L'AGENDA SMARRITA – di Francesco Giavazzi da il Corriere della Sera del 1° aprile 2007

06 aprile 2007

L'AGENDA SMARRITA – di Francesco Giavazzi da il Corriere della Sera del 1° aprile 2007

Al termine dell’incontro di Caserta sulle riforme, il 13 gennaio scorso, Romano Prodi annunciò un’agenda in 10 punti: dall’accelerazione dei tempi della giustizia, al federalismo fiscale, a interventi urgenti per il Mezzogiorno. Vi aggiunse anche, sfidando con coraggio l’ala sinistra del suo governo, un punto specifico sulla riforma delle pensioni. A Rutelli, che chiedeva una cabina di regia sulle liberalizzazioni, disse: «Guiderò io le liberalizzazioni ». E lasciò Caserta con questo impegno: «Accelererò il più possibile. Se non chiudo il 31 marzo, sarà subito dopo». E’ la fine di marzo e, tranne per i provvedimenti del ministro Bersani approvati ieri al Senato, quei progetti non hanno fatto grandi passi avanti, soprattutto il più importante, la riforma della previdenza.

L’incrociarsi degli eventi (alcuni importanti, come il finanziamento delle missioni militari all’estero, altri un po’ più provinciali) e la grande fragilità della maggioranza sembrano aver distratto il presidente del Consiglio, tanto da fargli scordare l’impegno che aveva assunto. E oggi l’avvicinarsi di alcune scadenze elettorali suggerisce provvedimenti che sembrano più dettati dai sondaggi che coerenti con quell’agenda e con il Programma che un anno fa l’Unione aveva presentato agli elettori. La buona salute dei conti pubblici consente di ridurre le tasse: da dove cominciare? Si pensa di ridurre l’Ici e si è ormai abbandonata l’idea di armonizzare la tassazione delle attività finanziarie. In entrambi i casi perché così si spera di riguadagnare un po’ di consenso.

Che cosa pensava la maggioranza un anno fa? «Per realizzare il progetto federale occorre che siano immediatamente ripristinati i margini di autonomia tributaria già previsti dall’ordinamento». Cioè: un federalismo responsabile richiede che ai Comuni sia concessa ampia autonomia nella determinazione delle aliquote fiscali, in primis le imposte sugli immobili, che sono la loro maggiore fonte di reddito. Solo così i sindaci potranno valutare i costi e i benefici politici delle spese che vorrebbero realizzare. Alcuni alzeranno l’Ici, altri la ridurranno. Proporre da Roma una riduzione generalizzata dell’Ici è l’esatto contrario. «Il sistema fiscale italiano è distorto a danno del lavoro e della produzione. Dobbiamo invertire questa situazione attraverso una politica fiscale che realizzi... l’uniformità del sistema di tassazione delle rendite finanziarie».

Anche qui un progetto assolutamente condivisibile. Il 10% più ricco delle famiglie possiede il 40% di tutte le attività finanziarie; il 10% più povero solo l’1,2%. Quando lo Stato tassa i cittadini più poveri per pagare gli interessi sul debito pubblico preleva il 23% (l’aliquota minima) sui redditi da lavoro e lo trasferisce per lo più ai ricchi, i quali, sugli interessi che percepiscono, pagano il 12,5%. L’iniquità riguarda anche le imprese che sui loro redditi pagano il 33%. Che coerenza dimostra un governo che si spaventa e per qualche sondaggio abbandona il proprio programma? «Occorre abbattere gli ostacoli che penalizzano le possibilità di lavoro, soprattutto delle donne»: era un altro punto importante del programma. Vi sono due modi per consentire alle donne di lavorare di più. Uno costa: costruire asili, scuole materne, e non è provato che funzioni. Un altro paradossalmente raggiunge l’obiettivo facendo risparmiare lo Stato.

Alberto Alesina e Andrea Ichino hanno proposto (Il Sole 24 Ore, 27 marzo) di abbassare le aliquote fiscali per le donne e alzarle (ma meno) per i maschi. Questo «miracolo» è possibile perché gli uomini hanno un’offerta di lavoro rigida. Se fossero tassati di più, lavorerebbero un po’ meno, ma non molto meno. Viceversa l’offerta di lavoro femminile è più elastica: a fronte di una riduzione dell’aliquota fiscale molte più donne lavorerebbero. Con redditi netti più alti potrebbero lavorare anche quelle madri che oggi sono costrette a restare a casa perché altrimenti guadagnerebbero troppo poco per pagare qualcuno che si occupi dei loro figli quando sono fuori casa. Abbassare le tasse per le donne che lavorano è anche un modo per ridurre la discriminazione a loro sfavore. Un modo molto più efficace delle «quote rosa»: comeper l’inquinamento ilmodo migliore di abbatterlo è tassarlo, così per la discriminazione il modo migliore per combatterla è renderla più costosa per chi la pratica.

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