LE NUOVE SFIDE DEL SOCIALISMO – di Dominique Strauss Kahn, da La Repubblica del 4 settembre 2006
15 settembre 2006
Energia, invecchiamento, emigrati: un pianeta da riorganizzare
Essere di sinistra nasce da un rifiuto, da un grido, da una rabbia davanti all'ingiustizia sociale o politica. È un riflesso salutare. Ma non basta. Molti socialisti vogliono trasformare il mondo senza capire com'è. Altri travestono la realtà per convincere meglio che non la si può trasformare. Per me, un socialista ha il dovere di comprendere il mondo, di interpretarlo per trasformarlo - e nello stadio attuale del capitalismo ci sono contemporaneamente un progresso considerevole e un'ingiustizia incommensurabile. La rivoluzione dell'immateriale ha unificato il mercato mondiale. La caduta del comunismo in Unione Sovietica e nell'Europa dell'est, l'apertura del mercato in Cina e in India e l'emergenza dei paesi dell'America Latina hanno reso il capitale più raro del lavoro. I mercati finanziari e i loro predatori vanno a caccia di rendita e profitto.
Ne consegue - e presumibilmente sarà così per molto tempo - un nuovo rapporto tra le forze di lavoro e capitale. D'altro canto, il mercato ha portato progressi nel settore sanitario, del consumo e della comunicazione, se non dell'estensione del controllo democratico dell'umanità. Ma nel contempo ha comportato disuguaglianze senza precedenti, il saccheggio delle risorse naturali, lo sfruttamento sfrenato della manodopera e soprattutto nuove alienazioni imponendo degli standard di vita culturali e alimentari.
Non si può quindi operare per la giustizia con le stesse armi di ieri e le riflessioni dell'altro ieri. E non si può nemmeno rinunciare alla giustizia sociale, a meno di rinunciare al socialismo, e io non rinuncio! Ecco perché bisogna ripensare le sfide del mondo attuale per trovar il cammino dell'uguaglianza reale.
La prima di queste sfide riguarda il nostro approvvigionamento di energia. L'arrivo della Cina e dell'India sul mercato del petrolio fa infuocare le quotazioni e la dipendenza del mondo dal Medio Oriente ne risulta aumentata. Ora, la geopolitica del petrolio è instabile e non possiamo accettare che il nostro avvenire dipenda da un'alternanza omicida tra gli atti terroristi e la repressione di Stato.
E quel che è peggio è che il consumo massiccio di energie fossili ha conseguenze ambientali disastrose. Oggi, quindi, siamo costretti a rimettere in discussione una concezione dell'energia che abbiamo ereditato dal secolo scorso.
In senso più ampio, è tutto il nostro modello di sviluppo a essere in discussione. Big Oil, Big Three: per molto tempo questo è stato il mantra della crescita americana. Del Big Oil ho appena parlato, quanto al Big Three, i tre principali costruttori di automobili, anch'essi fanno parte di uno schema obsolescente, mentre il modello imminente si basa principalmente sui servizi alla persona e i problemi della sanità saranno uno dei punti cruciali. Questo modello porta con sé la biologia come scienza dominante, le preoccupazioni ambientali come principio della gestione pubblica, la qualità della vita come scelta collettiva.
Ma in più c'è la durata della vita! Ecco il punto nodale. La nostra società non ha mai affrontato un cambiamento simile in un tempo così breve. Questo stravolgimento affonda le radici nei progressi della biologia, rimodella i rapporti tra le generazioni, minaccia di portare al collasso il sistema previdenziale. Inoltre ripropone in termini nuovi la questione della demografia e, di conseguenza, quella dell'immigrazione.
Un'Europa che invecchia è, a lungo termine, un'Europa che muore. Incoraggiare la natalità non basterà a frenare il movimento: quando la fiducia nel futuro è scarsa, la ripresa è lenta. Se può essere utile favorire l'adozione, la soluzione principale resta comunque l'immigrazione. Dobbiamo perciò spazzar via i vecchi timori e concepire una politica dell'immigrazione positiva.
Perché la pressione migratoria resti sopportabile, bisogna però che lo sviluppo del Sud smetta di essere soltanto l'argomento di tanti bei discorsi. Oggi sappiamo che il sostegno monetario, spesso mal utilizzato, è meno efficace degli incoraggiamenti allo sviluppo dell'educazione e al miglioramento delle condizioni sanitarie. Per questa ragione le discussioni interminabili sull'accesso delle popolazioni del Sud ai farmaci generici devono finire. L'urgenza coinvolge l'intero pianeta e implica necessariamente una revisione del concetto di proprietà intellettuale, peraltro già messo in crisi dalla civiltà informatica.
La nostra democrazia è malata. Non solo perché i nostri popoli faticano a farsi ascoltare ma soprattutto perché i politici tergiversano davanti alla necessità di prendere provvedimenti risolutivi. Ecco perché il socialismo contemporaneo è anche una rottura col passato. Questa rottura non dovrebbe essere un rinnegamento ma un ritorno alle origini.
Prepararci a uscire da secoli di energia fossile e trarne le conseguenze geopolitiche, ridefinire il nostro modello di sviluppo incentrandolo sulla vita degli uomini, concentrare gli sforzi sulla conoscenza e riconsiderare le età della vita, aprirci ai popoli del Sud sgombrando il campo dagli ostacoli che ne ostacolano la sopravvivenza, riformulare il contratto democratico globale e locale: ecco quali sono i compiti del socialismo contemporaneo.
(traduzione di Elda Volterrani)