LA SCISSIONE DEL PD di Francesco Bochicchio
21 marzo 2017
La scissione del Pd è un evento epocale: è la fine dell’equivoco del Partito democratico come Partito della Nazione, vale a dire come Grande Centro in grado di mettere ai margini le opposizioni. Il nome di Partito Democratico è già inaccettabile, in quanto presuppone l’inaffidabilità democratica degli avversari. Nell’Occidente la democraticità non dovrebbe, “rectius” non deve, essere l’elemento caratterizzante un partito, invece da contraddistinguersi per la natura sociale o liberista, per l’essere di destra o di sinistra. In America solo vi sono ragioni storiche, che fanno sì che i due grandi partiti si contraddistinguano tra di loro in maniera non radicale ed anzi con non pochi profili di trasversalità. La scissione rompe l’ambiguità, impedisce il consolidarsi del Partito della Nazione, anzi lo sgretola e lo spinge ad imprimere al Grande Centro una netta chiusura a sinistra, prima solo implicita. Lo sbocco inevitabile è la mancanza di esaustività ed onnicomprensività del Grande Centro, idoneo –ed anzi coartato- a comprendere la destra moderata. Si delinea così, in maniera ineluttabile e presumibilmente contro la volontà – i latini nella loro saggezza infinita ammonivano “Fata volentem ducunt, nohentem trahunt”- una non univocità degli scissionisti se tali da comprendere la sinistra moderata e conseguentemente da dialogare con il PD o in alternativa se rappresentare solo la sinistra antiliberista e conseguentemente essere alternativi rispetto al Pd. Il dubbio è di grande momento ma alla fine inconsistente, in quanto lo sbocco, sempre se razionale, è inevitabile: lo sfaldamento del Grande Centro a sinistra è un segno di fine dello stesso e la sinistra in tanto ha senso solo in quanto sia ad esso alternativa. Il Grande Centro è insito nella stessa natura ed addirittura nella stessa nascita del Partito Democratico –Veltroni lo rese, al momento del battesimo del fuoco, nel 2008, interclassista, affermando che anche l’imprenditore è un lavoratore come tutti gli altri-: Renzi ha reso tale natura sgradevole e con la tendenza all’unanimismo, dal che consegue l’umiliazione della sinistra Pd, la cui marginalità prescindeva dallo stesso Renzi. Questi al Partito della Nazione ha impresso una svolta personalistica alla Berlusconi, in linea con le tradizioni americane, di un partito leggero, in quanto in Grande Centro non può collocarsi più sulle orme della Democrazia Cristiana: questa aveva due caratteristiche essenziali, l’incarnare un modello vincente quale l’Occidente liberal-democratico ed in più l’idoneità a conquistarsi larghe fette di consenso di settori pur apparentemente antagonistici grazie all’utilizzo spensierato della spesa pubblica. Questi due requisiti non sussistono più. Renzi è finito, in quanto la sua arroganza e la scarsa avvedutezza politico, che lo ha portato a non comprendere che dopo il “referendum” costituzionale doveva abbassare il conflitto. La sua fine è segnata: i poteri forti che stanno dietro a lui ne hanno deciso la fine e sarà necessaria la sua sostituzione con uno dai suoi stessi contenuti -un ritorno a Berlusconi in virtù dell’identità dei toni è vagheggiato solo da pochi illusi, anche se trovano ascolto financo su “Il Corriere della Sera”- ma più capace di portare avanti il dialogo. La persona ideale è Enrico Letta, ma che non potrà imprimere una differenziazione di contenuti, potendosi limitare a salvare l’onore della minoranza di sinistra. Letta propugna una svolta sociale dell’intera Europa in modo da poter ripristinare qualcuna delle caratteristiche della Democrazia Cristiana, ma sembrano mancare i presupposti –di ciò si discuterà in altra sede-. La sinistra è costretta ad essere alternativa al Grance Centro se non vuol sparire: né si può ribattere che vista la sua marginalità sarà costretta ad essere subordinata al populismo, in Italia dei 5Stelle. Ed infatti, l’alternativa tra Grande Centro e populismo non è più esaustiva e quest’ultimo si deve caratterizzare in termini non solo di protesta ma anche propositivi. La ragione è politica: il Grande Centro incarna il sistema che non tollera più correzioni e diventa negativo verso istanze sociali anche tenui. Il populismo, d’altro canto, come protesta pura corre il rischio di diventare funzionale allo stesso sistema perché l’unico suo sbocco ruota intorno ad istanze protezionistiche che alla fine sono, nonostante le apparenze, compatibili con la globalizzazione, in quanto mantengono la coesione all’interno dello Stato nonostante le sempre maggiori differenze sociali facendo leva sull’unità nazionale: in tal modo, da un lato si blocca la lotta di classe creando una contrapposizione tra deboli interni e deboli esterni -comprendendo tra i deboli anche le piccole imprese-, ma dall’altro tale contrapposizione, potendo essere gestita solo dai Paesi forti –unici in grado di fornire adeguata salvaguardia ai deboli interni-, crea a propria volta una contrapposizione inarrestabile, nuovamente ed anzi come sempre dal 1914, tra blocchi nazionali con lo sbocco inevitabile ancora in guerre . Il populismo è forte ma inefficace. Occorre unire populismo come protesta con riformismo antiliberista come contenuti. Gli scissionisti non sono consapevoli della problematica in quanto vogliono spostare a sinistra il Pd e vogliono ricreare le basi di un vero centro-sinistra: ed infatti, il centro ha perso il proprio ruolo di moderazione e di pragmatismo per assurgere a quello di esecuzione delle strategie del capitale, che non ammette alternative e pertanto non ammette la dialettica propria della democrazia. E’ evidentemente necessaria un’alternativa, alternativa che il capitale non ammette e pertanto ben si comprende il ritorno di ampi settori, anche intellettualmente raffinati, della sinistra radicale al vagheggiare la rivoluzione, che è invece impossibile in quanto priva di un blocco sociale. Il populismo come unica forma di antagonismo al sistema è inevitabile, ma necessita di una guida anti-liberista. L’unica alternativa possibile richiede che si abbandoni il disegno di uno spostamento a sinistra del Pd, ma anche la configurazione della blocco di sinistra come mera opposizione, privo di valore a differenza del populismo essendo privo di base sociale. Occorre abbandonare il proporzionalismo –cui invece è ancorata la sinistra costituzionale da cui, dopo la grande battaglia comune del “referendum” costituzionale, lo scrivente deve, con modestia ma anche con fermezza, staccarsi-, in quanto senza una maggioranza stabile si crea una debolezza politica colmata da un Presidenzialismo di fatto come con Napolitano. L’alternativa è così possibile esclusivamente se si contrappone al capitale la democrazia: questa, in mancanza di un blocco sociale, può essere a propria volta basata esclusivamente sulla protesta del popolo che inevitabilmente deve essere incanalata entro una proposta costruttiva. In definitiva occorre spingere il populismo a sinistra -su ciò Giorgio Galli e lo scrivente sono d’accordo-, e rompere ogni canale con la destra radicale e che non ha nulla di anticapitalistico -e su ciò Giorgio Galli e lo scrivente non sono d’accordo-. Certamente, si può replicare che il populismo in tanto è forte in quanto è puro e privo di caratterizzazione politica, ma la replica è inefficace in quanto la purezza diventa preda del protezionismo e così della destra, la cui natura anti-sistemica è solo apparente. Hic Rhodus, hic salta”. Per completezza, analisi politologiche raffinate stanno mostrando che caratteristica essenziale dl populismo è la sua tendenza a risultati economico-sociali a breve, che lo rende irresponsabile: si tratta di un’analisi superficiale, in quanto in questo modo si fanno rientrare nel populismo anche tutti coloro che usano la spesa pubblica a pioggia al di fuori di una logica di correzione del sistema: dalla democrazia cristiana al partito socialista di Craxi, a Berlusconi ed anche a Renzi, mentre invece la caratteristica essenziale del populismo è esclusivamente la protesta verso il sistema, il che lo ha spinto ad essere strumentalizzato a destra quando il sistema cui si opponeva era solo politico, con una certa distinzione rispetto a quello economico, mentre ora tale differenziazione è impossibile, e la strumentalizzazione a destra si rivela dalle scarse prospettive.