"LEGATO A UN PASSATO IRRIPETIBILE, PROIETTATO IN UN FUTURO IMPREVEDIBILE" - Francesco De Martino e la politica internazionale - di Giovanni Scirocco
08 maggio 2008
In uno degli ultimi articoli pubblicati prima della morte, un altro grande socialista recentemente scomparso, Gaetano Arfé, sottolineava come "a distanza di un secolo dalla nascita la figura di Francesco De Martino appaia per un verso legata a un passato irripetibile, per un altro proiettata in un futuro remoto e imprevedibile". Ciò appare tanto più vero se ci fermiamo a considerare un aspetto dell'attività politica e di studioso di De Martino, quella legata all'interpretazione delle vicende di politica internazionale, che è di solito trascurata e che è invece strettamente legata al suo pensiero e alla sua azione politica. E' un' attenzione che risale ai tempi della militanza nel Partito d'Azione, cui si era iscritto nel 1943, con una visione che, se non era crociana, nonostante la frequentazione dello stesso ambiente culturale (quello degli Omodeo e dei De Ruggiero) era stata fortemente influenzata dalle letture di Marx, ma anche di Mazzini e di Carlo Rosselli. Sono queste letture che spiegano perché De Martino, nella prefazione al libro di Alosco sul Partito d'Azione nel Regno del Sud, scriva che la questione istituzionale si poneva come una "esigenza morale prima ancora che politica, una necessità della nostra coscienza". "La pace non sarà veramente la pace" Nel 1944, in una serie di articoli sull'"Azione", De Martino si schiera decisamente contro il veto di Churchill e del governo inglese nei confronti della nomina di Carlo Sforza a ministro degli Esteri e, più in generale, di scelte politiche progressiste. De Martino distingue nettamente, nell'occasione, tra le responsabilità del regime fascista e quelle del popolo italiano (forse sottovalutando la dimensione del consenso al regime) e, soprattutto, rivendica il valore storico e morale della cobelligeranza e della Resistenza: una posizione di principio, perché la democrazia, quella democrazia di cui l'Inghilterra è storicamente maestra, può rinascere solo grazie al rispetto della dignità dei popoli e non attraverso un "capolavoro di arte politica, di stampo churchilliano, consistente nel considerare l'Italia colpevole della guerra ed imporle ad un tempo di conservare a capo dello stato gli artefici della guerra". Nello stesso tempo De Martino, pur opponendosi alla "svolta di Salerno", si dichiarava (distinguendosi dal resto del partito) a favore della Luogotenenza, una carica istituzionale desueta il cui fondamento giuridico era stato assicurato da Enrico De Nicola, nel cui studio De Martino svolgeva la sua attività di avvocato. In questa veste fornì anch'egli un parere, richiestogli da Sforza attraverso il futuro sottosegretario agli interni del secondo governo Badoglio Filippo Caracciolo. De Martino considerava la Luogotenenza una soluzione di compromesso e provvisoria, rispetto a quelle definitive della reggenza e dell'abdicazione, meglio in grado, quindi, di garantire l'unità delle forze antifasciste mentre la guerra era ancora in corso. In questa fase, De Martino è, come Lussu (l'uomo a cui, all'interno del Partito d'Azione, fu più vicino) un socialista radicale e libertario, più che marxista: riconosce il valore storico della rivoluzione russa, ma scrive che l'aspirazione alla giustizia sociale non può essere separata dalla democrazia (sia pure intesa come profondo rinnovamento della vita economica e sociale e arrivando quindi a giustificare, in questo senso, il dispotismo della stessa rivoluzione sovietica) e dalla libertà. Giustizia e libertà, ancora una volta. Per ciò che concerne le relazioni internazionali, ciò si traduce in una critica della politica di equilibrio e del realismo delle grandi potenze (ma anche della fallimentare esperienza della Società delle nazioni): "La pace non sarà veramente la pace, se non rimuoverà le cause della guerra. Le cause della guerra sono la disuguale distribuzione dei beni, i nazionalismi e gli imperialismi, la volontà di potenza". Se è quindi critico verso la politica mediterranea di Churchill, lo è allo stesso modo di quella sovietica verso Trieste. Ancora nell'aprile 1947, in un articolo per "Europa socialista", il giornale di Silone, De Martino ribadirà la necessità dell'unità dei socialisti, in Italia e in Europa, su una piattaforma politica distinta da quella dei comunisti: la scissione di palazzo Barberini ha posto infatti il PSI di fronte alle sue responsabilità, alla scelta tra la libertà e l'indipendenza del socialismo o la sua unificazione con i comunisti. L'aspirazione dei comunisti a dirigere le forze di sinistra è un errore che indebolisce la democrazia e la Repubblica, anche perché (scriverà nell'autunno dello stesso anno, quello della "dottrina Truman" e del piano Marshall) dovere dei socialisti è sostenere il moto della rivoluzione dovunque esso abbia luogo, senza che per questo occorra procedere sempre con il cliché della Russia alla mano: Divergenze certo possono nascere in politica estera. I comunisti si sentono strettamente legati ad una grande politica internazionale, che essi stimano rivolta a tutelare la pace, difendere il proletariato e la democrazia. In questa politica essi mirano ad inserire l'Italia e gli interessi italiani. Ripetere le stolte accuse della stampa reazionaria che i comunisti sono venduti alla Russia significa adoperare calunnie ed infamie. Nella direzione della politica estera italiana un solo uomo si vendette allo straniero e fu Mussolini. Ma non era venduto Giolitti, che sosteneva la neutralità, né Salandra che volle l'intervento, né il paese si scandalizzò mai perché vi erano triplicisti e francofili ed anglofili. Dire che la Russia è l'inferno del mondo, come l'America è il paradiso, significa commettere un delitto contro il socialismo. Ma dire che le classi lavoratrici inglesi, francesi, austriache etc sono non meno vicine al socialismo italiano di come non sia il proletariato russo, questo decisamente significa parlare socialista. Aggiungere che le nazionalizzazioni inglesi hanno pari importanza di talune forze russe e che esse hanno luogo mediante la democrazia classica, è dovere dei socialisti in Italia (...) Queste posizioni devono essere assunte dal socialismo autonomistico e se questo sarà fatto tutta la situazione italiana sarà ristabilita e le sinistre potranno guardare con maggiore fiducia nel domani. La guerra fredda De Martino e il PSI (in cui entrerà nell'ottobre del 1947, dopo lo scioglimento del Partito d'Azione, aderendo alla corrente di Lelio Basso) non riusciranno però a sottrarsi alla logica della guerra fredda. E' indicativo il giudizio sul breve periodo, dal 1948 (dopo la sconfitta del Fronte popolare) al 1949, di direzione "centrista" del PSI, con Alberto Jacometti segretario e Riccardo Lombardi direttore dell' "Avanti!": secondo De Martino la concezione lombardiana dell'iniziativa autonoma del PSI in campo interno ed internazionale "era suggestiva, ma intempestiva, precedeva i tempi di dieci o quindici anni e non rispondeva ai dati reali della situazione, né appariva adeguata all'inasprirsi della guerra fredda in quegli anni e della lotta interna. Per questa sua intempestività era destinata all'insuccesso (...) Chi aveva diretti contatti con la base sapeva che la volontà predominante era unitaria ed il non tener conto di tale fatto voleva dire una concezione illuministica della politica". De Martino fa così sostanzialmente proprie, a distanza di anni, le critiche di Morandi (e di Nenni) a Lombardi nella famosa polemica di Capodanno sull'"Avanti!", anche se riconosce che per Lombardi l'ipotesi di neutralità tra i due blocchi era veramente tale, mentre per Nenni e Morandi si trattava di una neutralità filosovietica. Con il Patto atlantico "lotta sul piano internazionale e lotta su quello sociale e politico finivano per intrecciarsi strettamente". Nel suo intervento al XXVIII congresso del PSI, che si tenne e Firenze nel maggio 1949, criticò quindi la maggioranza uscente per la sua linea "terzaforzista": La dura legge dei fatti ha impedito il formarsi di questa posizione politica (...) vi sono due forze nel mondo, vi sono due forze in Italia: noi abbiamo il dovere di scegliere chiaramente in modo decisivo. Scegliamo quella parte che ha creato il socialismo nella realtà, che ha fatto la rivoluzione socialista (...) E' evidente che l'azione che condurrà il proletariato in Italia e negli altri paesi dell'occidente europeo deve essere validamente appoggiata dalla politica generale che guida i paesi del socialismo e di democrazia popolare. Questo è il problema politico fondamentale dell'Italia, dell'Europa e certamente del mondo intero. Da esso si sviluppano tutti gli altri problemi di politica interna e di politica economica del nostro Paese. Sono posizioni ribadite, con ulteriore durezza di toni, tipico del clima della guerra fredda, in un articolo apparso l'anno seguente su "Mondo operaio": Socialismo democratico, nel concreto valore che a questo termine vien dato dalla nostra socialdemocrazia, vuol dire accettazione del regime attuale. Vuol dire cioè accettazione del sistema che è stato creato dalla borghesia nella fase di sviluppo del capitalismo, non per ora, nella fase attuale della storia, ma per sempre, für ewig, quasi come una verità assoluta ed eterna (...) Del resto, l'esperienza storica della socialdemocrazia tedesca, del laburismo inglese e della socialdemocrazia francese, per non parlare che dei maggiori movimenti, ben più seri ed importanti della socialdemocrazia italiana, dimostra che, movendo dal revisionismo, per la via della difesa della libertà (borghese), della democrazia politica (borghese) etc., si giunge alla collaborazione di classe, al compromesso con il capitalismo ed in ultima analisi alla capitolazione del movimento operaio (...) Nessuno può avere in tasca una costituzione prefabbricata. Tanto meno il movimento marxista, il quale più di ogni altro è cosciente della perenne dialettica della storia e rifugge da astrazioni razionalistiche e dal conformismo (...) Ma ciò non significa chiudere gli occhi di fronte al fatto che nella Unione Sovietica lo Stato non è nelle mani dei capitalisti, mentre nell'Occidente, vi siano o meno al governo i partiti socialdemocratici, lo Stato rimane pur sempre di tipo capitalistico. E quando la classe operaia di tali paesi, per cecità, colpa o tradimento dei suoi capi, è trascinata ad un accerchiamento mondiale contro gli Stati socialisti, il dovere di un militante socialista è di battersi perché la classe operaia apra gli occhi e si rifiuti di partecipare ad una politica mondiale di conservazione capitalistica. Il '56 Le speranze di cambiamento, anche sul piano interno, sembrano nascere dalla politica di distensione avviata dopo la morte di Stalin, con molte incertezze, dal nuovo gruppo dirigente sovietico. Già nel luglio 1953 la Direzione del PSI aveva riconosciuto gli impegni internazionali dell'Italia, limitandosi a chiedere una "limitazione strettamente difensiva degli impegni militari", una posizione ribadita nel 1955 al congresso di Torino. Intervenendo nel gennaio 1956 sulle colonne di "Mondo Operaio", De Martino delinea quindi un quadro internazionale avviato sulle strade tranquille di una distensione che non può non aprire al PSI ampie prospettive di successo: Qualunque sia lo sviluppo degli avvenimenti non vi è dubbio che la distensione proseguirà più o meno faticosamente per la sua via (...). Oggettivamente, il clima della distensione confermerà la politica socialista ed offrirà ad essa alimento nuovo, dimostrando che non si tratta di propaganda. In conclusione, possiamo prepararci alle vicende del 1956 con animo più sereno di quel che non fosse agli inizi dello scorso anno. "Qualunque sia lo sviluppo degli avvenimenti": De Martino non aveva previsto quello che Franco Fortini chiamerà "il muggito di Krusciov", il XX congresso e, in Italia, gli articoli di Nenni su "Mondoperaio". Nella riunione della direzione del PSI del 19-22 marzo De Martino prende atto, sia pure con prudenza, della nuova situazione: L'URSS rimane una guida anche coi suoi errori. Oggi non c'è più l'Internazionale. C'è il partito russo che giunge a certe esperienze e conclusioni e divengono le conclusioni degli altri partiti. Qui si pone il problema del nostro riavvicinamento con l'Internazionale Socialista. Non possiamo per riavvicinarci al Comisco sacrificare l'originalità della nostra posizione (...) occorre sviluppare i rapporti e il riavvicinamento coi partiti socialdemocratici tedeschi e inglesi per scopi determinati che possono avere altri sviluppi. Ci vorranno però dieci anni perché il PSI rientri a pieno titolo nell'Internazionale socialista, soprattutto per l'isolamento in cui era caduto durante la guerra fredda, dopo la rottura, nel maggio 1949, con il Comisco. Anche dopo i fatti d'Ungheria, i socialisti italiani punteranno ancora a lungo sulla evoluzione in senso democratico degli stati socialisti e sul superamento di entrambi i blocchi. Come riconoscerà lo stesso De Martino le difficoltà della sinistra in Italia dipendono anche dai suoi errori e dalle sue lentezze nelle revisioni, che si imponevano almeno dal XX congresso del PCUS in poi. Abbiamo continuato a discutere in quegli anni della dittatura del prolatariato, anche dopo che era evidente che tale prospettiva rivoluzionaria non esisteva in Occidente (...) Mentre dal lato teorico eravamo riluttanti ad ammettere che questa era una parte caduca del marxismo e continuavamo a criticare la socialedemocrazia in Europa, nella pratica politica non facevamo niente di diverso (...) Così sono stati perduti anni preziosi nell'elaborazione di un socialismo democratico e delle riforme sociali possibili e attuabili. In ogni caso De Martino, pur riconfermando il valore universale della Rivoluzione d'ottobre (che, nella sostanza, affermerà sino alla fine della sua vita), è anche, in questa fase, uno dei pochi dirigenti socialisti a criticare in modo netto gli errori commessi dal PSI durante la guerra fredda: Dal 1947 in poi (...) le critiche e le riserve contro abusi del potere e contro colpe, di cui si poteva avere qualche sentore, furono omesse e persino si passò sotto silenzio il sistema dei processi politici, nei quali, fidando sulla stupidità umana eterna come la storia, si dava la versione della confessione dei colpevoli in forme tanto uguali fra loro da essere divenute formule notarili (...) Il conformismo e il dogmatismo imperanti avevano impedito qualsiasi indagine. Le forme dottrinarie e profetiche, di tipo biblico, hanno prevalso sulla ragione creatrice ed il marxismo è divenuto una specie di talmudismo. La riscoperta dell'Europa E' l'inizio del percorso, non breve, che porterà il PSI e lo stesso De Martino al governo: si pongono problemi nuovi, in cui politica interna e politica estera risultano ancora strettamente legati, e tra essi l'inizio del processo di integrazione europea. Biagio De Giovanni ha ricordato come l'attenzione di De Martino per l'Europa (nonostante quanto affermi Spinelli nei suoi Diari, ma si sa che Spinelli non era tenero con gli interlocutori che non mostrassero il suo stesso sacro fuoco) gli provenisse dai suoi studi di diritto romano (quello stesso diritto che aveva difeso nel 1941 contro gli attacchi del nazismo), dalla sua sensibilità umanistica per i valori fondamentali della civiltà europea, in cui rientrava l'eredità del diritto romano con i suoi concetti di aequitas e di cittadinanza universale, ma anche, da socialista, il rifiuto "di ogni visione tecnocratica e astorica" della politica. E' il problema della democrazia e del socialismo a cui De Martino ha dedicato, come vedremo, i suoi ultimi, fecondi anni di studio e di impegno: Le esigenze di sviluppo economico e tecnico in aree più vaste di quelle nazionali sono nel tempo attuale irreversibili. Mutamenti profondi si impongono alle tecniche produttive, all'assetto dei mercati, dei capitali e delle forze del lavoro. Il movimento operaio deve essere una forza decisiva in questo processo di trasformazione e di ampliamento del mercato per esigere che esso avvenga sotto il controllo democratico, nell'interesse della collettività, secondo piani razionali di sviluppo e non abbandonato all'interesse dei monopoli, dei cartelli, del grande capitalismo. Sono quindi gli anni della riscoperta dell'Europa, in un'ottica di terza forza simile a quella assunta, alla fine della guerra, da gruppi come quello di Silone, destinato a rimanere minoritario all'interno del socialismo italiano: La distensione è il primo compito da perseguire tenacemente. Ma un compito di maggiore portata è quello di concorrere ad una nuova evoluzione della politica estera delle potenze occidentali dell’Europa, le quali dovrebbero costituire una forza intermedia tra i due grandi antagonisti, una terza potenza mondiale (…) Per aprire la via di questa nuova politica, la quale dovrebbe fondarsi su di una iniziativa socialista più attiva, abbiamo dichiarato da tempo che noi siamo disposti ad accettare lo status atlantico dell’Italia in una interpretazione rigidamente difensiva e possiamo considerare con maggiore interesse le iniziative per il mercato comune e per l’Euratom. E' una posizione per certi versi obbligata perché "dopo gli avvenimenti che hanno turbato il mondo comunista, l’iniziativa del partito socialista non può essere che autonomo, allo scopo di garantire che in Italia il socialismo non passa necessariamente attraverso le esperienze delle democrazie popolari e che esso può essere perseguito nel rispetto della democrazia e della libertà”. Così pure, la prospettiva, sia pure di breve durata, della possibile riunificazione socialista, apre nuove vie anche nel campo dei rapporti internazionali: E' chiaro che il nuovo partito non potrebbe in nessun caso costruirsi su di una pregiudiziale anticomunista ed antisovietica, che miri ad una condanna in blocco di tutto il sistema. Se mai esso, mantenendo i rapporti amichevoli con i partiti operai e comunisti, dovrebbe migliorare le relazioni anche con la socialdemocrazia occidentale, dedicando i suoi sforzi alla ricerca di un minimo comune terreno, che possa avvicinare tutti i partiti del lavoro. Verso il centro-sinistra E' così iniziato il lungo percorso di avvicinamento del PSI al centro-sinistra, in cui, almeno all'inizio, la polemica politica interna si lega strettamente alla riaffermazione dell'autonomia del PSI e alla sua posizione originale nel panorama dei partiti socialisti europei. Il primo articolo di De Martino come direttore di "Mondo Operaio", al posto di Raniero Panzieri, è dedicato all'analisi del congresso di Napoli (1959) del PSI: Occorre precisare che il prevalere nella fase presente dell’autonomia non ha scopi antiunitari, non solo perché il Congresso respinge l’anticomunismo, inteso come esclusione e discriminazione pregiudiziale, ma sopratutto perché la politica del PSI viene concepita come una politica atta ad esprimere le esigenze di tutta la classe lavoratrice italiana e non solo di una parte o frazione di essa. Ché anzi almeno nei propositi dei suoi sostenitori la linea dell’autonomia è rivolta ad una interpretazione molto più unitaria delle esigenze di classe, in quanto si sforza di ricercare meglio di ogni altra la via nazionale, specifica del movimento operaio italiano e quindi di raccogliere su di essa l’intera classe lavoratrice, compresa la sua larga ala cattolica. Forse le deliberazioni del Congresso trascendono il momento particolare politico ed assumono un valore più generale, europeo, in quanto definiscono la posizione originale di un partito la cui ideologia e prassi di azione è diversa tanto da quella della socialdemocrazia, come si è venuta storicamente formando, quanto da quella del comunismo. La politica della distensione va quindi salvaguardata a tutti i costi, anche per gli evidenti riflessi sul quadro interno, come appare evidente dall'articolo scritto da De Martino in occasione della crisi seguita all'abbattimento dell'aereo-spia americano U2: La posizione del nostro partito in questo delicato momento è chiara, è la più rispondente alle attese del mondo in cui viviamo ed è una posizione legittima del movimento operaio. Essa non è una posizione di attesa, ma di lotta, non di equidistanza, ma di pacato e serio giudizio dei fatti. Essa si rifiuta di identificarsi con la politica di uno dei blocchi. Respinge altresì la tesi, riesumata con infelice impostazione, che del resto non fu mai, almeno nelle forme, nemmeno staliniana, che la lotta per la distensione coincide con la lotta di classe ed in particolare non approva tutte quelle contrapposizioni schematiche che riproducono i termini e le condizioni della guerra fredda all'interno e quindi finiscono con l'immobilizzare forze cospicue che aspirano ad una svolta politica interna e internazionale. La violenta ed ingiusta campagna che si conduce da parte comunista contro il PSI, accusato di distanza e assenza dalla lotta, è in verità rivolta contro la sola vera decisione nostra, che è quella di non identificarsi con un blocco e di non accettare la tesi della divisione in due campi contrapposti corrispondente agli antagonismi di classe. Tale campagna non ci intimidisce e non temiamo il confronto delle idee. La polemica si sposta quindi gradualmente verso la politica dell'URSS e gli stretti legami con quella del PCI, nella convinzione che sotto la guida comunista non si possa vincere in Occidente e nella conseguente affermazione della validità dei princìpi di libertà e democrazia: Il nostro esame critico ci ha condotto finora alla conclusione che l’ostacolo maggiore (…) ad un accesso al socialismo per via democratica e pacifica in Europa ed in Italia è rappresentato dal fatto che le forme storiche nelle quali si sono resi concreti gli ordinamenti politici dei partiti comunisti non corrispondono alle condizioni di sviluppo della società occidentale, alle sue tradizioni culturali, alla formazione delle forze del lavoro, nella loro vasta e complessa articolazione. Abbiamo forse con questo contestato il valore storico gigantesco della rivoluzione d’ottobre (…)? Noi ci rifiutiamo semplicemente di identificare una rivoluzione e la società che essa ha fatto nascere con gli atti concreti di tutti i governi, di tutti gli uomini, di tutti i gruppi dirigenti (…) La verità è che noi desideriamo salvaguardare la libertà di giudizio e di critica. Resta comunque forte, ancora una volta, la critica nei confronti della socialdemocrazia. Significativo è il confronto tra il commento agli esiti del XXII congresso del PCUS e quello di una conferenza dell' Internazionale socialista tenutasi a Roma: Non vi è dubbio che al confronto gli eventi del XXII aprono una fase nuova nella storia della rivoluzione e del comunismo mondiale, mentre quelli dell’Internazionale appartengono allo squallido capitolo della degenerazione socialdemocratica, dal quale non riescono a trarla fuori nemmeno le forze più dinamiche, che hanno una visione mondiale dei problemi e non quella ristretta di un club di conservatori ancien régime e tra esse in particolare il Partito laburista (…) Fin da quando il XX Congresso pose l’accento sugli errori di Stalin, facendo di essi l’unica causa della violazione della legalità e della democrazia socialista e lasciando nell’ombra la questione del potere nel suo valore più generale, cioè del potere come rapporto tra lo Stato e le masse, avvertimmo che la condanna dello stalinismo non era sufficiente a spiegare la degenerazione del potere rivoluzionario in potere personale del capo (…) Se dunque è giusto riconoscere la legittimità di una impostazione critica del problema e di una indagine oggettiva bisogna però allora fare giustizia della tesi, polemicamente comoda ma poco fruttuosa, secondo la quale la nostra posizione aveva soltanto un valore strumentale, era cioè rivolta a scopi contingenti di politica interna. E' evidentemente un crinale difficile, quello su cui si muovono De Martino e il gruppo dirigente del PSI: preparare l'ingresso socialista nell'area di governo (accettandone quindi le alleanze internazionali) senza rinunciare alla propria peculiare fisionomia (diversa dalla tradizione socialdemocratica), evitando, se possibile, una scissione e mantendendo, comunque, un dialogo con i comunisti. Una difficoltà che si traduce, sul piano degli avvenimenti internazionali in scelte come quella della richiesta di "un onesto compromesso" in occasione della crisi di Cuba: In questa crisi il partito socialista ha mirato a distinguere il problema dell’indipendenza di Cuba e del suo diritto a sviluppare la rivoluzione sociale come meglio aggrada al suo popolo (…) Per quanto riguarda il primo aspetto del problema il partito socialista ha manifestato la sua solidarietà con il popolo cubano, ha espresso la sua riprovazione del blocco americano come atto unilaterale e destinato ad aggravare la tensione, non ha mancato di ricordare le responsabilità della politica statunitense. Ma il partito socialista, essendo neutralista e contrario ai blocchi, non poteva ignorare che l’installazione di basi missilistiche a Cuba, con estensione delle posizioni strategiche sovietiche in prossimità delle coste americane, diveniva un momento dello scontro tra i blocchi, qualunque fosse il motivo che determinò il governo sovietico a tale decisione. Per questo esso fin dall’inizio domandò che il governo italiano appoggiasse un “onesto compromesso” all’ONU. Ed un onesto compromesso in altro non poteva consistere che nella garanzia dell’indipendenza cubana e nella eliminazione delle basi missilistiche. I comunisti e con essi rilevanti settori del nostro partito videro soltanto il primo dato del problema, perché essi si considerano parte di un blocco, o per dir meglio interamente solidali con un blocco. Essi quindi prima negarono l’esistenza delle basi missilistiche, del che non potevano saper nulla per conoscenza diretta, considerarono il blocco americano come l’inizio dell’aggressione imperialistica contro Cuba e quindi impostarono la loro campagna in questo senso, non senza i consueti attacchi ai socialisti. Sarebbe molto ardito sostenere, dopo le sagge ed altamente responsabili decisioni di Krusciov ed il ritiro delle basi, che i comunisti avessero avuto ragione e noi torto. Ma forse è ancora più ardito sperare che qualcuno riconosca questa nuova lezione e divenga più cauto, anche se continuerà a parlare in nome dell’unità. Sono posizioni che ritroveremo nell'intervento di De Martino al Comitato centrale dell'11 dicembre 1963 che darà il via libera alla partecipazione del PSI al governo. In particolare, per quanto riguarda la politica internazionale e di fronte alle critiche della sinistra del partito, De Martino ribadirà che il PSI non ha mai rinunciato ad una ispirazione neutralista della politica estera, ma ha ritenuto, nella fase nuova di distensione dei rapporti internazionali, che il modo migliore di esprimere questa sua naturale ispirazione, legata alla lunga tradizione storica di lotte del partito per la pace, trovava il suo migliore campo di esplicazione in una presenza attiva che movesse dal riconoscimento dello stato di fatto, e cioè dalla considerazione che il nostro paese appartiene a una determinata alleanza entro la quale oggi è possibile portare questo spirito nuovo per esercitare un'azione più incisiva al fine del superamento dei blocchi, e quindi al fine del conseguimento di quei compiti e di quegli obiettivi che il PSI ha sempre proclamato. La segreteria De Martino Pochi giorni dopo la formazione, a seguito della crisi del giugno-luglio 1964, del secondo governo Moro, muore a Yalta Palmiro Togliatti. La pubblicazione del suo "memoriale" postumo e i contrasti all'interno del mondo comunista tra cinesi e sovietici inducono De Martino a fare il punto sulla situazione internazionale e sui rapporti tra comunisti e socialisti. La parte più debole del documento è, per De Martino, proprio quella che concepisce il mondo diviso in due blocchi quasi impenetrabili, quello del socialismo e della pace e quello dell'imperialismo e della guerra. Il quadro, secondo De Martino, è meno pessimistico, grazie anche al ruolo della Chiesa di Giovanni XXIII, dell'America di Kennedy e della stessa politica sovietica, di cui, in realtà, sembra aver preso atto lo stesso Togliatti nel rivendicare la propria autonomia di giudizio e nell'ammettere con chiarezza "la diversità delle condizioni storiche in cui operano i singoli partiti e quindi il pieno riconoscimento delle possibilità esistenti nell'Occidente di una partecipazione al potere dei lavoratori, anche insieme ad altre forze politiche". Sono tutti concetti alla base della relazione di De Martino, diventato nel frattempo segretario al posto di Nenni, nominato vicepresidente del consiglio, al 36° congresso del PSI del 10-14 novembre 1965. L'unificazione socialista porrà, però, problemi di linea anche per quello che riguarda la politica estera (indicativo è il caso delle differenze tra la componente socialista e quella socialdemocratica sulla guerra nel Vietnam, come è evidente nella stessa relazione di De Martino al congresso straordinario tenutosi a Roma nell'ottobre 1966 e in quella tenuta al primo Comitato centrale del PSU, il 14 gennaio 1967. La parte dedicata alla politica internazionale mostra chiaramente la posizione della componente socialista, con una critica esplicita alla politica di potenza cinese, ma anche agli USA per il veto nei confronti dell'ammissione della Cina all'ONU, tema sul quale i socialisti (e in particolare Pietro Nenni, nel suo breve periodo di permanenza al ministero degli Esteri) si impegneranno con grande decisione: Il conflitto nel Vietnam e l'intransigenza della politica cinese, che persegue ormai chiaramente puri obiettivi di potenza, hanno fatto dell'Asia il continente più tormentato del mondo ed il più pericoloso per la pace mondiale. In Asia non si scontrano solo Cina e Stati Uniti, ma si fronteggiano sempre più minacciosamente le due grandi potenze comuniste. Forse anche i recenti drammatici fatti della "rivoluzione culturale" oltre che dipendere da fattori interni sono un riflesso di questa dura lotta per l'egemonia nel movimento comunista mondiale. Come socialisti non possiamo che trarre da questi impressionanti fatti conferme per le nostre idee, per la loro umana superiorità rispetto alla spietata implacabilità della pratica comunista (...) Da questo lato non possiamo non lamentare la mancanza di una giusta politica dell'Occidente verso la Cina, a cominciare dal rifiuto dell'ammissione all'Onu, problema per il quale si è troppo subìta la volontà americana. D'accordo con i laburisti e con i partiti socialisti dell'Internazionale occorre intensificare la nostra lotta per ottenere che l'Italia assuma un atteggiamento positivo e risolutivo su questo tema. La seconda parte della relazione, strettamente connessa alla prima, è dedicata all'Europa e al suo processo di integrazione, per il quale De Martino auspica l'ingresso dell'Inghilterra nel Mercato comune e mostra un atteggiamento nel complesso scettico nei confronti della possibilità di un'unificazione tedesca all'interno dell'Europa unita : Meglio è lavorare concretamente, conseguendo successi magari limitati e parziali nello stabilimento di buone relazioni tra le due Germanie, per giungere ad un libero scambio delle merci e delle persone. Il resto potrà venire con il tempo e quel che oggi sembra impossibile divenire invece possibile e realizzabile. Un fatto certo di grande importanza e positivo significato, anche per la causa dell'unità tedesca, sarebbe una coraggiosa dichiarazione del governo della Germania occidentale sulle frontiere dell'Oder Neisse, che porrebbe termine ai fondati timori dei paesi confinanti dell'Est di una possibile volontà di rivincita della Germania. In quest'ottica, De Martino non può non vedere con favore la nomina a Cancelliere di Willy Brandt e l'avvio della Östpolitik: Sebbene non fossimo d'accordo con quei paesi i quali consideravano e considerano la divisione delle due Germanie un fatto storico definitivo, perché non ritenevamo possibile nell'età contemporanea dividere una grande nazione in due stati, tuttavia abbiamo sempre compreso le ragioni che ispiravano questa politica di smembramento della Germania. Popoli che hanno sofferto duramente l'invasione nazista, che hanno visto sterminare intere comunità, non possono che aspirare profondamente ad una sicurezza fondata sulla diminuita potenza tedesca. Ma l'ascesa a Cancelliere di Brandt, dopo i suoi dichiarati intendimenti di apertura verso rinnovati contatti con l'Est, può indurre ad una rimeditazione di questo indirizzo tradizionale ed a ricercare nuove vie per la comune sicurezza europea. Questo fatto apre dunque molte possibilità per realizzare una Conferenza per la sicurezza europea, con l'intento di giungere ad un patto di sicurezza collettiva di tutti gli stati europei, garantito dagli USA e dall'URSS. Nello stesso periodo, la già citata scheda del Dipartimento di Stato descrive un De Martino che mostra di essere poco interessato alla politica estera. Rifiuta decisamente il modello di società sovietica, ma rifiuta anche il modello scandinavo e quello degli Stati Uniti, anche se per differenti ragioni. Accetta la Nato come alleanza difensiva, ma lo fa senza entusiasmo e come un male necessario. E' amichevole nei confronti degli Stati Uniti, ma critico di molte delle nostre politiche - al momento in particolare sul Vietnam e sulla Cina comunista. Nel passato ha avuto buone relazioni con funzionari dell'Ambasciata e nel 1962 mostrò un certo interesse teorico per una (eventuale) visita negli Stati Uniti. Da quando è divenuto segretario di partito, comunque, è divenuto inaccessibile ai funzionari dell'ambasciata sul piano del lavoro e non mostra interesse ad entrare in contatto con l'ambasciata. In realtà, come abbiamo cercato di dimostrare, De Martino è interessato alle vicende internazionali, anche se particolarmente attento alle loro ripercussioni sul quadro politico interno, soprattutto in una fase di incertezza e confusione come quella attraversata dall'Italia nei primi anni '70. Nell'ottobre 1971 il Comitato centrale si pronuncia a favore di una politica di "nuovi equilibri", di un nuovo rapporto con il PCI, da inserire gradualmente nell'area di governo, grazie alla "mediazione" decisiva del PSI ed in vista della costruzione di un'alternativa di sinistra. Anche su questa prospettiva giocava l'esempio delle vicende internazionali, in particolare quella della Francia (con la rifondazione, al congresso di Epinay del giugno 1971, di un partito socialista fortemente orientato a sinistra, sotto la guida di François Mitterrand, a sinistra) e del Cile, governato da una coalizione di sinistra salita al potere democraticamente sotto la guida del presidente Salvador Allende. Persisteva inoltre la particolare e naturale attenzione (concretizzatasi anche in aiuti di carattere economico) verso quei paesi dell'Europa mediterranea (Grecia, Portogallo, Spagna) sottoposti ancora al giogo di dittature fasciste. In un'intervista rilasciata il 25 marzo 1972 a Leo Wollemborg sul Daily American De Martino, in procinto di sostituire Giacomo Mancini alla guida del PSI, iniziava quindi a delineare la sua strategia degli "equilibri più avanzati". Pur riaffermando l'autosufficienza della maggioranza di centro-sinistra, i voti comunisti "non dovranno essere respinti pregiudizialmente quando possono servire a rafforzare la maggioranza favorevole a provvedimenti specifici proposti dalla coalizione di governo o a introdurre emendamenti migliorativi accettabili per essa". Ciò per mettere alla prova la conclamata volontà del PCI di non attenersi ad una politica del "tanto peggio, tanto meglio" e senza dimenticare che esso era portatore delle aspirazioni di larghe masse popolari, anche se spesso espresse attraverso una concezione burocratica e accentratrice della democrazia interna. La parte dell'intervista che più interessa il nostro discorso è però quella relativa alla persistenza di un legame molto stretto tra PCI e URSS, al punto che il neo-segretario Berlinguer non aveva preso esplicitamente posizione a proposito della situazione in Cecoslovacchia o del dissidio fra Mosca e Pechino. Di fronte a questo stato di cose, De Martino rimarcava che il motivo principale per cui la partecipazione del PCI ad una maggioranza di governo non appare possibile, oggi e per molto tempo in avvenire, scaturisce dalle posizioni del partito sulle questioni internazionali, in particolare dai suoi legami con l'Urss e proseguiva sottolineando le profonde differenze fra noi e i comunisti sui maggiori temi internazionali. (Il PCI) nonostante abbia fatto qualche progresso in tal senso, non ha effettivamente affrontato il problema di fondo, cioè la sua autonomia nelle questioni di politica estera. I comunisti italiani dovrebbero, invece, spostarsi su posizioni analoghe a quelle da noi adottate prima che si formasse la coalizione di centro-sinistra, quando cioè accettammo l'alleanza atlantica come un fatto acquisito, pur non essendone entusiasti e insistendo perché ai relativi impegni fosse data un'interpretazione strettamente riflessiva (sic) e geograficamente ben delimitata. E' una posizione ribadita dall'editoriale di De Martino sull' "Avanti!" del 6 maggio 1973, nel quale sottolinea che i compiti che il movimento socialista deve assumere in un paese industrializzato dell'Europa occidentale sono estremamente complessi e alquanto differenti da quelli del movimento dei lavoratori in altri periodi storici e riguardano soprattutto la necessità di preservare le istituzioni democratici e perciò di assumere funzioni di governo se la situazione politica lo richiede o lo rende possibile. Risulta quindi solo parzialmente vero quanto affermato da Ennio Di Nolfo, e cioè che De Martino, con la strategia degli "equilibri più avanzati", tentasse di eludere, illusoriamente, i vincoli internazionali della guerra fredda. Più persuasiva l'osservazione secondo cui la strategia di conglobare il PCI nell'area di governo coincideva sostanzialmente con quella di Moro e finiva quindi per portare "allo schiacciamento del partito più debole nella tenaglia dei partiti più forti". In ogni caso, come è noto, dopo il golpe cileno, il PCI di Berlinguer respingeva la strategia demartiniana e ogni ipotesi di alternativa di sinistra, preferendo delineare il quadro di un accordo con la DC, il "compromesso storico". Le difficoltà della politica socialista si fanno, da questo momento, via via più evidenti. Ne è un testimone, attento e interessato, ancora una volta l'amabasciatore statunitense a Roma, Volpe, che da una parte suggerisce al Dipartimento di stato, di contattare i leaders socialdemocratici europei (soprattutto i tedeschi) perché avvicinino De Martino "combining persuasion and hard realities" e lo convincano del pericolo di farsi garante di un ingresso del PCI nella maggioranza governativa, dall'altra, a partire dall'estate 1975, inizia a verificare la possibilità di un viaggio negli USA del segretario socialista allo scopo, per usare le parole di un alto funzionario del ministero degli Esteri, Roberto Gaja, dimostrare che "the socialists are prepared to engage in cooperation with the United States government". Volpe inizia una serie di sondaggi, ottenendo il parere sostanzialmente favorevole del segretario repubblicano, Biasini, di quello democristiano, Zaccagnini, del ministro degli Esteri, Rumor, e dello stesso presidente della Repubblica, Leone, amico di lunga data di De Martino. Volpe incontra però le perplessità del Dipartimento di stato espresse, con una buona dose di cinismo, dallo stesso Kissinger in un dispaccio del 19 settembre 1975: For the moment we wish to give the De Martino visit more thought. We need to know more about the PSI's attitude on issues of importance to us other than just a willingness to "cooperate" with the United States government. The PCI, after all, has made ouvertures along that line. Volpe tenterà successivamente di replicare a Kissinger citando l'intervista concessa da De Martino il 16 dicembre 1975 al solito Leo Wollemborg, sottolineando soprattutto i passaggi nei quali il segretario socialista metteva in risalto la fedeltà dei socialisti all'alleanza atlantica, ai valori dell'Occidente e l'impegno nella costruzione di un'Europa unita e democratica (anche se l'ambasciatore americano non può fare a meno di rilevare che questa parte dell'intervista non era stata riportata nel riassunto dell' "Avanti!" e soprattutto il fatto che l'omissione, da parte di De Martino, della richiesta di associare in tempi brevi il PCI al governo non significava che i socialisti avessero abbandonato questa posizione). Nel suo rapporto di fine anno al Segretario di stato Volpe sottolinea quindi che: Despite the newfound formal unity, the PSI remains sharply divided in many issues. The most important of these are its relationships to the PCI and to the DC. A large segment of the party wishes to estabilish a common front with the PCI now, while De Martino (speaking for the party) talks of a long-term goal of common action with the PCI and at the same time hints at cooperation with the DC until such time as the PCI has moved completely away from mother Russia. The party is also divided, along different lines, on immediate tactics: some wish to provoke a crisis and early elections in the immediate future in the expectation of great PSI gains, while others reportedly wish to provoke a crisis in order to obtain better terms for a return to cooperation with the DC (...) At the same time the PSI is profoundly worried about the possibility that the PCI and DC will get together and in the process squash the PSI. These strongly and deeply felt emotions intensify the PSI's traditional propensity for erratic behaviour. In the judgement of most observers, the PSI remains the most unstable and unpredictable element in the political scene at the moment E' il 31 dicembre 1975. Poche ore dopo, la pubblicazione sull' "Avanti!" dell'editoriale di Capodanno di De Martino confermava, aprendo di fatto la crisi di governo, le previsioni di Volpe. Nella sua ultima relazione da segretario, al congresso di Roma del marzo 1976, De Martino delinea una visione europea ed occidentale del socialismo e sembra aver ormai compiuto il percorso che lo porta ad accettare la realtà del bipolarismo e, quindi, ad abbandonare il tradizionale neutralismo del PSI: Dalla constatazione che il sistema attuale dei rapporti di forza poggia su di un equlibrio, detto bipolare, cioè costituito dal rapporto fra le due maggiori potenze mondiali, con una tendenza obiettiva sollecitatrice del processo di distensione, viene confermata ed ancora più esaltata la posizione tradizionale socialista, rivolta ad accentuare nell'ambito delle alleanze esistenti la funzione autonoma dell'Italia. Tale possibilità giustifica del resto il superamento dell'antica posizione neutralista del Partito, che oggi non favorirebbe l'azione per la distensione ed il superamento dei blocchi. La divisione del mondo in blocchi non va però accolta staticamente, come mantenimento dello status quo, ma dinamicamente, per costruire un più stabile sistema di sicurezza e di pace, rifiutando mutamenti unilaterali dell'equilibrio, ma sollecitando un ruolo più autonomo dell'Europa e della stessa Italia. D'altra parte, il mantenimento dello stato di cose createsi in Cecoslovacchia dopo l'intervento sovietico e le persecuzioni cui sono sottoposti Dubcek e gli altri fautori del nuovo corso, incide negativamente sul corso delle relazioni internazionali e rafforza la convinzione per cui il Partito non ha mai inteso sacrificare il sistema politico democratico alle esigenze sociali, limitare cioè la libertà per la giustizia ed anzi si è sempre più venuto rafforzando nell'idea che la libertà e il socialismo sono termini indissolubili. Questo vuol dire che il PSI si colloca in una visione europea ed occidentale del socialismo, accetta e fa propri valori fondamentali umani che sono il frutto di secoli di lotte politiche, nelle quali una gran parte spetta al movimento dei lavoratori. Come più volte è stato detto conviene ribadire che la critica socialista al sistema delle libertà borghesi non è all'idea della libertà, ma al carattere puramente formale di essa per la mancanza delle condizioni reali, materiali, che ne sono un indispensabile presupposto. Gli ultimi anni: la ricerca di "un nuovo socialismo" Più che la sia pur meritoria battaglia pacifista e contro l'installazione degli euromissili, di cui probabilmente, nell'ottica non realistica che caratterizzava la sua posizione ("non vi è nulla di più irrazionale della ragione di Stato, la quale detta massime tanto solenni ed apodittiche quanto regolarmente smentite dai fatti") sottovalutò gli effetti sulla conclusione del conflitto bipolare, mi pare interessante e molto attuale la sua riflessione sul futuro del socialismo: "La necessità di andare innanzi si impone e il nostro compito non è quello di rimasticare bene o male antiche teorie, ma di elaborare la teoria socialista del nostro tempo". Una riflessione che non può prescindere da una spiccata attenzione al quadro internazionale: non è un caso che la mozione presentata dalla Sinistra unita per l'alternativa (Achilli e De Martino) al congresso del PSI di Palermo (1981), dedicasse ad esso ampio spazio, iniziando con la descrizione dei problemi legati alla crisi del welfare state (che stava ormai per iniziare a toccare l'Europa) e della ripresa del clima di guerra fredda: La marea montante già tocca l'Europa (...) E' evidente che la pressione e l'attacco investono in particolare le forze di sinistra: nella loro concezione politica, in quanto poco affidabili in una logica di sicurezza; nella loro strategia internazionale, in quanto sostenitrici della distensione e di una politica di apertura alle forze progressiste del terzo mondo; nella loro autonomia, in quanto socialisti, socialdemocratici o comunisti rifiutino di allinearsi nelle trincee della guerra fredda e soprattutto rifiutino di accettare la tesi che la pace si garantisce con una corsa senza freni ad armi sempre più distruttive ed incontrollabili e trasformando l'Europa in un arsenale di armi nucleari (...) E' paradossale, rispetto a questo quadro e tenendo conto della storia dei vari partiti, che proprio il PSI abbia offuscato la sua tradizione internazionalista, assumendo posizioni che lo collocano, su certi temi, alla destra dello schieramento socialista europeo fino a fare propri, in più circostanze, i giudizi e le analisi della realtà mondiale affermati dalla nuova amministrazione americana. La partita è comunque tutt'altro che chiusa. La logica della guerra fredda non ha ancora vinto. A differenza di trent'anni fa, un vasto arco di forze può oggi essere impegnato nella lotta al bipolarismo e alla sua logica militare. Il ruolo del PSI all'interno di questo schieramento è stato, sino a tempi recenti, di sollecitazione e di stimolo; tale ruolo deve oggi più che mai essere mantenuto. Sarebbe ben grave che ragioni di politica interna fossero di impedimento o di ritardo rispetto ai nuovi compiti, che sono di fronte a tutta la sinistra europea, ed ai necessari impegni per la loro realizzazione. Non è quindi un caso che De Martino muova, a questo proposito, da una classica considerazione di ordine realistico, quella dell'anarchia internazionale: Assumiamo dunque come dato di conoscenza l'egoismo umano nel campo economico ed in quello dei rapporti mondiali l'esistenza delle massime potenze e della disuguaglianza delle nazioni. Con tale premessa diamo per risolta la disputa sui fondamenti dell'economia politica e sui princìpi massimi dei rapporti internazionali e non accettiamo alcuna ideologia prefabbricata. Il nostro intento è di procedere ad una revisione della teoria socialista, che muovendo da una visione pessimistica previene le dure smentite della storia. Un "nuovo socialismo" quindi (espressione che De Martino, in definitiva, preferirà a quella di "terza via") che, partendo da una riflessione critica sulle esperienze storiche del comunismo e della socialdemocrazia, sappia coniugare le esigenze delle libertà individuali e quelle della collettività, tanto più in un'epoca di straordinario sviluppo della tecnica, nella convinzione (riprendendo le tesi di Enrico Barone e quelle del Partito d'Azione sull'economia a due settori) della compatibilità tra mercato e socialismo, o forse, per meglio dire, di una politica di programmazione che tenga conto dei problemi che pure De Martino elenca, cogliendo le conseguenze del processo di globalizzazione: I problemi che riguardano l'economia e le forze del lavoro nei prossimi decenni saranno di grande complessità e serietà, condizionati in buona misura da fattori internazionali e dalla disponibilità di materie prime, a cominciare dall'energia. L'attività economica non può che configurarsi in un quadro di previsioni organiche e non si può lasciare al cosiddetto mercato di stabilire gli orientamenti delle forze produttive. Non si può per il verso opposto trascurare le esigenze dei consumatori e per questo devono funzionare meccanismi, che permettano il manifestarsi di tali esigenze e la loro influenza sulla produzione. E', quello dell'ultimo De Martino, uno sforzo teorico e progettuale che implica anche, nella ricerca del consenso su tali scelte, una "pedagogia del socialismo" che in Italia, dopo il riformismo turatiano, non si è probabilmente più realizzata: il consenso indispensabile non lo si può ottenere se non con l'esperienza della superiorità dei mezzi socialisti rispetto a quelli privati, una superiorità non solo etica, ma anche economica. Occorre cioè che la parte socializzata dell'economia dimostri di essere più efficiente della privata.
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