LA RIDUZIONE DEL DANNO di Alberto Benzoni
31 agosto 2004
Dalla Gazzetta politica del 30 marzo 2004 La Spagna ha dato una emotiva, e travolgente, reazione unitaria contro l’atto terroristico. La sinistra italiana si è spaccata in calcoli di bottega ed è in difficoltà su due fronti, lotta al terrorismo e impegno per la pace Milioni e milioni di persone in piazza in tutta la Spagna, mosse da una pulsione esistenziale di dolore e di rifiuto. Contro l’atto terroristico una emotiva, e travolgente, reazione unitaria.Qualche centinaio di persone in un luogo "istituzionale" di Roma, affluite, e presenti, alla stracca, quasi a pianger un lontano parente della cui morte non frega niente a nessuno; bandiere, fasce tricolori (meno quella di Veltroni, malato il giovedì, presente, e benedicente, il sabato), comparsate rade e frettolose, all’insegna del "chi c’è e chi non c’è". Contro l’atto terroristico di al Qaeda, appena avvenuto altrove e chiaramente minacciato anche da noi, un’esibizione indecente di apparente unità e di convinta divisione; l’una e l’altra frutto di calcoli di bottega in un’operazione tutta di testa che ha coinvolto ed interessato solo gli addetti ai lavori.La fonte di ogni maleE, due giorni dopo, a completare il quadro, a rendere ancora più evidente il messaggio, un’altra manifestazione. Centinaia di migliaia di persone, gaiezza apparente e reale tensione emotiva; ma in un’operazione gestita a freddo contro il nemico interno e coloro che sarebbero oggettivamente i suoi complici. La condanna del terrorismo c’è; ma è al tempo ovvia e totalmente insincera. Quella che conta è la condanna della guerra, meglio del dopoguerra, insomma di un intervento occidentale che sarebbe la vera fonte di ogni male, con la logica richiesta del ritiro delle truppe italiane.In Spagna, c’erano tutti; e basta. In Italia, il dilemma morettino, il "vado non vado, dove vado" è stato un tormentone che, per giorni e giorni, ha coinvolto la classe politica. I più, per non sapere né leggere né scrivere, non sono andati né da una parte né dall’altra: senza che nessuno se ne accorgesse. Altri, come il nostro Presidente del Consiglio, non hanno partecipato nemmeno alla loro manifestazione. Altri, infine, e parliamo del capo del più grande partito di opposizione, hanno pagato, con l’espulsione violenta dal corteo la loro partecipazione all’incontro di giovedì. Ottenendo, successivamente, stiracchiate solidarietà e ulteriori sberleffi.E, dunque, la sinistra democratica europea, la sinistra riformista e di governo, non riesce assolutamente a segnare di sé la lotta contro il terrorismo e la lotta per la pace; anche se questo impegno fa parte, da più di cento anni, del suo codice genetico. Perché partecipa malvolentieri all’appuntamento di giovedì, quasi disconoscendo l’eredità delle sue precedenti battaglie contro il terrorismo? E perché sfila, quasi in incognito, il sabato, in un corteo totalmente egemonizzato, da altri, magari in nome dell’immortale principio: "sono il loro capo, quindi devo seguirli".E, per favore, non la buttiamo tutta sull’antiberlusconismo, presente nei cartelli che auspicavano, implicitamente, nuovi attentati terroristici finalizzati alla distruzione politica del Cavaliere ( uno tra tutti:"11-3-2004, Aznar assassino"; 11-?-?, Berlusconi assassino") ma anche giustificazione - per gli insopportabili bonzi della sinistra pura e dura - comunisti, vedi, correntoni vari, Cgil - del sabotaggio della manifestazione unitaria; quasi che non si potesse manifestare contro il terrorismo insieme al Cavaliere mentre era lecito, anzi doveroso, sfilare assieme a chi prometteva"ceffoni umanitari" ai "delinquenti politici".Ma l’antiberlusconismo non spiega tutto. Se la sinistra di governo è, oggi, in difficoltà su due fronti, lotta al terrorismo e impegno per la pace (che, tra l’altro, non sono affatto separati tra loro) non è tanto perché è mentalmente destabilizzata dalla presenza del Cavaliere, è anche, e soprattutto, perché fatica a misurarsi appieno con le nuove sfide, aperte, anzi dichiarate, con l’attentato alle Torri gemelle. Conosciamo, al riguardo, il pensiero della prima potenza mondiale - gli Stati Uniti d’America - e anche quello della seconda- il "popolo della pace".Per i primi siamo di fronte ad un attacco globale all’Occidente - ai suoi interessi, ai suoi valori, al suo stile di vita -alimentato, insieme, dal fanatismo islamico, dal rifiuto della modernizzazione e da stati falliti e/o canaglia. Un attacco cui si può reagire solo con una risposta eguale e contraria, attraverso l’uso della forza militare e il rafforzamento della presenza occidentale nell’area., il cui necessario cambiamento può e deve essere, anche forzato dall’esterno.Un identico orizzonteAbbiamo parlato di "Stati Uniti", non di "Bush"; ciò che separa, infatti, quest’ultimo dai suoi avversari democratici è, infatti, semplicemente il discorso sugli strumenti: unilaterali piuttosto che multilaterali. Il fine, l’orizzonte, è, invece, identico.Per il "movimento", invece, il terrorismo è, ad un tempo, un fenomeno di carattere criminale - da contenere e da neutralizzare, perciò, con i normali strumenti di intelligence - e la reazione, comprensibile sino ad essere più o meno giustificabile, di fronte ad una situazione di violenza e di ingiustizia di cui gli Stati Uniti e l’Occidente sono i primi responsabili. Per questo occorre, allora, che si faccia ammenda. E, quindi, niente guerre e niente occupazioni, da condannare, per il passato e da ripudiare per il futuro. E, più in generale, chiusura delle ferite arrecate, con il drastico ridimensionamento della propria presenza e il rilancio di una nuova politica che punti sulla cooperazione e sulla pace.Abbiamo parlato di "movimento", non di "mondo cattolico" o di "Gino Strada": quello che separa i due è semplicemente la radicalità del giudizio. L’orizzonte - disvalore assoluto della guerra e valore assoluto della pace - è, invece, identico. Stati Uniti e movimento. Due realtà che occupano, apparentemente da sole, la scena. Ma che segnalano, nel contempo, la loro impotenza. Gli Stati Uniti (e i loro alleati "willing") hanno fatto la guerra. E l’hanno vinta. Ma non hanno - ancora? - vinto il dopoguerra. Né in Iraq. Né sul fronte della lotta al terrorismo. In quanto il popolo della pace, si sta mobilitando, oggi, per contestare la gestione del dopoguerra. Ma, anche, perché non è stato in grado di impedire il conflitto. Né mai, per la verità, si è posto concretamente il problema. Così come oggi si preoccupa assai più di invocare/proclamare la pace che divederla concretamente realizzata.E dunque, due grandi forze, in assoluta "panne" di proposte e di idee. In mezzo, un vuoto, in linea di principio facile da riempire. Da parte dell’Europa e del movimento democratico e socialista. Basterebbe coniugare l’interventismo occidentale (esigenza correttamente individuata da Washington) e i vincoli che esso comporta ( impegno attivo per la sicurezza e contro il terrorismo) con una strategia politica di costruzione della pace; il tutto in una logica multilaterale di cui l’Onu sia non diciamo l’unico protagonista (pensare a Caschi Blu, magari sauditi o iraniani, per le vie di Baghdad è un insulto all’intelligenza) ma il necessario, ultimo garante.Ma si tratta di un passo che né l’Europa né la sinistra democratica sembrano disposti a compiere. Nei fatti. Ma anche in linea di principio. E basti pensare, a questo riguardo, alle dichiarazioni dell’ultimo "guru di importazione" della sinistra italiana, Zapatero. Si dirà che ognuno ha il guru che si merita. Ma lasciamo alla sinistra italiana il beneficio del dubbio. Quello che è, invece, pressoché certo è che la prima manifestazione del nuovo oracolo d’oltremare è propriamente abbastanza lamentevole.Un colpo mortaleLamentevole per il messaggio che, magari involontariamente, si lancia agli assassini: secondo il quale il terrorismo sarà magari brutto, sporco e cattivo, ma è, comunque, politicamente pagante. Aprendo, per inciso, una implicita linea di credito - il massacro come prezzo della permanenza, in Iraq, Afghanistan o altrove, la tregua come compenso per il ritiro - che è, tra l’altro, destinata ad essere riscossa in altri paesi (Italia? Polonia? Gran Bretagna?). E, con ciò, dando un colpo mortale ai fondamenti stessi della lotta al terrorismo (solidarietà; nessuna concessione politica al nemico).Lamentevole, ancora, per le polemiche retrospettive che apre: "le bombe e i missili non servono"; "dovete fare autocritica"; polemiche, per carità, giuste e condivisibili, ma del tutto irrilevanti nel contesto attuale. Ma lamentevole, infine, anche per i propositi che esprime: "ci ritiriamo a meno che entro…". Un’indicazione doppiamente ambigua, perché significante due cose opposte: "minacciamo il ritiro per avere l’Onu"; oppure "invochiamo l’Onu per avere il ritiro". Ma anche perché la clausola di dissolvenza così posta in essere è volutamente basata sull’equivoco.: se, infatti, si chiede l’Onu come garante politico della transizione, questo già c’è; se, invece, si vuole l’Onu impegnato, in prima persona, nella gestione del processo, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza, questo non c’è né ci potrà essere.Si dirà che queste prime uscite di Zapatero sono una specie di atto dovuto. Un segno di rispetto per gli impegni assunti e per le aspettative del proprio elettorato. Speriamo che non sia così. Perché, se così fosse, la "linea Zapatero" non sarebbe che la traduzione politica delle aspettative più profonde dell’elettorato europeo. L’indicazione che viene dalla Spagna avrebbe, così, una portata più generale. Significherebbe "chiamarsi fuori" da un conflitto che non si è più in grado di reggere. Perché non ci ritiene in grado di pagarne i prezzi e di assumerne i rischi.Scelta legittima: ma per la quale, forse, non valgono le categorie del 1938. A Monaco ci si illuse di arrivare alla pace riconoscendo le legittime aspirazioni tedesche. Qui ci si propone, semplicemente, di governare un conflitto riducendolo in termini per noi sopportabili: un po’ più di disordine là in cambio di maggiore tranquillità qua.Scelta, ripetiamolo ancora, legittima e tutt’altro che stravagante. Ma, sospettiamo, assai miope. Se, infatti, questa scommessa fosse corretta, avremmo una semplice riduzione del danno. In caso contrario, dovremmo fronteggiare, oggi e domani, sviluppi potenzialmente catastrofici.
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