"LA SINISTRA NON E' SPECIE IN VIA DI ESTINZIONE" di Paolo Franchi tratto da "Il Corriere della Sera" del 18 aprile 2008.
09 maggio 2008
Dagli anni Sessanta al tardo pomeriggio di lunedì scorso si è almanaccato, e ci si è accapigliati, sulle «due sinistre» e sul loro eterno duellare, solo per qualche tratto interrotto da brevi armistizi, quasi inevitabilmente destinati a dar luogo a nuove rotture. Socialisti e comunisti, riformisti e massimalisti, moderati e radicali, integrati e apocalittici. Altri tempi. Adesso, si dice, è tutto cambiato. Lo scorso fine settimana c'è stato un terremoto di inaudite proporzioni, che ha cambiato lo scenario politico, culturale e civile del Paese. Sinistra compresa, eccome. Perché l'eterna guerra civile della sinistra italiana, proseguita, seppure in altra guisa, anche dopo la caduta del comunismo e la fine del Pci, si è conclusa, sì, ma senza vincitori: si potrebbe anzi dire, parafrasando Carlo Marx, con la comune rovina delle parti in lotta. Là dove fino a qualche tempo fa c'erano ben due sinistre (con questi chiari di luna, certo, uno spreco) ora non ce n'è più nemmeno una, almeno in Parlamento: e anche questo sembrerebbe un eccesso. In Europa, un caso assai raro, per non dire unico. In Italia, un passaggio d'epoca di portata addirittura incalcolabile, che lascia i vinti nella costernazione e induce i vincitori a considerazioni soddisfatte. È così? Meglio ragionarci su. Solo un pazzo, o un cretino, potrebbe sottovalutare l'importanza di quel che è avvenuto. Prima di gridare all'irreversibile passaggio d'epoca, per rallegrarsene o per stracciarsi le vesti, è però d'obbligo un po' di cautela. E anche qualcosa di più. Perché è vero, le forze che in Italia si definiscono di sinistra (la Sinistra Arcobaleno, certo, ma pure i socialisti) per la prima volta nella storia repubblicana sono diventate, per necessità e non per scelta, extraparlamentari: un disastro infinitamente più grave della più severa delle sconfitte che rischia di indurle, basta leggere le cronache, a scontri intestini autodistruttivi (come se ci fosse qualcosa d'altro da distruggere) piuttosto che a una riflessione severa sugli errori compiuti e al cambiamento profondo di gruppi dirigenti e di indirizzo politico e culturale necessari per affrontare quella che si annuncia come una traversata del deserto. Ma di qui a dire che in questo Paese non ci sono più una sinistra e un elettorato di sinistra ne corre. Lo testimonia, in fondo, pure il gran numero di astensioni che si è registrato, secondo quasi tutti gli osservatori, proprio in questo elettorato: frutto, par di capire, più di una cocente delusione «di sinistra» per quel che è capitato negli ultimi due anni che di un divorzio dalla sinistra medesima, dalla sua storia, dalle sue speranze, dalle sue passioni e persino dai suoi tic. E lo testimonia anche, nemmeno troppo paradossalmente, lo stesso risultato ottenuto dal Partito democratico dopo una campagna elettorale in cui Walter Veltroni ha insistito giorno dopo giorno, piazza dopo piazza, sulla straordinaria novità rappresentata dal correre (quasi) da soli e sull'irreversibilità della rottura con la sinistra radicale. Secondo le prime analisi dei flussi, almeno un milione mezzo di elettori che nel 2006 avevano premiato la sinistra radicale medesima stavolta ha votato per il Pd: c'è da supporre che almeno nella maggior parte dei casi questa scelta sia maturata in nome del «voto utile » (utile, si capisce, per evitare il ritorno di Silvio Berlusconi o almeno per contrastarlo) piuttosto che per un improvviso entusiasmo per la connotazione in una certa misura «centrista», e in ogni caso dichiaratamente non «di sinistra», impressa da Veltroni al nuovo partito. Questo mondo, questa Italia più vasta, profonda e significativa del 3 e poco più per cento, roba da ultimi giorni del Psiup, che la sinistra radicale ha portato a casa, e dello zero virgola delle falci e martello e dei socialisti, è sicuramente ferita, anzi, tramortita, qualsiasi scelta abbia fatto nelle urne. Ma non è stata spazzata via il 13 e il 14 aprile. E sbaglia chi pensa che si tratti semplicemente di una specie in via di estinzione, come con ogni probabilità in gran parte lo sono, invece, i gruppi dirigenti dopo il fallimento del tentativo disperato di Fausto Bertinotti di condurli in salvo insieme al loro popolo. Magari è un po' avventuroso scommetterci su oggi. Ma la sinistra, che è al governo di tante amministrazioni locali, nel sindacato, in una parte grande dell'associazionismo, ritroverà un modo per far sentire politicamente la sua voce. Non sarà un male o un passo indietro, anzi. I problemi per la democrazia si fanno seri quando una parte significativa del Paese è priva di rappresentanza politica, non quando sta in Parlamento.
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