sorte avrebbe un sistema che abbassasse la soglia di concessione del premio e alzasse quella di accesso, che abbia o no capilista bloccati. I sistemi elettorali esenti da profili di incostituzionali sono quelli chiari come quelli proporzionali con o senza una limitata soglia di accesso e quelli maggioritari senza fronzoli, come quelli che impongono di ottenere la maggioranza parlamentare conquistando la maggioranza dei collegi   uno per uno senza trucchi. L’ho detto dinnanzi alla Corte Costituzionale, che un maggioritario all’inglese, first past the post ovvero plurality, sarebbe perfettamente costituzionale, benché scandalizzerebbe la grande maggioranza dei miei amici e compagni e non sia tra le mie opzioni preferite. Per dirla tutta, se si dovesse adottare un sistema maggioritario, mi sono convinto alla luce del primo turno delle presidenziali francesi e dio non voglia del secondo turno, che un maggioritario alla francese è più distorsivo di un maggioritario all'inglese. In quest'ultimo il partito vincitore lo è per esclusivo merito dei suoi candidati ed elettori, perché, come detto, conquistano la maggioranza assoluta dei seggi uno per uno. Con il ballottaggio al secondo turno prevalgono considerazioni tattiche al limite del meno peggio ovvero del voto punizione, quindi la maggioranza assoluta non può essere rivendicata come propria.
Non possiamo però ridurre la scelta di una legge elettorale ad un dibattito tecnico, quando si tratta di una scelta politica in un’ottica di lungo periodo perciò istituzionale. Così non è stato con l’adozione di Mattarellum, Porcellum e Italicum, alla base dei quali c’erano calcoli previsionali, per di più non confermati dai fatti (il voto per quanto condizionato è ancora libero e gli elettori imprevedibili), di interessi contingenti di partito il Partito Popolare, nel primo caso, il PdL nel secondo e del PD nel terzo. Per di più con contraddizioni interne ai Poli, costruiti intorno ai vantaggi del maggioritario, basta vedere le alleanze asimmetrici berlusconiane a nord e a sud e nel 2001 i miopi calcoli di partito nell’Ulivo di DS e Margherita, a dispetto di Rifondazione Comunista e della neo-nata Italia dei Valori, con le liste civetta con l’effetto di consegnare il Senato al centro-destra: un errore per i quale nessuno ha pagato. La pillola avvelenata delle soglie di accesso differenziate tra Camera e Senato, inventate da Calderoli e Casini, per non lasciare Forza Italia autosufficiente, nel 2006 consegnarono all’Unione un Senato in bilico e una precaria maggioranza, che   decretò la fine anticipata del Prodi 2. I due Poli disomogenei, meglio detto i due partiti egemoni nei due Poli, Forza Italia e PDS-DS e giocoforza i loro vassalli, erano d’accordo su tre punti : a)sistema politico bipolare tendenzialmente bipartitico, b) sistema elettorale maggioritario e c)esclusione dei cittadini dalla scelta dei loro rappresentanti; un risultato ottenuto  grazie alla combinazione di collegi uninominali e liste parzialmente (Mattarellum) o totalmente (Porcellum) bloccate fino all’invenzione per aggirare la sentenza n. 1/2014 dei capilista bloccati, che assicurava comunque un Parlamento in maggioranza di nominati, paradossalmente in aumento fino a 2/3 con l’annullamento del premio di maggioranza al ballottaggio. L’abolizione del voto di preferenza senza una legge organica attuativa dell’art. 49 Cost. lasciava la nomina a capi partito o nei casi migliori alle  oligarchie al potere la scelta dei candidati e, come diceva il più grande politologo di tutti i tempi  Monsieur de La Palice: chi non è candidato non può essere eletto, quale che sia il sistema elettorale proporzionale, maggioritario o misto. In realtà la scelta degli eleggibili andava bene a tutti, consentiva di trovare un accordo dentro i partiti tra le varie anime o bande e di mettere insieme una coalizione tra diversi, pagata con la scelta dei candidati uninominali o la collocazione privilegiata nelle liste bloccate. Senza la spartizione delle candidature non sarebbero nate l’Ulivo e la Casa delle Libertà o l’Unione, ma neppure la Sinistra Arcobaleno o Rivoluzione Civile, con un capolista unico. Non è un caso che nelle Giunte delle Elezioni di Camera e Senato nel 2009 si dichiarò la perfetta costituzionalità del Porcellum all’unanimità ma in forma anonima, compresi i rappresentanti di partiti ufficialmente contro e che avrebbero promosso in seguito un referendum abrogativo, con lo scopo di andare a votare con il Porcellum, contando sullo scioglimento anticipato nell’improbabile caso che fosse stato ammesso. La dichiarazione di inammissibilità della Corte Costituzionale con la sentenza n. 13/2012 diede l’alibi, insieme con la poca sensibilità costituzionale del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano sui ricorsi dell’avv. Aldo Bozzi, per disattendere i moniti della Consulta con le sentenze nn. 15 e 16 del 2008 di accoglimento dei quesiti referendari del prof. Guzzetta malgrado l’opposizione di diversi soggetti politici, tra i quali Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo con il prof.  Massimo Luciani e la Costituente Socialista con l’avv. Felice Besostri, associato ai prof. Costantino Murgia e Vittorio Angiolini nella difesa di altri soggetti della galassia rosso-verde. La Cassazione che aveva già calendarizzato il ricorso per l’annullamento delle sentenze di Milano per il 21 gennaio 2013 rinviò tutto al 17 maggio 2013, cioè ad elezioni celebrate, l’ordinanza di rimessione alla Consulta della legge elettorale. La sentenza di accoglimento n.1/2014, grazie all’art. 66 Cost. e alla limitazione degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, insieme con la complicità del Presidente della Repubblica allora in carica, salvò il posto ai parlamentari eletti  con una legge elettorale incostituzionale. Un Parlamento legale ma delegittimato era il miglior veicolo (sempre ricattabile con  la minaccia dello scioglimento anticipato) per consacrare con una nuova legge elettorale ed anche con normativa di rango costituzionale il predominio del Capo del Governo sul Legislativo (abolizione di un Senato eletto dai cittadini e premio di maggioranza spropositato) e sul Capo dello Stato, grazie all’art. 90 Cost., per affrontare in seguito, anche grazie ad una Corte Costituzionale più docile per i nuovi criteri di nomina, il regolamento dei conti con la magistratura. Si son fatti i conti senza l’oste, in primo luogo gli elettori, che hanno creato dal nulla un terzo polo con forza equivalente agli altri due votando per il M5S. Si è sottovaluta la tenacia degli avvocati  antiporcellum e antitalikum. Quest’ultimi  nati da una costola del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, con un’iniziativa senza precedenti hanno promosso un’azione giudiziale  parallela e unitaria in 22 tribunali sui 25 delle città capoluogo di distretto di Corte d’Appello (sole eccezioni Bolzano, Campobasso e Caltanissetta). Purtroppo soltanto 5 giudici hanno mandato in Corte Costituzionale i ricorsi e ben 3 su 5 limitandosi al premio di maggioranza in seguito al ballottaggio e alla libertà di scelta dei pluricandidati. Dopo la sentenza della Corte stiamo insistendo sull'annullamento del premio di maggioranza al primo turno con il 40% dei voti validi, i capilista bloccati in quanto tali, le soglie d'accesso differenziate tra Camera e Senato e davanti ai tribunali di Cagliari e Trieste la disparità di trattamento tra minoranze linguistiche riconosciute. Tre (Milano, Ancona e Catanzaro) hanno respinto i ricorsi e siamo in appello. Uno (Firenze) ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, perché la Corte si è pronunciata: anche questa decisione è stata appellata. Quindi si devono pronunciare ancora 12 giudici in primo grado e, se lo fanno nei tempi di legge, una nuova pronuncia della Corte potrebbe intervenire prima dello scioglimento delle Camere.
Infine in terzo ma non ultimo luogo l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, vinto dai comitati per il NO e dall’elettore ignoto hanno sconfitto il disegno di modifica della forma di governo parlamentare a favore di un premierato assoluto, senza nemmeno i pesi e contrappesi di un sistema presidenziale grazie alla divisione dei poteri esecutivo e legislativo.
Un parlamento eletto con una legge incostituzionale, che approvasse di seguito due leggi elettorali incostituzionali, sarebbe il segno inequivocabile che i parlamentari non rappresentano la Nazione: più che procedere allo “scioglimento sanzionatorio” che gli attribuiscono alcuni testi di diritto costituzionale, il Capo dello Stato – che per buona ventura è anche uno dei componenti del collegio che pronunciò la sentenza n. 1/2014 – dovrebbe assumersi la responsabilità di prevenire l’ennesima succube subalternità delle Camere verso l’Esecutivo. Intervenire con un messaggio alle Camere significherebbe, anzitutto, precisare da parte del Quirinale che la legge elettorale è questione tecnica, ma deve essere chiaro che dietro ci sono scelte politiche e che queste debbono rispettare la Costituzione.
Da qui bisogna partire per rispettare la volontà popolare e pertanto è un errore politico, tanto più grave di fronte ad una riconferma massiccia di Renzi alla guida del PD, riproporre un centro sinistra come non fosse successo nulla. Nel voto negativo per la deforma costituzionale, l’abitudine di chiamarla riforma è un esempio di neo-lingua orwelliana e di mancato rispetto per una parola per bene, c’è stata una forte componente di adesione, conscia ed inconscia, ai valori costituzionali, ma anche un altrettanto forte rifiuto, combinazione di ragione ed istinto, delle politiche renziane e del suo stile di governo e di comunicazione. Riproporre un centro-sinistra a guida renziana, magari con la copertura di primarie farlocche in cambio di un premio alla coalizione è un messaggio sbagliato, che si punta soprattutto alla propria elezione o rielezione. Non c’è un rifiuto netto della logica di leggi maggioritarie e che i capilista erano combattuti non come distorsione della libertà di voto, ma perché se ne avrebbero avuti pochi o addirittura nessuno, ma i capilista vanno bene per liste coalizzate in cui ciascuno si tiene i suoi e si possono mettere insieme all’insegna di scurdàmmoce ‘o ppassato: siamo tutti paesani sulla stessa barca di una casta politica, che affonda. Va bene chi si è opposto sempre alla revisione, chi ha votato NO, chi ha votato SI’, chi si opposto all’Italicum, e chi ne ha facilitato l’approvazione consentendo il voto di fiducia o i super-emendamenti canguro, quei parlamentari di M5S, SEL e Civici e Innovatori, che hanno sottoscritto i ricorsi e quelli che pensano solo alla rielezione o all’interesse del proprio partito. Tutti insieme senza passione, che le ideologie son morte, insieme con la coerenza e la dignità di rappresentare, con disciplina e onore, la Nazione, cioè il popolo, cui appartiene la sovranità. Non c’è più destra o sinistra e in ultima analisi nemmeno sotto e sopra, che si riferisce comunque ad una società ingiusta nella ripartizione della ricchezza e del potere, ma populisti e responsabili, sovranisti ed europeisti, entrambi a prescindere da quale Stato nazionale e da quale Europa.  A sinistra nei confronti del M5S ci sono diverse e opposte visioni, dall’attenzione al rifiuto apriori, ma gli uni e gli altri dovrebbero sapere, che qualsiasi ipotesi di premi di maggioranza a coalizioni è un atto di aperta ostilità al M5S, perché sono gli unici non coalizzabili (Koalitionsfähig alla tedesca) perché non lo vogliono e d'altro canto nessuno li incalza sul punto.
Nessuna meraviglia che ad un tentativo di emarginazione condotto da Pisapia, purtroppo con l'avallo o il silenzio di altri esponenti di sinistra, si dia una risposta sbagliata con l’abbassamento della soglia del premio di maggioranza al 35% (come nel primo Italicum) e l’innalzamento della soglia di accesso al 5%, sia pure in una fase iniziale senza capilista bloccati. In una stretta finale Renzi è disposto a rinunziare al premio di maggioranza in cambio dei capilista bloccati. C’è un punto debole nella proposta del M5S la sua sospetta e probabile incostituzionalità alla luce della sentenza n. 35/2017, che ha salvato il premio di maggioranza perché assegnato con il 40% dei voti validi ed in presenza di sogli di accesso del 3% e che non si ancora pronunciata sulle eccezioni di qualsivoglia premio di maggioranza, dato come percentuale prefissata di seggi, distribuiti spalmando il premio sui singoli collegi per violazione dei principi del voto personale e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost. e nel caso del Senato  anche della base regionale prevista dall’art. 57 Cost). La Corte non si è neppure pronunciata definitivamente sui capilista bloccati in quanto tali e non soltanto sulla loro libertà di scelta, se plurieletti. Lo stesso Legalicum sarebbe travolto se, finalmente un giudice rimettesse alla Consulta la violazione dell’art. 72 c. 4 Cost. dell’intera procedura di approvazione della legge n. 52/2015, per cui, se accolta, non avremmo più premi di maggioranza e capilista, ma nemmeno la riduzione della soglia di accesso al 3%, ma in base alla sentenza n.1/2014 rivivrebbero le coalizioni alla Camera, ma senza premio e le soglie della legge n. 270/2005 per la Camera (4%, 10% e 2%) sensibilmente diverse da quelle irragionevoli del Senato (8%, 29% e 3%),  fatto che richiederebbe comunque un intervento di armonizzazione, come una regolamentazione del voto di preferenza nel rispetto dell’art. 51 Cost. per il riequilibrio della rappresentanza di genere. La soluzione non è il provincellum, collegi uninominali e riparto dei seggi integralmente proporzionale, anche se non fosse previste premio di maggioranza non eccedente il 10% dei seggi, ma senza soglia minima  che è di sospetta costituzionalità e che si aggiunge alla mancanza di un rapporto  personale e diretto degli elettori e dei candidati.  L’incostituzionalità sarebbe, a mio avviso, certa, se basato su 630 seggi per la Camera e 315 per il Senato. Il premio di maggioranza, se difforme per qualsivoglia ragione tra le due Camere in un sistema a bicameralismo paritario è assurdo, ma sarebbe complicato attribuirlo solo in via eventuale, nel caso che fosse conseguito da due liste o coalizioni non coincidenti.
Se sinistra e M5S non fossero capaci di intendersi su una riforma elettorale la posizione centrale del PD sarebbe rafforzata perché sarebbe arbitro del perimetro della coalizione (Pisapia SI, Speranza NO) e otterrebbe comunque sia in un caso che nell’altro il suo obiettivo principale di blindare i candidati del PD, al limite rinunciando al premio di maggioranza, comunque irraggiungibile da solo o tanto per dare un’offa alla Corte Costituzionale abbassandolo a 321 seggi o prevedendo un tasso di percentuale dei votanti non inferiore al 50%. Un nuovo centro-sinistra richiede una previa intesa programmatica, di cui sfuggono i capisaldi programmatici, ma se dovesse nascere con un coalizione non sfuggirebbe allo sbocco esiziale di Italia Bene Comune, il PD ha utilizzato il premio di maggioranza per fare cose diverse da quelle concordate: il premio di maggioranza non vincola al programma  gli eletti, finché è imperante e giustamente  il divieto di mandato imperativo ex art. 67 Cost.,: nelle mani di una maggioranza PD della coalizione la proposta Pisapia esclude che ci sia un Centro-Sinistra rinnovato, ma piuttosto un sinistro centro, molto sinistro per il futuro del paese.  
Come si fa a parlare di CENTRO-SINISTRA, quando la componente di CENTRO è chiara, ma quella di sinistra dov'è?  E soprattutto quale consistenza ha senza premi di maggioranza come nel 2013? Ovvero per liquidare il problema è sufficiente l’adesione del PD al PSE?. La sinistra, come il Paese, hanno bisogno di un’operazione verità, che soltanto un sistema elettorale proporzionale può dare, non perché sia il migliore in assoluto, ma perché la maggioranza deve nascere dalle urne e da un’alleanza programmatica e non da un algoritmo, che l’assegni a chi non ce l’ha. Sulla base di voti degli italiani il PD scelga un rinnovato centro-sinistra o le grandi intese.  Secondo Michele Salvati la vittoria di Renzi è dovuta alla riscossa dei liberali di sinistra, se è così quale spazio ci sarà nel futuro in loro compagnia per dei socialisti democratici di sinistra di stampo europeo? La dimensione europea è sottovalutata. E' un fatto che nel panorama europeo è finito il tempo che un solo partito della sinistra possa vincere da solo. In Austria al ballottaggio presidenziale non sono andati i due partiti protagonisti del secondo dopoguerra Popolari e Socialisti, lo stesso in Francia, con l’esclusi0one di gollisti e socialisti dal ballottaggio presidenziale. In Spagna l'impossibilità di un accordo PSOE-Podemos è stata la vittoria della destra.  Persino  Syriza in Grecia con la scomparsa del PASOK e l’ostilità dei comunisti può governare grazie ad un partito nazionalista di destra, come il socialdemocratico FICO in Slovacchia. La SPD senza Verdi e Linke, può essere solo l'junior partner di una grande coalizione a guida CDU-CSU a meno che l'AfD faccia perdere un 15% di voti all'UNION e quindi apra la strada a una Grosse Koalition a guida SPD. Se la democrazia rappresentativa nella sua dimensione nazionale è minacciata dal peso crescenti di esecutivi sempre più condizionati  dal capitalismo finanziario e dalle multinazionali e dalle decisioni di organizzazioni ed istituzioni internazionali , in cui gli Stati sono rappresentati dai Governi, la risposta è quella di un Fronte Popolare Democratico per il Lavoro e la Libertà, che raggruppi tutta la sinistra rosa, verde o rossa che sia e tutti i sinceri democratici, compresi i veri liberali di sinistra uniti dai valori  della  nostra Costituzione  repubblicana.


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