LA SFIDA ELETTORALE. DAI CANDIDATI VISIONE CHIARA DEL FUTURO di Gian Paolo Corda da Il Giorno del 7 febbraio 2021
07 febbraio 2021
È lecito chiedere ai candidati sindaco, che si misureranno nella prossima campagna elettorale, di provare ad elaborare e condividere la visione che hanno per la Milano del futuro? Su come immaginano Milano nei prossimi 20 anni, come vogliono trasformarla e come pensano di progettare una metropoli globale che possa diventare un punto di riferimento per il resto del mondo? Se lo chiedeva Pietro Paganini, della John Cabot University in occasione delle elezioni amministrative del giugno 2016 e torniamo a chiedercelo ancora oggi.
Sull’aspirare di Milano ad essere “metropoli globale” si potrebbe, magari dissentire, a meno di non fare riferimento a quanto demografi, geografi, economisti internazionali sostengono quando definiscono la regione urbana milanese una delle Metropolitan European Growth Area (MEGA) e la pongono sullo stesso livello di regioni metropolitane europee come Parigi e Londra.
Di una città non si può dare una chiara lettura sotto il profilo storico, economico, sociale se non la si riguarda attraverso tre aspetti: a) nella sua individualità, attraverso la quale la città si rivela nel suo disegno complessivo, b) in rapporto al contesto di ambiente-paesaggio nel quale si colloca, c) nell’interazione con le altre città, da cui può configurarsi un diverso, specifico, fatto urbano.
Forse, ancor prima di guardare al 2030, come fa il recente Piano Aria e Clima, di Milano, con politiche che riguardano la chiusura del centro di Milano ad auto che non siano elettriche o a coltivare l’idea della città dei 15 minuti fatta da 88 quartieri in cui sia dato girare a piedi o in bicicletta e di ridurre del 50% l’accessibilità con mezzo privato a Milano, mortificando la natura dell’abitare contemporaneo strettamente legata alla sinergia di relazioni di prossimità e di relazioni a distanza, occorrerebbe riflettere su cosa occorra per perfezionare il sistema urbano milanese-lombardo che giustifica la qualificazione di Milano come nodo del network delle città-mondo.
Sta qui il cuore del problema, se vogliamo trasformare Milano in un modello globale di libertà, innovazione e prosperità, ricordando che le città costituiscono i nuovi paradigmi di sviluppo, ancor prima degli Stati.
Milano e il suo hinterland sono “grandi” in quanto fanno parte di un più vasto sistema urbano, esempio di rilievo mondiale di uno sviluppo alternativo a quello, risultato congestivo, delle città-metropoli: un sistema insediativo costituito da una rete di città, dove città e campagna coesistono, nonostante lo sprawling insediativo degli ultimi decenni.
Milano, che ha colpevolmente trascurato in questi anni il suo essere Città Metropolitana, ha il dovere di farsi motore di una realtà più grande del suo Municipio, coltivando e perfezionando quel sistema urbano policentrico, che è parte integrante di quel riconoscibile spazio europeo, (il cosiddetto “Pentagono”), costruitosi nello sviluppo storico, delimitato da Londra, Amburgo, Monaco, Parigi e Milano, elemento propulsivo di un possibile sviluppo che investe tutto il territorio europeo.
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