LE BASI STORICHE DELL' IDENTITA' SOCIALISTA. TURATI E IL PACIFISMO di Alberto Benzoni

19 febbraio 2018

LE BASI STORICHE DELL' IDENTITA' SOCIALISTA. TURATI E IL PACIFISMO di Alberto Benzoni

I socialisti, parlo dei socialisti della seconda internazionale, sono comparsi sulla scena dopo i democratici radicali e dopo Marx. E,a differenza dei primi e del secondo, sono stati, sin dall'inizio, convinti pacifisti.

Non così i democratici, imbevuti, ancora sin dall'inizio, di quello spirito missionario, di quel senso di superiorità intellettuale e morale che gli avrebbero spinti, a partire dalla Francia giacobina e napoleonica, a promuovere una stagione di guerre di popolo per affermare i principi della Rivoluzione e, successivamente, i diritti delle nazionalità oppresse. Non così gli interventisti democratici italiani del 1915, complici oggettivi della monarchia e dei futuri fascisti, nel travestire una guerra di conquista in una contro l'Austria-Ungheria prigione di popoli. Non così l'America giustamente vincitrice di due guerre mondiali in cui era stata trascinata contro la sua volontà ma anche, prima e dopo, espressione suprema e permanente di quella stessa "vocazione missionaria" che l'ha portata, a partire dalle guerre contro indiani, messicani, spagnoli, ad essere, sino ad oggi, ad essere la nazione più bellicista e interventista del mondo. Nella veste di legislatore, giudice, poliziotto e , all'occorrenza, di boia.

Non così Marx ed Engels e, dopo di loro, i leninisti. Per loro la violenza rimane la principale levatrice della storia. Si tratterà, allora, in questo quadro, di distinguere tra le guerre proprie e quelle degli altri; e all'interno di quelle degli altri, di prendere in considerazione la natura dei contendenti.  In quest'ottica, Marx sosterrà sino in fondo il Nord nella guerra civile americana; sosterrà, ma solo sino ad un certo punto,  la Germania nel 1870; e, infine, spingerà la sua russofobia, sino a sostenere la causa turca sia nel 1854/55 che nel 1877/78 ( curiosamente è in omaggio a questo principio che la Germania aprirà il primo conflitto mondiale con la dichiarazione di guerra alla Russia zarista; era, a giudizio del capo del governo "il modo più sicuro per ottenere il consenso dei socialdemocratici").

La socialdemocrazia, espressione diretta del movimento operaio organizzato avrà invece, come sua stella polare la lotta alla guerra. Un impegno che il socialismo italiano terrà fermo, pressoché da solo, anche nel 1915 ( gli altri erano stati travolti dagli eventi ; i nostri erano in grado di capire esattamente che cosa gli aspettava). Un impegno che è non solo ideologico ma anche esistenziale e morale.

Si è contro la guerra perché si è contro il capitalismo che la produce per i suoi obbiettivi imperialistici; ma anche perché la guerra è parte di un disegno complessivo tendente a bloccare con la violenza l'ascesa del proletariato, spezzandone l'unità e mettendo i fratelli contro i fratelli. Ma si è anche contro la guerra perché questa è fonte di disastri non solo materiali ma anche intellettuali e morali intossicando la vita della collettività nazionale a danno, ancora una volta, dei ceti più deboli.

Per questo Turati e Treves, e altri con loro, videro la guerra di Libia come segnale di una scelta avventurista e reazionaria dei nostri gruppi dirigenti. Per questo si opposero alla svolta antidemocratica e antiparlamentare delle "radiose giornate"; per questo lanciarono la formula politicamente inefficace ma eticamente grandiosa del "né aderire né sabotare"; per questo videro, correttamente, nel sorgere del fascismo, la sintesi perfetta tra una feroce lotta di classe ( il cui principale bersaglio, occorrerebbe ricordarlo sempre, non furono i "comunisti"ma le istituzioni create dal socialismo riformista) e la cultura della violenza che dalle trincee si era estesa all'intera nazione. Persero, come era inevitabile; ma salvaguardarono la loro identità per le generazioni future.

Ed è sulla base di questi principi che, pur partendo, negli anni del dopoguerra, da posizioni diverse, socialisti italiani e socialisti europei ricominceranno e continueranno per decenni, a tessere la loro tela. Convinti, come sono, che la salvaguardia della pace sia un obbiettivo in sé. E che, per raggiungere questo obbiettivo,  bisogna certo coltivare l'arte del dialogo e della mediazione, valorizzare gli organismi internazionali, moderare se non cessare la corsa agli armamenti; ma anche e soprattutto fare i conti e marcare la distanza tra cultura socialista e cultura democratica. E con la propensione naturale di quest'ultima ( e del suo stato guida, gli Stati uniti) a vedere il mondo in bianco e nero e ad interpretare le sue vicende come lotta tra Bene e Male.

 Sarà questa la Stella polare delle grandi figure del socialismo europeo ma anche dei Nenni e di Lombardi, di De Martino e di Craxi. E sarà questa linea ad essere travolta e successivamente dimenticata dopo la grande sbornia del 1989 e dei primi anni novanta. A determinare la dissoluzione pacifica del "socialismo reale"furono Helsinki e i "senza potere", i socialisti europei e i revisionisti come Gorbaciov. Ma, ad intascare i frutti della vittoria sino ad appropriarsene in toto saranno i cultori del liberismo e dell'interventismo democratico. Tra cui si sarebbero ben presto arruolati gli stessi socialisti, convinti di poter tenere le redini del processo aperto dalla caduta del muro di Berlino.

Oggi, a trent'anni data, il mondo è dominato dalla cultura del conflitto. E percorso da guerre d'ogni tipo e condotte con ogni mezzo; ad esclusione, almeno per ora, del conflitto militare aperto.

E' scomparso invece il suo antagonista; il pacifismo socialista. Perché ?

Possiamo invocare, a questo riguardo, ogni tipo di ragione oggettiva: a partire dalla mancanza di strumenti politici adeguati. L'Europa politica, quella Venere denunciata dai neocon americani per il suo rifiuto di associarsi alla scellerata avventura irachena, è lontana anni luce e non può essere sostituita dalle iniziative di singoli stati. I partiti socialisti, tra l'altro in fase di rapido riflusso, sono in una specie di terra di nessuno in cui non riescono ad essere né sovranisti nè internazionalisti. I grandi forum internazionale di mediazione e di dialogo sono stati scientemente ridotti all'impotenza.

E però, in questo disastro, le nostre responsabilità sono state pesanti. Siamo stati così frettolosi nel saltare sul carro del vincitore- la democrazia occidentale guidata dagli Usa- da dimenticare a casa la nostra carta d'identità. Nella convinzione, magari, che questa fosse scaduta.

Ora, ci vorrà del tempo per ritrovarla. E magari per rinnovarla. Il che significa che il socialismo, qui e ora, non può essere il protagonista della lotta per la pace.  Ad altri, allora, il compito di difendere la trincea: cattolici, populisti di sinistra, difensori della identità internazionale dell'Europa, cultori del realismo politico. Il nostro dovere è di sostenerli.

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