LE RAMANZINE AL SINDACATO NON AIUTANO LA POLITICA – di Emanuele Macaluso, da Il Riformista del 22 maggio 2007
05 giugno 2007
Polemiche a proposito di un'intervista del Ministro degli Esteri
La segreteria della Cgil siciliana ha organizzato un seminario all'università di Palermo per ricordare il primo congresso regionale svoltosi a Caltanissetta nel maggio del 1947, con la partecipazione di Giuseppe Di Vittorio. Fu l'assise che mi elesse segretario di quell'organizzazione e al quadro sindacale, in gran parte giovani, dell'isola, ho raccontato i miei dieci anni di lotta in quel sindacato, nelle condizioni sociali e politiche della Sicilia di allora.
Gli interventi del segretario siciliano Tripi, del rettore e di Epifani mi hanno suggerito delle riflessioni sul dibattito in corso fra le forze della sinistra italiana. Anzitutto una constatazione: nella Cgil è avvenuto un notevole rinnovamento: sono molti i giovani e le donne alla guida del sindacato anche nella segreteria siciliana. L'altra osservazione è questa: i dirigenti sindacali iscritti ai partiti sono ormai una minoranza, anche al Nord. Quando giro per l'Italia mi informo sempre sullo stato del sindacato e quel che ho visto in Sicilia vale anche per l'Emilia o per altre regioni: al Partito democratico, anche tra i dirigenti nazionali, aderirà una minoranza.
Questa realtà, che a mio avviso ha una forte valenza politica, conferisce all'autonomia del sindacato un significato del tutto diverso da quello tradizionale. Attenzione, questo non significa disinteresse del quadro sindacale per la politica, anzi. A me pare che si avverta una critica per come la politica dei partiti della sinistra (tutti) si è qualificata, a partire dalla scarsa attenzione data ai problemi del lavoro: nei Ds, dove sembra esserci più fastidio che interesse, nella sinistra radicale, dove si alzano invece solo bandiere di rivendicazioni parziali, in modo spesso demagogico. Manca, invece, una collocazione dei temi del lavoro nel quadro di quelli dello sviluppo e dell'interesse generale. Epifani nel suo intervento ha osservato come il sindacato corporativo conosca una crisi profonda, in Usa come in Francia e altrove, mentre il sindacato confederale, dotato di una visione complessiva dei problemi del Paese, regge bene la prova difficile della globalizzazione. Non si tratta di fare del trionfalismo di fronte a una realtà in cui il tema della coniugazione delle antiche tutele e dei nuovi diritti rimane aperto: vale per Cgil, ma anche per la Cisl e la Uil.
Per affrontare con serietà questi problemi non sono affatto utili affermazioni come quelle di D'Alema al Corriere quando sostiene in modo generico che i sindacati «hanno perso lo slancio che ha caratterizzato l'azione del movimento sindacale, che era una forza generale che si faceva carico dei grandi temi dello sviluppo del Paese». E i partiti? Il sindacato, infatti, non è un corpo separato dal resto, i suoi aderenti e i suoi dirigenti respirano l'aria che le forze politiche producono. E se l'aria, come dice lo stesso D'Alema, è quella che si respirava nei primi anni Novanta, c'è qualcosa che non va, a proposito dell'interesse generale, nel comportamento dei partiti, compreso il suo. O no? E cosa dire su come sta nascendo il Pd?
Se questo è il quadro, il sindacato, tenderà sempre più ad assolvere funzioni di supplenza politica. È uno sviluppo inevitabile e non negativo in sé purché ci sia una forte direzione che tenga ferma la barra sul ruolo del sindacato. Occorre, infatti, evitare derive pansindacaliste abbastanza evidenti nei dirigenti di alcuni sindacati come la stessa Fiom. Tuttavia un dibattito sulle politiche governative e su quelle dei partiti non può rimanere fermo a come lo vediamo oggi. Un confronto vero, come si è visto in altri momenti della storia del sindacato e della sinistra, è necessario.