LA RIELEZIONE DI NAPOLITANO, I NODI GIUNGONO AL PETTINE di Ugo Finetti da Critica Sociale 25 Aprile 2013

10 giugno 2013

LA RIELEZIONE DI NAPOLITANO, I NODI GIUNGONO AL PETTINE di Ugo Finetti da Critica Sociale 25 Aprile 2013

La rielezione di Giorgio Napolitano è frutto di un rinsavimento in extremis di fronte al rischio, ormai concreto, per il Parlamento di eleggere un Presidente della Repubblica “per caso” e per il Pd e la sinistra italiana di votare il candidato di un movimento antistatale e di incerta fisionomia democratica. Il discorso con cui Napolitano ha avviato il suo secondo mandato sembra quindi delineare non una ‘prorogatio’, ma la possibilità di una inversione di tendenza: “ultimo richiamo” per “un colpo di reni”. E’ la denuncia di “un paio di decenni” in cui l’Italia è stata più divisa e avvelenata di quando si viveva all’epoca della “guerra fredda”. Non c’è nostalgia del passato, ma rabbia per mancato rinnovamento. Il monito va in tre direzioni. Il primo rimprovero riguarda sia centro-destra sia centro-sinistra per la comune responsabilità di aver rifiutato di modificare la legge elettorale e di aver buttato via più di un anno di vita parlamentare senza approvare alcuna innovazione sul piano istituzionale e costituzionale. Aver gettato la spugna e lasciato il governo del paese nelle mani di extraparlamentari senza dare alcun segno di vita ha fatto crescere senza alcuna resistenza “l’insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti e il Parlamento”. In secondo luogo, estremamente chiaro e duro è stato il richiamo alle “campagne di opinione demolitorie” che riguardano gruppi editoriali di stampa e televisione che hanno svolto un ruolo “aggressivo” e “distruttivo”. Gian Antonio Stella ha irriso i parlamentari che applaudivano Giorgio Napolitano che li rimproverava, ma anche lui applaude come se queste parole non lo riguardassero. Giustamente il Capo dello Stato mette in guardia dal finire su un terreno scivoloso dove il confine fra disprezzo della politica e disprezzo della democrazia diventa molto labile. Si crede possibile di dar vita in Italia ad una sorta di “primavera araba” via internet? Purtroppo il contesto favorevole ad uno scenario maghrebino esiste dato il coincidere in “tempesta perfetta” di a) crisi economica con disoccupazione e impoverimento, b) instabilità politica e c) discredito della classe politica. Per usare la formula dello storico Tony Judt si è facile preda quando si diventa “un paese ansioso, separato dalla propria storia e dal resto del mondo, e desideroso di ascoltare una favola a lieto fine”. Infine il terzo richiamo è rivolto alla sinistra italiana e al Pd in particolare. La crisi che è esplosa nel Pd mostra molta polvere che era stata nascosta sotto il tappeto e soprattutto la falla aperta da due illusioni o miti: nuovismo ed antiberlusconismo che sono stati coltivati come prospettive di identità e di vittoria. Il “popolo del web” e il “popolo delle primarie” hanno partorito una platea di parlamentari “per caso” estremamente fragile. Quelli del M5S si aggirano come turisti in attesa di istruzioni (dal web? da Grillo? ma mai dalla propria testa) e quelli del Pd sono già bollati al proprio interno, per un loro quarto, come “ladri” o “miserabili”. Basta un pugno di tweeter a farli crollare e sbandare da una parte o dall’altra. Se questo è successo per candidati che cosa può succedere per ogni legge e singoli articoli? Più che espressione di innovazione, il nuovismo sembra frutto di un’altra cosa che si chiama evasione ovvero fuga dalla realtà. Nella “cultura del lavoro” in cui si è formato Giorgio Napolitano il rinnovamento è invece una costruzione, un edificio che è partorito da un progetto (frutto di calcoli, risorse faticosamente accumulate, valutazioni di impatto nazionale e sociale) e da lavoro (frutto di esperienza, tempo e sacrificio). Il nuovo per il nuovo, il nuovo come gusto della sorpresa, come negazione di professionalità e di chiari e concreti obiettivi contrasta con una mentalità (che non è solo quella di Napolitano) in cui si diventava deputati a 27 anni, ma per una “scelta di vita” fatta di studio e combattimento e non di “cazzeggio” da “folla solitaria”. A ciò si aggiunge una “malattia infantile” di antica data. Pierluigi Bersani ha fallito perché si è posto davanti al Movimento 5 Stelle come la Federazione giovanile comunista davanti al Movimento Studentesco. E’ scattato il “complesso d’inferiorità” verso l’estremismo al motto di “nessun nemico a sinistra”; è riemerso l’”ultimo” – e non migliore – Berlinguer, quello che dopo aver chiamato nel 1977 “quattro untorelli” gli estremisti poi nel 1978 li ha chiamati “nostri figli” e che attaccava i “partiti” guardando ai “movimenti”, il Berlinguer che affossava e ripudiava la esperienza delle “larghe intese”. E’ invece proprio il precedente dell’appoggio del PCI a quei governi di “solidarietà democratica” per fronteggiare terrorismo e crisi economica negli anni ’70 che Giorgio Napolitano aveva in queste settimane additato al Pd come esempio da seguire mentre Bersani preferiva avere come consigliere lo storico Miguel Gator che pubblicava in quei giorni uno scritto in cui la requisitoria di Berlinguer contro i partiti e la politica delle alleanze (a suo tempo, nel 1981, contestata da Napolitano subendo per rappresaglia l’estromissione dalla segreteria nazionale del PCI) era definita “unica strada percorribile”. Su quella strada la sinistra italiana (tra “giovani turchi” e “renziani”, da Vendola a Barca) è arrivato a un passo dal trasformare il Quirinale nel palcoscenico di un comico. L’antiberlusconismo ovvero lo spirito di crociata in cui si svolgono, ad esempio, le primarie con un mandato sovreccitato, rappresenta una malattia infantile incurabile. Anche uscito di scena Berlusconi, comunque, chiunque si metta alla guida di uno schieramento avversario dopo pochi giorni, per una sinistra in balìa di comici, magistrati e giornalisti militanti (e non di un gruppo dirigente con autonomia di consenso e di credibilità) sarà sempre un nemico intrattabile: ridicolo-corrotto-fascista. Siamo sempre fermi ad una propaganda di sinistra degli anni ’20 ovvero un nuovismo che ragiona come cento anni or sono. Una sinistra esaltata e perdente. E’ ancora possibile ragionare in termini di realismo e di autonomia dal vociare estremistico? Tale il richiamo estremo del Presidente della Repubblica. Questo numero di “Critica Sociale” è dedicato in gran parte a Giorgio Napolitano ed in particolare al dibattito nel Pci al momento della caduta del Muro di Berlino e del cambio del nome. Ci è sembrato utile ricostruire dilemmi e scelte di allora in quanto molta di quella polvere che è stata messa sotto il tappeto in questi venti anni deriva da reticenze, errori e mancate rese dei conti di allora a cominciare dal diverso intendere l’essere “parte integrante della sinistra europea” tra chi preferiva rincorrere la “sinistra diffusa e sommersa” dei “movimenti ecologisti, femministi e pacifisti” e chi come Napolitano guardava ad una politica di alleanze nella sinistra italiana e di inserimento nel socialismo europeo e occidentale senza il mito di “andare oltre” comunismo e socialdemocrazia. Ma non essendo seguaci del “culto della personalità”, non manchiamo anche di fare una considerazione critica nei confronti del discorso del Capo dello Stato. In esso vi è un silenzio assordante sulla magistratura politicizzata. Da dove ha anche origine la demonizzazione dell’avversario politico? Da dove vengono il fuoco che infiamma le piazze contro il Parlamento e il veleno che ha impedito le necessarie intese per modificare la Costituzione e rinnovare le istituzioni? Dopo che il Pd ha votato Napolitano (e non insieme a Grillo), un ex esponente del pool di Mani Pulite ha annunciato che si sarebbe immediatamente iscritto al Pd solo per poterne stracciare la tessera. Vogliamo credere che il Capo dello Stato, che è anche presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, così come ha detto al Parlamento quel che si merita, vada a dire quel che si merita anche al CSM.

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