LA QUESTIONE SOCIALISTA NON E' CHIUSA di Roberto Biscardini
31 agosto 2004
Articolo pubblicato sul n.11 di Critica Sociale. - Dopo dieci anni dalla fine del PSI la questione socialista non è chiusa. Si coglie un rinnovato interesse per la ricostruzione di una formazione socialista come momento decisivo per la ristrutturazione della sinistra. Molte sono le iniziative in tutto il Paese. D’altra parte, il dibattito che si è aperto sulla lista unitaria alle europee, sulla proposta Prodi e sull’eventuale partito riformista non hanno fatto altro che rafforzare la convinzione che la questione socialista è aperta. E più aumentano coloro che vedono in un futuro partito senza identità lo sbocco della propria politica, più la questione irrisolta di un partito socialista si fa strada. Il tema in discussione potrebbe essere sintetizzato da due prese di posizione. Quella di Michele Salvati che dichiara “l’ondata populista dei primi anni ’90, la distruzione del Partito socialista e la discesa in campo di Berlusconi… rendono impossibile la riorganizzazione del centrosinistra imperniata su un partito socialdemocratico”. E quella di Massimo Salvadori: “penso cha anche da noi ci sia bisogno di un grande partito socialdemocratico” capace di raccogliere i consensi al centro “tenendo a bada” l’estrema sinistra. Che il 1989 avesse cambiato il mondo ed anche la politica italiana era cosa prevedibile. Che avesse spazzato via insieme al vecchio PCI anche la vecchia DC, che aveva fatto nel ’48 come nel ’78 del “comunismo” la sua ragione di vita, era anch’essa una cosa certa. Così come era certo che la contestuale fine del PSI non avrebbe consentito il passaggio naturale dal post comunismo all’unità socialista e alla nascita di una nuova e grande formazione socialdemocratica. Il resto è la cronaca dell’antipolitica di questo decennio e di formazioni politiche che si sono costruite non su ragioni ideali e profonde, ma in conseguenza della riforma elettorale del ’93. Oggi, per riprendere Salvati e Salvadori, tutto sembra ruotare intorno a due opzioni: un partito “democratico e anormale” o un “partito socialdemocratico” come condizione di normalità. Per costruire una grande forza socialista, bisogna perseguire con coraggio una strada nuova, mettendo insieme idee, energie, nuovi quadri, nuove generazioni e una grande passione. Non si tratta di rifare il vecchio PSI, né di scegliere la via della “rifondazione”. Ma ripartire da quella novità che già Bettino Craxi intuì quando, dopo il 1989, pose il problema dell’unità socialista per portare ad estrema conseguenza la fine del comunismo. Ancora oggi si tratta di riunire i socialisti, nella prospettiva di una grande forza del socialismo europeo come sintesi positiva tra chi socialista è sempre stato e chi al socialismo può arrivarci adesso. Una forza della sinistra, a vocazione maggioritaria, utile al Paese per tornare alla normalità e utile alla democrazia italiana che anche nel bipolarismo, non potrà che crescere nel multipartitismo. Nell’immediato abbiamo a disposizione due opportunità. Primo. Allargare a sinistra un confronto politico culturale a tutto campo. Riflettere sulla storia del socialismo italiano, sulle divisioni della sinistra ma anche su alcuni suoi caratteri unitari. Riflettere sul dato oggettivo che la “guerra civile” tra PSI e PCI non ha avuto né vincitori né vinti. Riscoprire l’identità come futuro e contare sulla prospettiva del socialismo che si è dimostrato, anche a livello internazionale, più forte della mediocrità degli uomini. Costruire un progetto di alternativa. Secondo. Utilizzare le elezioni amministrative del 2004 per proporre l’unità di tutti i socialisti che hanno scelto il campo del centrosinistra, un piccolissimo passo per tenere aperto il tema di una grande forza socialdemocratica. Milano, 3 dicembre 2003
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