LE RIFORME CHE POSSONO SALVARE LA SINISTRA - di Anthony Giddens da "La Repubblica" dell'8 giugno 2005
21 giugno 2005
Solo pochi anni fa sembrava che la sinistra fosse nuovamente in marcia, in ripresa dopo la «fine del socialismo» del 1989. Negli Usa i democratici erano infine tornati al potere con Bill Clinton, e la carta geografica europea si colorava quasi ovunque di rosso, o almeno di rosa. E adesso? Quanto meno, il mese scorso Tony Blair e il New Labour sono stati riconfermati per la terza volta: un risultato notevole in un Paese ove il Labour, in tutta la sua storia, non era mai riuscito a rimanere al governo per due intere legislature.
Frattanto però in Germania la coalizione SPD/Verdi di Gerhard Schroeder è in gravissime difficoltà, e i socialdemocratici sono stati sconfitti in altri due Paesi che sembravano appartenere naturalmente alla sinistra: la Danimarca e l´Olanda. La Spagna ha riportato la sinistra al governo, ma si è trattato di un risultato inatteso, influenzato in parte dalle bombe esplose a Madrid. E a Washington Bush e i repubblicani sono saldamente in sella non solo alla Casa Bianca, ma in entrambe le camere del Congresso
Cos´è rimasto della sinistra? Questa domanda è stata al centro di innumerevoli convegni dopo il 1989; e dovrei saperne qualcosa, dato che sono stato coinvolto in molti di quei dibattiti. Ma al punto in cui siamo, non dovremmo riproporre lo stesso quesito a tutto campo? Io credo di sì. Perché la sinistra oggi ha bisogno di sviluppare un discorso pertinente, se vuole avere qualche probabilità di tornare al potere; e ha soprattutto bisogno, per quanto possibile, di essere unita. Ovviamente, le divisioni esistono anche a destra. Ma la storia della sinistra è molto più irta di scissioni e frazionamenti; e forse è soprattutto per questo che solo di rado è riuscita a conquistare il potere, e il più delle volte per periodi limitati. Questo è vero anche per l´America, dove senza la candidatura di Ralph Nader, molto probabilmente Bush sarebbe stato battuto da Al Gore alle elezioni del 2000. Infine, anche il voto francese sul Trattato costituzionale ha fatto emergere con chiarezza le divisioni della sinistra.
Non si può sperare di unificare l´intera sinistra, con tutte le sue componenti. Inevitabilmente, dovremo sempre mettere in conto l´esistenza di gruppi di estrema sinistra, contrari alla globalizzazione, pronti ad accusare gli USA di tutti i mali del mondo e a rivendicare la fine del capitalismo in nome di qualcosa di non meglio specificato. Ciò che dobbiamo chiederci è come unire e rafforzare la sinistra moderata, o il centro-sinistra: una forza in grado di guidare il centro politico e di raccogliere un ampio sostegno elettorale. Ma esistono i comuni denominatori per una sinistra che risponda a questa definizione, e sia capace di mettere a punto un´agenda complessiva, tenendo quanto meno in scacco eventuali motivi di disaccordo?
Ho seguito il vivace dibattito che si sta conducendo oggi in Italia sull´ipotesi di rinunciare in qualche misura, ai fini di un programma comune in grado di integrare la sinistra, all´idea socialdemocratica, in favore di un più amorfo liberalismo sociale. Per quanto mi riguarda, io non lo credo. Può darsi che la «socialdemocrazia classica» degli anni 1960 e 1970, fondata su una concezione keynesiana, sia ormai praticamente morta. Non così la democrazia sociale. Non mi faccio scrupolo di affermare che una terza via socialdemocratica (o se si preferisce, un socialismo riformista) continua a rappresentare una proposta altamente pertinente per il mondo di oggi. Quando scrissi, nel 1998, il libro dal titolo «La Terza via», scelsi come sottotitolo «Il rinnovamento della socialdemocrazia», dato che per me si tratta di due modi per dire la stessa cosa.
Credo che per i socialdemocratici revisionisti di oggi i valori chiave della socialdemocrazia - la solidarietà, l´egualitarismo, la tutela dei più vulnerabili - non abbiano perso nulla della loro importanza. In questo senso la socialdemocrazia differisce dal liberalismo, poiché considera di vitale importanza l´elemento «sociale». E per il perseguimento di quest´obiettivo ritiene essenziale un modo di governare attivo, che utilizzi l´intervento dello Stato, pur senza limitarsi ad esso.
Se i valori rimangono relativamente inalterati, è però necessario, in un mondo in rapida trasformazione, rivedere radicalmente le strategie e le politiche. Ecco quali sono gli imperativi della terza via socialdemocratica: credere in un modo di governare attivo, alla condizione irrinunciabile di una contemporanea riforma dello Stato, soprattutto laddove è eccessivamente gerarchico, burocratico o inefficiente; riformare i sistemi del welfare per adeguarli a un contesto sociale in via di mutazione: porre l´accento sul dinamismo economico, la creazione di posti di lavoro e la necessità di affrontare queste tematiche congiuntamente a programmi di giustizia sociale; sviluppare soluzioni di centrosinistra a problemi che in passato sono stati i cavalli di battaglia della destra - in particolare l´identità nazionale, la legalità e l´ordine, l´immigrazione; e mantenere un atteggiamento positivo, seppure critico, verso la globalizzazione nelle sue diverse accezioni.
Se in molti paesi la sinistra ha finito per deragliare, la causa va ricercata, più ancora che nella mancanza di un programma complessivo, nelle sue divisioni. Le quali ultime riguardano in particolare due questioni: la risposta da dare al populismo e alle sue ansie su questioni quali l´identità nazionale e l´immigrazione, e la riforma strutturale dell´economia e del welfare. Se in passato avevo considerato il populismo come la principale minaccia al progresso politico della sinistra e alla sua unità, oggi sono di parere diverso. Di fatto, gran parte della sinistra non sottovaluta più il timore di un´erosione dell´identità nazionale; e dopo varie sconfitte elettorali provocate dall´ascesa degli schieramenti populisti, sono ormai in pochi a considerare infondate le ansie causate dall´immigrazione. Si tratta di preoccupazioni che esigono una risposta. In questo senso, i recenti risultati elettorali del Regno Unito sono stati incoraggianti. L´elettorato ha dato atto al Labour di aver preso sul serio questi problemi. E i Tory, che avevano centrato la loro campagna sulla questione dell´immigrazione al punto da flirtare con il più scoperto razzismo, non ne hanno tratto alcun giovamento in termini di voti.
Ma è sulla questione delle riforme strutturali che la sinistra si sta frammentando, se non sfasciando, soprattutto in Germania, in Francia e in Italia, cioè nei paesi del nucleo centrale dell´Unione Europea. Senza le necessarie riforme questi paesi - e con essi buona parte dell´UE nel suo complesso - non riusciranno a migliorare i loro livelli occupazionali, né a risolvere i problemi di un welfare dai costi insostenibili. Il problema è in parte ideologico, e in parte legato all´arroccamento di gruppi di interesse, nonché ai rapporti di questi ultimi con la sinistra. I socialdemocratici della terza via dovrebbero assumersi, a livello ideologico, il compito di convincere la parte più tradizionale della sinistra che il solo modo per salvare il modello europeo sta nell´affrontare risolutamente il cambiamento. In questo senso l´esempio ci viene dall´Europa del Nord. Nonostante il populismo (particolarmente forte in Danimarca) i paesi scandinavi hanno dimostrato che le società moderne possono essere economicamente competitive e raggiungere al tempo stesso alti livelli di giustizia sociale: un risultato ottenuto non rifiutando il cambiamento, ma con l´atteggiamento opposto. I socialdemocratici scandinavi hanno dato prova di essere i più revisionisti d´Europa.
Ma nel nucleo centrale dell´Unione Europea queste innovazioni non riescono a decollare, perché il problema non è stato messo sufficientemente a fuoco, e le resistenze appaiono più forti e radicate. O forse questi cambiamenti sono più facili da attuare in un piccolo paese, piuttosto che in una realtà sociale più vasta.
L´Agenda 2010 di Gerhard Schroeder ha preannunciato ad esempio le sostanziali riforme del mercato del lavoro e del welfare di cui la Germania ha bisogno, secondo la linea già tracciata dagli scandinavi; ma molto probabilmente il cancelliere tedesco pagherà questo tentativo con la sconfitta alle prossime elezioni. Il problema è causato non solo dall´insoddisfazione dell´opinione pubblica, ma anche dalle strategie di sbarramento da parte di organizzazioni e gruppi quali le confederazioni sindacali, e in particolare i lavoratori delle industrie manifatturiere, cui la sinistra è stata storicamente legata. E´ come se una sorta di stasi strutturale fosse in qualche modo connaturata alle società dell´Europa centrale e meridionale. Vorrei tanto avere una ricetta magica per risolvere questo problema, ma non ce l´ho. Non è facile per la sinistra confrontarsi con i gruppi e i settori dell´opinione pubblica dai quali dipendono essenzialmente le loro sorti elettorali.
Non vorrei concludere su toni troppo pessimistici. Quelle stesse forze potrebbero indebolire anche i leader della destra. Il «no» francese al referendum sulla Costituzione ha gravemente compromesso l´influenza di Chirac, sia in Francia che all´estero. Berlusconi è in gravi difficoltà, e il suo potere è probabilmente in una fase di declino terminale. Se la sinistra riuscirà a trovare l´unità nel segno di una terza via, potrà tornare al potere sia in Italia che in Francia. Ma sarà in grado di conservarlo e di portare avanti i propri obiettivi solo se riuscirà a radunare consensi per una politica attiva di riforme, superando le resistenze degli interessi costituiti.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)