LA RIFORMA COSTITUZIONALE NON AMPLIA I POTERI DEL “PREMIER”? NON E’ VERO! di FRANCESCO BOCHICCHIO
01 dicembre 2016
LA RIFORMA COSTITUZIONALE NON AMPLIA I POTERI DEL “PREMIER”? NON E’ VERO! LA RIFORMA COSTITUZIONALE NON LEDE I PRINCIPI FONDAMENTALI DI CUI AI PRIMI ARTICOLI DELLA COSTITUZIONE? NON E’ VERO! SOTTO (“RECTIUS”, DENTRO) LA RIFORMA LO SVUOTAMENTO DELLA COSTITUZIONE E L’ABOLIZIONE DEL COSTITUZIONALISMO
di Francesco Bochicchio
Si dice che la riforma Costituzionale non amplia i poteri del “Premier” e che non tocca in alcun modo i principi fondamentali di cui alla prima parte della Costituzione. Nessuna delle due affermazioni è rispondente al vero. L’art. 67 del vecchio testo così recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. La nuova versione dell’art. 67 elimina la prima parte e mantiene la seconda: “I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato”. L’art. 55, nuova versione, ha introdotto alcuni commi non presenti nella vecchia versione: ai fini del presente scritto, rilevano il secondo ed il terzo comma, “Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione” “La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo”. E’ rimasto (apparentemente) invariato l’art. 95, che così recita: Il Presidente del consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.” La vecchia versione dell’art. 67 era il caposaldo della democrazia parlamentare quale democrazia rappresentativa. Il parlamentare rappresenta la Nazione e non ha vincolo di mandato, vale a dire non è revocabile in quanto altrimenti vi sarebbe una democrazia diretta, ma la sua libertà di azione è tale (solo) nel rappresentare la Nazione. Il suo non è potere originario ma è derivato dalla Nazione. Il nuovo art. 67 mantiene la mancanza di vincolo di mandato, confermando la mancanza di una scelta per la democrazia diretta, utopica, ma elimina il riferimento alla circostanza che il parlamentare rappresenta la Nazione: si tratta di eliminazione non banale in quanto si tratta di elemento tale da contraddistinguere la democrazia rappresentativa e da statuire la mancanza di un potere originario dei parlamentari. Ma come visto l’elemento viene ripreso dall’art. 55 nella nuova versione per i soli componenti della Camera dei deputati: la modifica sarebbe di sola collocazione della previsione per tener conto del venir meno del bicameralismo perfetto e per non estenderla ai senatori. Si tratta di nuova collocazione incoerente. in quanto riferita non più allo “status” del parlamentare, ora del solo componente della Camera dei deputati, ma alla funzione delle Camere. Se quella parlamentare è una democrazia rappresentativa e non diretta, non ha senso spezzare tale circostanza in due norme. Ma l’incoerenza non è innocua. La rappresentanza della Nazione non è più elemento tale da contraddistinguere lo “status” di parlamentare, ma è l’elemento base delle funzioni della Camera, e così ha valore non illimitato ma solo nei limiti necessari per le funzioni, di titolarità della fiducia conferita al Governo, di esercizio delle funzioni di indirizzo politico e di controllo sull’operato del Governo stesso. Il primo (fiducia al Governo) ed il terzo elemento (controllo sull’operato del Governo) sono ovvii in quanto elementi necessari di ogni sistema parlamentare e senza elezione diretta del capo dello Stato e/o del “Premier”: il secondo elemento, invece, non è affatto ovvio, o meglio lo è solo apparentemente, in quanto l’indirizzo politico, che è il cuore dell’attività degli Organi Costituzionali perché in esso si identifica la linea politica impressa di volta in volta al Paese e vincolante per questi ed in cui si dovrebbe riconoscere il popolo nella sua maggioranza, è notoriamente di appartenenza plurima, in particolare Parlamento e Governo (T.MARTINES). Il riconoscimento della funzioni di indirizzo politico in capo alla Camera dei deputati è così da un lato ovvio ma dall’altro privo di significatività, in quanto non traccia la distinzione di ruoli tra Governo e Parlamento. Non si può dire sbrigativamente che Il Parlamento detta le linee generali che il Governo attua, in quanto è ormai pacifico che è riduttivo parlare del Governo come Organo esecutivo. Ebbene, mentre l’art. 55, nella nuova funzione, parla, dolcemente e soavemente con il tono da adorabile libellula proprio della Boschi, di esercizio della “funzione di indirizzo politico” da parte della Camera dei deputati, l’art. 95, non modificato, dispone che il “Premier” mantiene “l’unità di indirizzo politico”. E’ impressionante già a prima vista la pregnanza dell’espressione utilizzata, che si scontra con la plasticità di quella di cui all’art. 55. Né si può eludere il problema affermando che l’art. 95 si riferisce al Governo e così al rapporto del “Premier” con i Ministri, senza coinvolgere il Parlamento, le cui funzioni di indirizzo politico resterebbero superiori a quelle dello stesso “Premier” e non toccate da queste. E’ di palmare evidenza che, trattandosi di titolarità congiunta, il collegamento sussiste ed è profondo. Il Parlamento (nella sola Camera dei Deputati) esercita funzione di indirizzo politico, ma il coordinamento di tale esercizio spetta al “Premier” che così sovrasta e domina il Parlamento. Né vale replicare che con la fiducia e la sua revoca la parola ultima spetta al solo Parlamento: è fin troppo semplice respingere la replica, che sfuma come neve al sole ed addirittura nel vuoto, evidenziando che la revoca della fiducia creerebbe, nel nuovo sistema incentrato sul “Premier”, una vera crisi all’interno della maggioranza e così sarebbe solo eccezionale. Si possono, a questo punto, trarre le fila del complesso discorso, complesso in quanto tale da districarsi nel gioco ad intarsio disegnato da Renzi (con la soave collaborazione della Boschi). La rappresentanza della Nazione non è più elemento essenziale dello “status” di deputato, ma è una funzione prodromica a quelle concrete esercitate, che peraltro si snodano sotto l’egida del “Premier”. Ciò è coerente con le impostazioni presidenzialistiche ed affini (plastico e lucido in tal senso fu in particolare Miglio), che da tempo hanno evidenziato la dicotomia tra Organi Politici che hanno natura “corporata”, vale a dire di interessi particolari, e Organi Politici (Capo dello Stato, “Premier”) che rappresentano l’unità dello Stato (e la dissociazione tra esercizio della funzione di indirizzo politico da parte del Parlamento ed unità dell’indirizzo in capo al “Premier” diventa illuminante ed inquietante, l’unità di indirizzo politico che prima della aberrante riforma era riferita solo nei confronti del Governo ora si indirizza in modo sinistro nei confronti del Parlamento) e così devono avere un ruolo preminente. Checché ne dicano i gioiosi sostenitori della Riforma, si introduce un vero “Premierato”, in modo implicito ma non per questo meno inequivocabile: manca l’elezione diretta, ma tale mancanza è strumentale e subdola, non solo per non dare nell’occhio ma anche per non creare un dualismo tra “Premier” e maggioranza parlamentare, come invece negli ordinamenti ad elezione diretta (dello stesso “Premier” o del Capo dello Stato): in tali ordinamenti, il Parlamento si può ribellare dal Capo dello Stato/”Premier” rispetto a cui mantiene una ragguardevole indipendenza, mentre nel nostro caso il Parlamento è sottomesso, per espressa previsione costituzionale, al “Premier”, da cui si può ribellare solo in casi eccezionali. Per rendere scolastici tali casi eccezionali, vi è la legge elettorale “Italicum” che si sustanzia nel conferire la maggioranza relativa a chi ha la maggioranza relativa se qualificata del 40% ed addirittura alla maggioranza relativa della maggioranza relativa, con liste bloccate e premio di lista e non di schieramento: l’unico ostacolo è il ballottaggio se non si raggiunge al primo turno il 40%, e così Renzi lo sta gioiosamente eliminando, attribuendo con la sua diabolica astuzia la paternità a Cuperlo che così si potrà vantare della grande vittoria mentre ha solo “lavorato per il Re di Prussia” (Cuperlo è una brava persona, ma le leggi della politica gli sono del tutto estranee). Nel disegno di Renzi di conferire la maggioranza assoluta alla maggioranza relativa, anzi alla maggioranza relativa del partito di maggioranza relativa, rientra armonicamente il Senato dei nominati e non degli eletti che legifera o comunque delibera su materie fondamentali attinenti al piano alto dello Stato (modifiche costituzionali, Unione europea, elezione del Capo dello Stato, nomina dei Giudici costituzionali), che è un tassello prezioso per rendere più forte la maggioranza assoluta ed eliminare ostacoli e contrasti. Da un punto di vista politico, Renzi vuole eliminare il ricambio elettorale, creando il Partito della Nazione, vale a dire un grande centro sorretto da un lato dalla stampella della fiera (a parole) sinistra Pd, tra poco rinforzata da Pisapia (ah, che dolore sente lo scrivente in relazione a tale circostanza), e dall’altro dalla stampella del centro-destra moderato. Per queste ragioni occorre, per Renzi s’intende non per lo scrivente, disinnescare il pericolo 5Stelle, a partire da marchingegni (è bene non usare il termine “trucchi”) elettorali. Poiché la rabbia popolare aumenta a dismisura ed in modo esponenziale con la crisi economica, i marchingegni elettorali potranno non essere sufficienti, ed allora altri mezzi più inquietanti saranno utilizzati, ed in ogni caso se questi non basteranno, non ritenendo realistico il ricorso alla violenza –chi equipara Renzi al fascismo non merita la minima attenzione, quello di Renzi è un autoritarismo dolce- , vi sarà una turbolenza politica terrificante. Che la maggioranza relativa sia per Renzi degna di diventare per forza di decreto maggioranza assoluta è confermato dal ricorso surreale alla polemica contro il fronte del no, definendolo come un’accozzaglia: al di là dell’offesa, di cui si è scusato blandamente, merita attenzione l’incongruenza dell’argomento. Qui vi è una modifica costituzionale e quello che conta non è se vi sia un’alternativa di modifica ma se quella proposta sia una modifica migliore del testo da modificare –e la risposta è del tutto negativa nel nostro caso-. Che la maggioranza assoluta sia per il no anche se non d’accordo su altre modifiche è pertanto privo di anomalia. Quella di Renzi è non solo incongruenza ma anche deriva autoritaria, in quanto il valore centrale della maggioranza relativa esiste, non in democrazia dove conta la maggioranza assoluta, ma nelle imprese, la cui struttura decisionale è autoritaria: ed infatti le grandi società per azioni a capitale diffuso sono governate dalla maggioranza relativa. Nell’ introdurre un “Premierato” fortissimo e senza ostacoli, tale da dominare il Parlamento, non solo si conferiscono poteri straordinari al “Premier” contrariamente a quanto affermano i sostenitori della riforma, ma addirittura si toccano i principi fondamentali della Costituzione, sempre contrariamente a quanto affermano i sostenitori della riforma. Nel creare un Parlamento non rappresentativo del popolo (la democrazia che ha in mente Renzi è certamente parlamentare e non diretta, ma non è rappresentativa in quanto etero-diretta) soggiogato dal “Premier”, si conferisce alla maggioranza parlamentare ma in realtà, per il tramite di questa, al “Premier” un potere originario ed indipendente dal popolo, lo si rende sovrano. Si realizza un’abnorme concentrazione di poteri e si elimina la sovranità popolare (art. 1, 2° comma, Cost, C. MORTATI e N.BOBBIO vedevano in una vera rappresentatività della democrazia parlamentare la garanzia suprema della sovranità popolare, oltre alla mancata concentrazione di poteri): si abolisce la grandiosa costruzione della nostra Costituzione, la più bella del mondo veramente, che dissocia sovranità da sovrano, e riconosce la prima quale caratteristica del potere statale “Suprema auctoritas superiorem non recognescens”, titolare della forza legittima, ma non il secondo, identificato simbolicamente, ma non fittiziamente, nel popolo quale unica fonte dello stesso potere pubblico. Si svuota così la nostra grandiosa Costituzione di sostanza, rendendola un vuoto simulacro e si abolisce il costituzionalismo, basato sul divieto di concentrazione di poteri, tornando al potere assoluto. Ciò in conformità agli ordini della grande finanza internazionale, ordini emanati tre anni fa da JP Morgan che sta dirigendo ora il risanamento Monte Paschi con modalità quanto meno discutibili. La grande finanza internazionale vuole un potere assoluto ed unico per dirigerlo a propria volta. E’ un potere assoluto di seconda istanza, in quanto la prima è nel grande capitale.