La sinistra che non c'è ma servirebbe all'Italia di Emanuele Macaluso - Il Riformista 22 ottobre 2007
30 ottobre 2007
Lo scenario politico cui assisto è il più triste e cupo che ricordi. Il governo c'è e non c'è; Prodi dichiara che la crisi non c'è, poi dice che c'è e poi ancora che non c'è. La maggioranza di centrosinistra si sfarina, come scrive Scalfari, ma poi giura sulla sua compattezza. Mastella dichiara che è meglio votare a primavera, ma poi ci fa sapere che si può continuare anche in estate e in autunno. Intanto Di Pietro chiede che Mastella sia cacciato dal governo. La sinistra radicale manifesta contro il precariato, ma anche contro chi potrebbe cancellarlo o limitarlo. Ma non si capisce chi è il "chi": il governo? I sindacati? I padroni? A quanto pare la cosa importante che si è voluta testimoniare con la manifestazione è una sola: ci siamo e siamo tanti. Per fare cosa non si sa. Veltroni è stato incoronato segretario del Pd tra tanti osanna e tante promesse di novità. Ma l'unica cosa che si vede è la disgregazione della maggioranza governativa. La quale come segno di vitalità al Senato ha partorito più di mille emendamenti alla Finanziaria. Tutti dicono che ormai tra qualche mese si andrà votare, ma non si sa con quale legge elettorale. Berlusconi e Fini vogliono le elezioni subito con il Porcellum e l'Unione non sa che pesci pigliare. Ieri Rutelli al Corriere ha detto che occorre fare subito la legge elettorale sul modello tedesco. Bene. Fassino e D'Alema avevano affermato la stessa cosa. Ma Veltroni e Franceschini dicono invece di volere il bipolarismo che c'è, senza gli inconvenienti rovinosi sperimentati: praticamente, l'impossibile. I leader della destra, ma anche quelli del Pd, pare che siano uniti nel negare al popolo-bue la possibilità di esprimere una preferenza. Del resto il Pd è nato con un sistema elettorale a liste bloccate. In Forza Italia non si vota proprio, si plaude il Cavaliere e poi si sventolano bandiere. In An si è consolidata la piccola oligarchia che governava il Msi e vuole riprodursi. Questa crisi istituzionale strisciante e snervante è vissuta però senza passioni politiche: la novità del Pd si va già consumando nell'impotenza politica del centrosinistra che non è solo di governo ma di sistema. E il Pd appare uno dei fattori della crisi. A destra lo spettacolo è ancora più desolante. Il Cavaliere non si smentisce e la sua iniziativa si concretizza nell'ostentare lo shopping per acquistare senatori con un solo obiettivo: tornare, costi quel che costi, a Palazzo Chigi. Ed è penoso vedere in tv tanti esponenti della destra agitarsi per questo obiettivo. Questo quadro è certo pessimistico. Tuttavia avverto che nelle file dei partiti del centrosinistra c'è preoccupazione e voglia di uscire da questa situazione. Dal magma del Pd, tra tanti giochi di potere, emerge anche una realtà di militanti e dirigenti che hanno accettato con rassegnazione il nuovo partito, perché nella situazione data, dicono, non si può fare di meglio, ma che hanno consapevolezza del rischio che corre la sinistra e con essa il Paese. Girando l'Italia, per la prima volta ho visto giovani e facce nuove nelle assemblee socialiste. Anche fra questi militanti c'è la consapevolezza delle difficoltà di far politica con una forza gracile e senza un partito largo di popolo, ma si cerca una via d'uscita che coinvolga tutta la sinistra per fare una cosa più grande. Ho incontrato anche militanti di Rifondazione che si interrogano seriamente sul futuro della sinistra, che non può certo identificarsi nella Cosa rossa. Mi chiedo cosa sia mancato per ridare alla sinistra un ruolo forte e determinante per uscire dalla crisi. E mi chiedo anche se le nostre polemiche, che sono il sale della politica, possano ritrovare un filo comune per costruire una sinistra larga. Serve in primo luogo all'Italia.
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