LA RICERCA IMPOSSIBILE DEL CENTRO PERDUTO di Francesco Bochicchio del 18 novembre 2019
18 novembre 2019
In Italia, in Europa e
nel Mondo vi è una grande voglia di centro.
Si tratta di un centro
perduto, il che rende la questione priva di rilevanza politica.
Ma se la questione del
centro è irrilevante, e viene pur tuttavia posta quale principale, vuol dire
che si vuole perseguire altra effettiva questione, occultata per l’appunto sotto
quella del centro.
Nell’Europa continentale
il centro ha rappresentato per tutto il dopoguerra fino alla crisi del 2008
l’espressione politica di un modello socio-economico positivo ed in grado di
soddisfare gli interessi della grande maggioranza della popolazione.
Le minoranze venivano governate
ed assorbite nel sistema, oppure rese inoffensive. Le espressioni politiche
delle minoranze venivano attratte al centro a pena di diventare marginali.
Il centro era allo
stesso tempo protagonista di una politica efficace e della tutela della
democrazia.
Il modello è ora
diventato fallimentare e la maggioranza della popolazione è in situazione
deteriore.
Il centro è in grado di
attrarre settori della popolazione in grado di farlo diventare maggioritario
solo se si procura al di fuori le risorse necessarie vale a dire con
l’imperialismo (Germania e Francia, nonché Paesi satelliti).
Nei Paesi vittime dell’imperialismo
il centro è esso a rendersi marginale.
La forza maggioritaria,
almeno a livello potenziale, è quella in grado di opporre all’imperialismo
l’interesse del Paese, vale a dire il nazionalismo di destra.
Quest’ultimo non è in
grado di proporre un’alternativa al modello, in quanto per antonomasia è
suscettibile di dividere tra di loro gli stessi Paesi vittime
dell’imperialismo. Una federazione tra tali Stati vorrebbe dire l’abbandono del
nazionalismo -che è l’anticamera dell’imperialismo- e l’affermazione di un
modello economico alternativo.
Liberismo, mancanza di
limiti al potere imprenditoriale ed accettazione del capitale finanziario
caratterizzano anche il nazionalismo di destra. E’così inevitabile vedere quest’ultimo
quale mera variante del modello, all’interno di un’identica visione.
In America ed in
Inghilterra, vale a dire nella parte più dinamica del modello, dagli anni ’80 la
paura di uno smottamento a sinistra, sia al proprio interno sia nelle altre
parti dell’Occidente, ha fatto emergere una destra che ha assolto la funzione
propria del centro, facendo appiattire la parte progressista proprio sul centro.
Ora che il modello è in
crisi, la destra ha abbandonato qualsivoglia caratterizzazione di centro, per
diventare nazionalista ed estremista.
Ciò rientra in un’ottica
di rottura dell’unitarietà dell’Occidente e di abbandono del fittizio
universalismo.
Anche qui è inevitabile
la qualificazione del nazionalismo di destra quale mera variante del modello,
all’interno di un’identica visione.
In tale ottica, è
evidente che la grande voglia di centro si basa si fondamento inconsistenti: il
centro non è affatto intriso di moderatismo. Al contrario è il rappresentante
politico di un modello unico che per forza di cose è autoritario in quanto non
ammette e non tollera alternative.
Si è detto che lo stesso
si è presentato, nel periodo del suo apogeo, come protagonista di una politica
efficiente e della tutela della democrazia.
Non si può peraltro dimenticare
che esso è stato protagonista –per quanto riguarda l’America e la Nato– e
supino e recettivo alleato –per quanto riguarda l’Europa- anche della lotta
all’avanzata di una sinistra non moderata nell’Occidente con metodi non
democratici –America Latina, ma anche in Europa, con esempio clamoroso in
Italia, con le stragi e i tentativi di colpo di Stato e comunque di svolta
autoritaria-.
La lotta doverosa
all’Unione Sovietica ha legittimato strappi antidemocratici.
Questi si sono
concretizzati nella mancata accettazione della sinistra non moderata.
E’facile così rendersi
conto che questo elemento centrale è rimasto tale ed è la vera sostanza della
grande voglia di centro, priva come detto di consistenza implicita.
Si vuole presentare il
centro come unica alternativa alla destra nazionalista, per levare il terreno
sotto una possibile ipotesi di sinistra antiliberista.
E’forte e pressante
l’invito alla sinistra ad appiattirsi al centro, rinunziando a qualsivoglia
prospettiva antiliberista.
Ciò sulla base dell’infondata
ed anzi indebita identificazione tra moderazione tra e centro –su cui insiste
in particolare Angelo Panebianco-.
In ambienti
autodefinitesi (con grande audacia veramente temeraria) di sinistra si è
consolidata la tesi che la destra può vincere se radicale e la sinistra no –ora
è Nadia Urbinati che la fa incredibilmente propria-. Tale tesi ricorda la
favola di Esopo del lupo e dell’agnello, con il primo che cercava
incredibilmente pretesti per mangiarsi il secondo e non trovandoli passava in
ogni caso all’attuazione del proposito. Si è fatto passare per estremismo ogni
tentativo di correggere incisivamente il modello in senso antiliberista, in
modo da presentare come unica alternativa la destra nazionalista.
Il vero è che il centro
come sempre preferisce la destra alla sinistra.
Ciò a conferma della
circostanza che il nazionalismo di destra costituisce una semplice variante del
modello.
In America a Sanders –rifiutato
financo di Obama- si preferisce Trump nonostante il pericolo che questi arreca
all’equilibrio mondiale, ed in Inghilterra si preferisce Ben Jhonson a Corbyn
che si è voluto artatamente indebolire con la surreale accusa di antisemitismo,
contrabbandando per questi la condanna delle violazioni, da parte israeliana,
dei diritti del popolo palestinese. In Spagna si legge la difficoltosa alleanza
di sinistra quale destinata all’insuccesso se son vira al centro –sempre
Urbimati-, trascurando il fallimento in Spagna del centro, che per compattare
intorno a sé anche la sinistra è dovuto ricorrere alla criminalizzazione ed
alla repressione tirannicida del tentativo autonomistico della Catalogna.
Un’impostazione
originale ed acuto sulla contrapposizione tra destra nazionalista e il centro è
stata elaborata recentemente da Ernesto Galli della Loggia, che critica la
criminalizzazione del nazionalismo da parte della sinistra e vede nel primo la
ribellione alla modernità da parte dei ceti deboli che hanno abbandonato la
sinistra, inconsapevole che la modernità ha favorito l’intensificarsi della
diseguaglianza oltre ogni limite di tolleranza.
Sul primo punto ha
certamente ragione l’a. quando distingue tra nazionalismo e fascismo e vede
l’attuale nazionalismo come non antidemocratico. Dove non si riesce però a
seguirlo è quando esclude radicalmente che il nazionalismo di destra possa
essere foriero di rischio autoritario.
Si trascura che il
nazionalismo non violento e non apertamente antidemocratico alla fine ha sempre
seguito il fascismo quando questi ha tentato di imporsi.
Adesso ci si trova di
fronte ad un nazionalismo populista e movimentista non fascista ma indulgente
verso i fascisti.
A prescindere dai dubbi
sulla sua sincerità democratica e dalla circostanza che i fascisti, pur
minoritari, manifestano una tendenza irrefrenabile verso la violenza, con
gravissimi massacri e comunque uccisioni non isolate, il vero punto è che
l’autoritarismo è insito nell’assolutezza del nemico esterno o di razza, il che
porta necessariamente a compattare l’interno rifiutando ogni differenza
interna.
Sul secondo punto, l’a.
ha pienamente ragione l’a. quando evidenzia che la sinistra ha abbandonato la
tutela dei ceti deboli: anche qui non si riesce a seguirlo quando collega tale posizione
all’accettazione acritica della modernità.
E’certamente vero che la
destra nazionalista rappresenta il rifiuto della modernità, ma non si può
trascurare che l’universalismo ed il progresso che il modello ha fatto propri
sono apparenti e fittizi.
La modernità del modello
è precaria, con il modello stesso che lo abbraccia solo quando non è di
ostacolo alle sue dinamiche.
Lo stesso
costituzionalismo viene spesso sacrificato sull’altare delle convenienze
d’impresa.
La richiesta di
impunità, avanzata per l’ex ILVA, è oramai diventata una costante, come
stigmatizzato persino da “Il Sole 24 Ore”.
Ed è una richiesta di
impunità che ricalca alcune forme di immunità del Capo dello Stato che si vuole
spesso portare all’estremo sulle falsariga delle vecchie Monarchie.
La differenza vera tra
centro e nazionalismo di destra è sui diritti civili, ma anche qui la
differenza è spesso precaria e sacrificata sull’altare della Ragion di Stato.
Ma è da contestare
decisamente l’assunto dell’a. che il nazionalismo di destra sia in grado di
soddisfare i bisogni dei ceti non abbienti.
Il nemico esterno è uno
strumento propagandistico efficace e riprende la tesi marxiana de “l’esercito
industriale di riserva”, ma quello che è certo è che mai il nazionalismo di
destra abbraccia posizioni dei lavoratori conflittuali nei confronti delle
imprese.
In via più generale, il
nazionalismo di destra è accondiscendente nei confronti del capitale
finanziario, come visto con Trump.
Ciò è perfettamente
incomprensibile, visto che è il capitale finanziario interno l’elemento
fondamentale di ogni economia e la base della volontà di potenza nazionale.
La tutela dell’industria
bei confronti della finanza appartiene solo alla propaganda.
La tutela dell’economia
interna nei confronti di quella esterna può essere effettuata solo in un’ottica
imperialistica o di ricerca di nuove aggregazioni (come l’Inghilterra).