LA QUESTIONE SOCIALISTA, IL NUOVO PARTITO SARA' UNA FORMAZIONE SERVENTE O UNA FORZA RIBELLE? di Rino Formica

31 agosto 2004

LA QUESTIONE SOCIALISTA, IL NUOVO PARTITO SARA' UNA FORMAZIONE SERVENTE O UNA FORZA RIBELLE? di Rino Formica

Pubblichiamo il testo della relazone di Rino Formica all'assemblea di Socialismo è Liberta del 1 luglio 2004, affinche anche attraverso questo contributo il dibattito possa riaprersi su basi politiche. ECCO IL TESTO DELLA RELAZIONE. Ad urne chiuse e a ballottaggi conclusi possiamo fare il punto su queste elezioni. L’Associazione ha dato il suo simbolo ed il suo appoggio a liste locali collocate in opposizione al Governo Berlusconi ed alleate con il centro-sinistra fuori dall’Ulivo. Nelle elezioni europee l’Associazione è stata assente per le ragioni a voi ben note: SDI e NPSI fecero fallire il tentativo unitario da noi proposto. La lista dei Socialisti Uniti, frenata nella generosità dello slancio per l’ambiguità di essere nel Polo contro i Poli, ha ottenuto un riconoscimento per i fedeli della prima ora e non ha assegnato un premio ad un soccorso debole per idee ed improvvisato nella scelta dei candidati. Avevamo inutilmente ammonito coloro che rappresentavano una preziosa riserva per sfruttare al meglio la nuova congiuntura politica, di lasciare ancora in campo solo chi nella lunga transizione aveva fatto scelte di nicchia. I risultati non sarebbero stati molto diversi. Ma riaprire questi discorsi è stucchevole e deleterio. Riproponiamo tale e quale la stessa proposizione che mettemmo al principio del nostro lavoro: non vogliamo sapere dove sono stati i socialisti, vogliamo sapere dove vogliono andare e soprattutto se credono che c’è ancora una questione socialista. Non basta dire la transizione è al capolinea, il bipolarismo realizzato è finito, i partiti personali ed i partiti artificiali annaspano nella inconcludente insufficienza. Nelle transizioni si scontrano, si intrecciano e si sopravanzano gli elementi di cambiamento per disgregazione e le spinte di cambiamento controllato. E’ l’eterna lotta tra decadenza ed evoluzione, tra rotture e continuità. Il significato politico più espressivo emerso con queste elezioni è dato dall’esaurirsi della fase di cambiamento per disgregazione e dal profilarsi di nuovi e diversi cicli possibili di cambiamento controllato. La rivolta elettorale in Europa è l’effetto manifesto della debole crescita economica nell’eurozona: lo 0,4% del Pil, con l’85% del Pil oltre il 3%. In Italia, il detonatore che ha segnalato il malessere diffuso nel paese ha due nomi: dieci anni di rincari dei prezzi e delle tariffe e l’abrogazione della questione meridionale. Nell’Italia meridionale F.I. perde 6,3 punti e la lista Prodi 7 punti. Lo schiaffo è per chi governa e per chi ha governato se Berlusconi perde 4 milioni di voti e Prodi ne perde 2 milioni. Ma la miscela esplosiva è un composto più complesso: sono venuti al pettine i nodi antichi non risolti, mentre altri e diversi vincoli si sono formati con il nuovo assetto dei poteri visibili e dei rinati poteri invisibili. La storia di tutte le rivoluzioni, reali o apparenti, ci dice che ogni rottura violenta ha dentro di sé la spinta a ricomporsi; ma parte delle fratture non sono ricomponibili, ed è questa la ragione per cui nessuna restaurazione è un semplice ritorno al passato. E’ triste dirlo ma è vero: il voto distaccato e vagante segnala che gli elementi di decadenza sono largamente prevalenti sui fattori di cambiamento. Il novismo ha perso il carattere di novità e non produce più miraggi ed illusioni. Perché si è rotto così rapidamente il ciclo magico del “nuovo che avanza”? Perché tra il ’92 ed il ’94 lo scontro fu tra la politica e la non politica, tra i partiti e i movimenti, tra i poteri responsabili e i poteri irresponsabili, e vinse la non politica, il movimento ed il potere irresponsabile. Questi promisero la Seconda Repubblica in nome della Morale, del Privato, dello Stato Minimo e della Felicità Individuale. I risultati sono davanti agli occhi di tutti. Tradizione e novità si manifestano nella forma peggiore: l’una è pigra continuazione di un passato che non ritorna e l’altra è semplice cancellazione di memoria. Il novismo non è stato capace di produrre una diversa e moderna elaborazione politica ed ha bloccato il processo di cambiamento delle antiche tradizioni culturali-politiche. Il bipolarismo forzato elettoralmente non ha prodotto il bipartitismo. Le coalizioni elettorali sono il frutto di abili accordi contro e non sono adatti per il governare. Il trasformismo ed il vagabondaggio elettorale sono il segno più allarmante di una decadenza morale e civile. Qui torna l’antica lezione: le leggi elettorali possono aiutare l’evoluzione di un sistema ma non fanno sistema. Le crisi politiche di sistema quando maturano non si disvelano con una immediata caduta di consenso. Ma quando la perdita di elettori appare in un sistema scosso nei suoi fondamentali è da attendersi un effetto valanga. Recentemente Luca di Montezemolo, che oggi va di moda ed è citatissimo, anche se dice ovvietà, scoprendo l’acqua calda ha detto: “siamo di fronte alla più grande crisi della storia nazionale della classe dirigente in ogni campo, dalla politica in giù”. Sarà banale, ma si tratta di un problema che non lo potrà risolvere uno squillo di tromba confindustriale che faccia appello agli spiriti animali del capitalismo nostrano. Non sono neanche sufficienti i piccoli segnali di appartenenza che a destra come a sinistra vengono salutati come auguranti fili di fumo. Se non ci sforziamo di capire perché abbiamo una destra ritardata e bottegaia e perché abbiamo una sinistra velleitaria e subalterna, la rinascita delle grandi culture politiche sarà rinviata ad un tempo indefinito. Crediamo che il segnale di fumo dato alla lista socialista può essere annuncio di resurrezione o miraggio ingannevole. Tutto dipende dalla giusta lettura che sapremo dare su ciò che c’è nel profondo del nostro sistema. Cominciamo con ciò che ci sta più a cuore: lo stato di salute della sinistra visibile. Diciamo subito che è la sinistra che non ci piace, non era nei nostri sogni di ragazzi rossi, non è quella che volevamo quando alla fine degli anni’80 con il gruppo storico del PCI dalla Iotti a Lama, da Bufalini a Chiaromonte, da Napolitano a Macaluso, demmo vita al movimento per una sinistra di Governo. Si dice che le sinistre sono due: una fa il suo mestiere, l’altra balbetta. Ma è proprio così? Non credo: purtroppo vuole essere una sola. Ai tempi del fronte popolare si diceva: due partiti (Pci e Psi) una politica. Oggi si potrebbe dire: due tricicli, una bicicletta. Perché la sinistra in questi dieci anni ha perso la prova decisiva: essere forza di alternativa con i suoi colori nell’Italia d’oggi, nell’Europa senza il muro e nel mondo in bilico tra nuova pace universale ed inedito terrorismo globale. Il mal sottile della sinistra italiana ha una radice, solida e profonda: la subalternità al centro. I socialisti la utilizzarono per “ridurre” i comunisti, i comunisti cercarono di utilizzala per “liquidare” i socialisti. Alla fine degli anni ’80 non si capì che craxismo e berlinguerismo non costituivano la base solida di una dottrina di alternativa, al massimo potevano essere sacchetti di sabbia a difesa di due sinistre senza destino di egemonia. La storia è andata in questo modo e non c’è posto per penosi lamenti o per decadenti rimpianti. Ciò che stupisce è che la sinistra non colga questo punto della crisi italiana: perché siamo così gonfi di centrismo? Negli anni ’60 il centro-sinistra prima di essere accordo programmatico tra socialisti e cattolici, fu profonda innovazione sistemica. Nenni e L’Avanti! scelsero una idea-forza per trasformare il paese e scrissero: “Da oggi tutti siamo più liberi!”. Moro usò un linguaggio cifrato, ma carico di indicazioni e annunciò una stagione di “convergenze parallele”. Per i socialisti si trattava di fare un balzo in avanti per stabilire un nuovo equilibrio politico fondato su la saldatura dei diritti sociali con i diritti civili; per i democratici-cristiani si indicò alle forze storiche della cultura cattolica e socialista una corsa competitiva in parallelo per una convergenza programmatica. Negli anni ’90 il mutamento del quadro politico nazionale ed internazionale non trovò classi dirigenti all’altezza di una nuova elaborazione di idee forza. Cittadinanza sovranazionale e cultura dell’alternativa sono estranee alla cultura di cortile di questi dieci anni. Non c’è un Moro delle “divergenze parallele” non c’è un Nenni che ci possa indicare il “nuovo internazionalismo”. Per accontentarci di ciò che c’è dobbiamo partire da una domanda: nella situazione attuale c’è un merito di Berlusconi? Durante la grande crisi ’89-‘92 il potere politico si consumava e gli altri poteri si corporatizzavano per non essere travolti. La difesa di questi poteri ebbe l’apparenza di un attacco vittorioso. Non fu così! Perché le classi dirigenti della politica e della non politica avevano la stessa matrice culturale e la identica estrazione economica e sociale. In più sia le une che le altre avevano la responsabilità di aver governato insieme. Qual’ è la novità che Berlusconi introduce: innesta nel corpo politico malato del pentapartito i giovani capetti della imprenditoria di massa e delle nuove professionalità. Nel ’19 Mussolini al sistema politico in crisi e ai ceti sociali in panico, offrì l’alternativa dell’ordine degli ufficialetti reduci dal fronte all’avventura rossa dei disertori sovversivi. Il fascismo non cadde dopo il delitto Matteotti perché la sinistra ed i democratici si arroccarono sull’Aventino o sognarono di fare “come in Russia” senza capire cosa c’era dietro il reducismo ed il mutato assetto dei poteri dopo l’economia di guerra. Se, oggi, la sinistra di tradizione socialista non capisce che il neo-centrismo all’italiana (cattiva copia del centrismo alla francese senza Chirac) ha le sue radici nel nuovo blocco sociale berlusconiano e nel ventre molle del governismo del triciclo, non potrà esservi democrazia compiuta. La prospettiva di alternativa è possibile se una forza viva della sinistra socialista riuscirà a parlare agli elettori in camicia azzurra e saprà provocare un lacerante e democratico confronto tra i ciclisti in maglia arcobaleno. La costruzione di una alternativa al centrismo è una operazione al limite dell’impossibile, perché il centrismo è già una soluzione al vero problema urgente: dare uno sbocco non traumatico al dopo-Berlusconi ed ottenere un cambiamento controllato. Il neocentrismo è ormai una rete capillare e solida. Ha radici culturali saldamente fissate nella dottrina sociale cattolica. Essa è una somma di principi: “solidarietà, persona, sostegno agli ultimi, con la declinazione nel quotidiano affidata alla coscienza individuale”. Insomma, anticapitalismo relativo o un capitalismo compassionevole. Questo neocentrismo ha una base di potere nelle università, nelle finanze, nelle banche, nei media e nel sociale che non aveva mai posseduto dall’Unità d’Italia ad oggi. Il neocentrismo sarà presto una vasta galassia di forze, non un partito ma una pluralità di tendenze, espressione moderna della DC delle correnti. Questo centrismo confligge con la concezione dei partiti personali, ha una vocazione oligarchica, risponde al modello italiano del pluralismo all’interno di una sola formazione politica. Questo centrismo è aperto ad alleanze su le mezze ali e può spingersi sino alle ali periferiche nelle emergenze. La chiusura ingloriosa della transizione ha trascinato con sé la fine dell’illusione dell’alternativa destra-sinistra, anche nella sua versione, simulata solo per abilità semantica, di centro-destra e centro-sinistra. Scorgo in questi giorni un non chiaro affannarsi dei socialisti. C’è chi allude ad una alleanza centrista, c’è chi naviga verso i lidi paludosi di una sinistra unita al seguito del Prodi pifferaio, c’è chi rispolvera la mai defunta teoria dell’ambiguità etichettandola con la parola magica dell’autonomia. Grazie signori, è un film già visto. Su queste astuzie ci siamo rotte le ossa: ne uscimmo nel ’76 per ricaderci nell’89. Autonomia ha un senso se è riferita all’autonomia nella elaborazione e nelle decisioni. Questa autonomia non esclude le alleanze di percorso. Il nostro giudizio sulla situazione in atto deve essere sereno e veritiero. La sinistra deve fare un bilancio del decennio sprecato della transizione fallita. In termini sintetici il paese si ritrova con la democrazia affievolita, con le libertà fondamentali messe in discussione, con una ridotta difesa sociale, con una accresciuta disuguaglianza, con una economia pubblica saccheggiata e rapinata, con un nanismo imprenditoriale, con un ruolo internazionale servente, con il tramonto dello stato laico e con un papismo dilagante a sinistra. Di fronte a questo terremoto la soluzione centrista è la classica scelta di una posizione fetale. Il centrismo non potrà risolvere il problema cruciale della riforma per la modernizzazione competitiva del paese nella comunità internazionale, ma può spargere unguenti e distribuire melasse soporifere. La sconfitta di una sinistra che poteva fare a meno dei socialisti è palmare: ha perso l’egemonia culturale e ha distrutto la suggestione affascinante della prospettiva. La sinistra attuale dovrà affrontare i drammatici problemi conseguenti ad una sconfitta storica e dovrà avere un confronto vero con un neocentrismo a forte prevalenza cattolica su almeno tre fronti: i valori umani ed il rapporto tra religione e scienza; l’anticapitalismo della dottrina sociale cattolica; l’universalismo ed il pacifismo cattolico. Nel leggere la recente produzione dei tutori della dottrina si comprende quanto sia robusto il pensiero della Chiesa. Il Cardinale Ratzinger ha dato la linea e dopo aver affermato che in molte cose “il socialismo democratico era ed è vicino alla dottrina sociale cattolica (perchè) ha considerevolmente contribuito alla formazione di una coscienza sociale” ha tracciato una invalicabile frontiera con il comunismo: “ La vera e propria catastrofe che essi hanno lasciato alle loro spalle non è di natura economica; essa consiste nell’inaridimento delle anime, nella distruzione della coscienza morale. Io vedo come un problema essenziale della nostra ora per l’Europa e per il mondo questo, che non viene mai contestato il naufragio economico, e perciò i vetero-comunisti sono diventati senza esitazione liberali in economia; invece la problematica morale e religiosa, di cui propriamente si trattava, viene quasi completamente rimossa” Se il pensiero è vigoroso, non è certamente debole la presenza di una nuova ed agguerrita forza cattolica nella cultura e nel sistema di potere nella società. E’ pronta una nuova e giovane classe dirigente, che, come lucidamente previde un genio della politica, Nino Andreatta, avrà il compito della “Reconquista” dei cattolici. In politica chi perde non deve attardarsi a discutere se ciò che c’è è un bene o un male. Ciò che c’è è anche il prodotto delle nostre debolezze e dei nostri errori. Se non sappiamo leggere la nostra storia, non potremo leggere il nostro paese. Nel giro di trent’anni siamo passati da un centro-sinistra irreversibile ad un alternarsi tra centro-sinistra e centro-destra dove la vera novità di sistema era la legittimazione a governare della destra. Ora siamo al dunque, e la sinistra per nascondere la propria sconfitta dovrà tifare per un immaginario centrismo di sinistra per combattere un reale centrismo di destra. Ma il centrismo ha una debolezza ed una magagna. La debolezza è che per sopravvivere ha bisogno di larghi margini di risorse per sostenere il riformismo corporativo. La magagna è che il sistema governato dal centrismo produce stanchezza democratica. Sento la forza e l’urgenza della domanda: che fare? Siamo una forza storica della sinistra italiana e non possiamo rinunciare ai valori ed alle ragioni che custodimmo ed affermammo quando fummo protagonisti. Essere a sinistra non vuole dire, almeno per noi non fu mai, accettazione di un principio balordo e gregario: meglio avere torto con tutta la sinistra che avere ragione da soli. Si possono avere nemici a sinistra, anzi ritengo che una sinistra di governo non potrà non avere nemici a sinistra. Siamo una forza di sinistra che deve fare i conti con la vittoria del centrismo. Il terzaforzismo nella storia politica italiana è stato sempre debole perché il centrismo, o lo ha utilizzato come supporto residuale di governo, o lo ha scavalcato a sinistra nelle emergenze sociali e civili o lo ha malamente liquidato e sostituito con pezzi della destra quando appariva troppo esoso. Con il centrismo va aperto un duro confronto politico sapendo che non tutti i centristi sono nostri nemici. Riorganizzare la sinistra sapendo di avere nemici a sinistra, far governare il paese da un centrismo influenzato dal nostro pensiero e dalla nostra azione è opera difficile ma necessaria, richiede tenacia, generosità ed acuta intelligenza. Sarà, come diceva Lombardi, cambiare le ruote ad un auto in corsa. Ma noi, di quali risorse disponiamo oltre al puntiglioso orgoglio di quanti hanno deposto nell’urna la scheda socialista senza preferenza? Solo se siamo impietosi con noi stessi potremo avere la forza di ricominciare. Non è più sufficiente la vecchia piattaforma dell’autonomia del partito socialista ma occorre una dottrina socialista per una autonomia che valga per tutta la sinistra di governo. E’ finito il tempo della distinzione di fase tra il vivere ed il filosofare. I due momenti si sono saldati: non si può agire senza ragionare, il pensiero deve essere azione. Cesserà la stagione grigia dei rinunciatari accasati sotto i tetti degli altri e bisognerà liberare i combattenti nelle legioni straniere. Questa opera di riscrittura dei testi e di rimotivazione degli uomini sarà opera lunga o breve a secondo che sapremo superare i vecchi ed i nuovi malanni. Abbiamo alle spalle una grande storia, ma in essa ritroviamo anche le radici di una debolezza che non ci fece resistere nella lunga notte dell’attacco ingiusto. Abbiamo avuto grandi e profetiche intuizioni, ma una superficiale elaborazione organica del nostro pensiero. Abbiamo avuto straordinari dirigenti ma ci è mancata una classe dirigente unita e solidale. Non abbiamo errato nell’individuare gli obiettivi che sbarravano il nostro cammino, ma c’è mancata la capacità critica di fissare la gerarchia di pericolosità degli stessi. La selezione fu individuale e non collettiva. In queste debolezze c’è la spiegazione del perché il partito socialista italiano ha il primato delle scissioni e ha sempre visto fallire ogni spinta unitaria. Queste debolezze hanno dissipato un grande patrimonio di lotte e di conquiste. Ma che senso ha oggi perseverare in quegli errori quando siamo così debilitati ed esausti? Dico ai compagni che fanno appelli: risparmiateci l’umiliazione del frazionismo degli sconfitti. La via dell’unità è possibile se partiamo dalla cancellazione delle nostre debolezze e se i generali che non hanno evitato la sconfitta, ed io sono uno tra questi, avranno la forza di essere testimonianza e semplici consiglieri. Il frazionismo di oggi è patetico, umiliante e, lasciatemelo dire, ridicolo. La nostra Associazione nacque per unire, perché avevamo coscienza delle nostre debolezze . Entro ottobre dovremo fare un’assemblea-congresso di coloro che credettero in buona fede al nostro grido di dolore. Oggi vi chiedo solo una cosa: avviate una discussione sincera e disinibita, tenendo conto che il futuro è delle nuove idee, di un nuovo personale politico, di una nuova sinistra che ha una frontiera nella sinistra. Se il socialismo è luce ed è vita non può essere penombra e vegetazione. Fate una discussione all’altezza di questi temi. Da oggi dovremo misurare la volontà dei socialisti non dalle parole ma dai comportamenti. Un ciclo si è veramente chiuso, per riaprirlo ognuno esca allo scoperto. Non è in discussione il fare o non fare il partito: tutti vogliono farlo. Dal progetto che sapremo esprimere potremo capire se si tratta di una formazione servente o di una forza ribelle. Chi ci conosce e conosce la nostra storia personale e politica sa che non abbiamo mai preteso di essere la guida personale di un processo, ma la nostra ambizione è sempre stata quella di poter rendere vittorioso un indirizzo, una linea politica. Lo facemmo quando avevamo vent’anni, l’età dei sogni, a maggior ragione lo vogliamo oggi nell’età che pensiamo debba essere della saggezza. Prima di chiudere voglio consegnarvi il mio convincimento, radicato in una lotta che dura da 60 anni. Esso coincide con questo giudizio storico-scientifico di uno studioso dell’economia mondiale: Immanuel Wallerstein: “Il comunismo è Utopia, che vuol dire . Non è una prospettiva storica, ma un mito dei nostri tempi. Il socialismo, al contrario, è un sistema storico realizzabile, che potrà essere un giorno posto in essere nel mondo. L’unico interesse è per un socialismo concretamente storico, un socialismo che soddisfi le caratteristiche minime di un sistema storico tendente a massimizzare l’eguaglianza e la giustizia, un socialismo che accresca il grado di controllo della propria vita da parte dell’umanità (cioè la democrazia), e che liberi l’immaginazione”. Il socialismo in perenne divenire non sarà mai l’Utopia reale, sarà però un socialismo possibile. Per questo fine ci occorre qualcosa di modesto ma di essenziale: crederci sempre!

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