LA SINISTRA NON SI ESTINGUA AL CENTRO di Paolo Borioni
02 gennaio 2018
Gli ultimi giorni dell’anno
ispirano consuntivi e retrospettive, ma in questo caso se ne possono trarre
anche considerazioni adatte per le analisi dell’immediato futuro. Senza
nascondersi il prolungato regresso della Socialdemocrazia europea, la realtà è
più complessa. L’area liberal-conservatrice classica sta malissimo, non di rado
peggio. Perde spesso e in modo umiliante (in Portogallo e in Catalogna),
governa stentatamente e con prestazioni pessime (Uk), nella totale
frammentazione e incertezza (come in Olanda), nella dipendenza dai voti della
nuova destra nazionalista (Uk, Norvegia) o intraprendendo mutazioni verso il
nazionalismo populista (Austria, Svezia, Ungheria).
Anche laddove se ne decanta la capacità invincibile ed egemonica (la Germania
di Frau Merkel) osserviamo un vistoso calo elettorale e l’incapacità di formare
l’esecutivo oscillando fra ipotesi opposte e inconciliabili. In queste
oscillazioni scorgiamo un sintomo ancora più importante: l’indecisione delle
consultazioni di Merkel e del presidente Steinmeier non si deve ad artifizi
negoziali ma alla sensazione che governare ora con la Cancelliera sia un
azzardo. Tenendo conto che la Germania è considerata uno dei paesi vincenti,
ciò evidenzia la crisi di un’intera cultura politica. La verità è che le due
opzioni offerte al crescente scontento (astensione o voto di protesta) sono
praticate ambedue, in modo crescente, dalle classi medie, non solo da quelle
lavoratrici. Dunque, il punto non è soltanto la crisi della Socialdemocrazia, o
della sinistra europea. Anzi, da questi dati proviene per la Socialdemocrazia e
le sinistre europee una grande opportunità: una nuova comprensione sia del
mondo attuale sia di se stessi.
Una delle ragioni della crisi socialdemocratica è che quella un tempo
propagandata come estensione al centro, è divenuta in realtà estinzione
al centro. Questa “estinzione” al centro, verificatasi negli ultimi lustri,
era, fra gli altri motivi, giudicata necessaria poiché si riteneva che
l’espansione dei ceti medi soddisfatti rendesse ormai superflua sia la
richiesta di riforma del capitalismo sia la necessità di distinguersi dai
partiti liberali. Ciò lasciava il campo ai semplicismi politologici: “il voto
moderato preso al centro conta doppio”. Ma il voto dei ceti medi non è
necessariamente moderato.
Lo si comprenderebbe se, anziché con la più arida delle politologie, si
ragionasse anche con la storia, e soprattutto con la nozione di cosa la
Socialdemocrazia e la sinistra in genere (compreso il Pci) sono stati
nell’ultimo secolo. Il ragionamento da svolgere è che senza la riforma
(piuttosto profonda) del capitalismo operata da queste forze la classe media
non sarebbe stata in espansione, né tantomeno moderata. Lo provano il passato e
il presente. Questo è uno dei motivi principali per cui la sinistra, oggi, non
deve avere fretta di soccorrere le forze liberali quando soffrono anche esse la
concorrenza o il difficilissimo rapporto con la nuova destra populista (come
nei governi di Vienna e Copenaghen nel recente passato e anche, siamo sicuri,
del prossimo futuro). Occorre una terza, nuova e distinta soluzione, che non
ritenga una missione di responsabilità e civiltà democratica combattere i
nuovi, preoccupanti fenomeni schierandosi con i partiti liberali e le loro
opzioni politico-ideologiche. Corbyn, nonché il governo di Jacinda Ardern in
Nuova Zelanda e la linea politica seguita dalla leader socialdemocratica danese
Frederiksen sono segnali interessanti in questo senso.
Del resto, lasciandosi trincerare sulla linea degli ultimi lustri si otterrebbe
il contrario di una maggiore sicurezza sociale, cioè del ritorno alla
ragionevolezza progressista dei ceti medi (e operai) perduti. Insomma, oggi una
terza e diversa opzione del socialismo europeo implica la ricerca vera (per
fortuna non del tutto iniziale) di un’autonoma prospettiva di riforma del
capitalismo, fortemente critica rispetto ai dogmi degli ultimi decenni: per
esempio questa UE scambiata per modello sociale europeo, la flessibilità del
lavoro contrabbandata per produttività e opportunità, l’internazionalismo
confuso con l’abbattimento di ogni sovranità democratica. Non a caso, apertura
e ricerca di nuove opzioni di fronte al responso della Brexit (cioè dinanzi
all’evidente regresso egemonico del capitalismo costruito in questa UE) sono
alla base del successo di Corbyn. Insomma, Socialdemocrazia e sinistra europea
devono innovare molto il presente ristudiando la propria funzione storica
passata: quelle profonde riforme del capitalismo che, fino a 40 anni fa, hanno
condotto appunto verso società meno ansiogene e polarizzate. Il capitalismo da
solo, 90 anni fa come oggi, non è in grado di ottenere questi risultati. Ecco i
parametri fondamentali per comprendere cosa accadrà alla sinistra e all’Europa
nell’anno che viene e in quelli futuri.