LA PROBLEMATICA IDENTITA’ DEI SOCIALISTI ITALIANI di Alberto Benzoni

24 giugno 2013

LA  PROBLEMATICA  IDENTITA’  DEI  SOCIALISTI  ITALIANI di Alberto Benzoni

L’identità. In linea di principio un punto fermo. Per le persone e, nel nostro caso, per le entità collettive. Una consapevolezza di sé stessi che è alla base dell’esistenza. E del riconoscimento da parte degli altri. Nel mondo reale, le cose sono un tantino più complicate. Perchè la forza di una identità politico-culturale, così come vissuta all’interno, non si traduce necessariamente nella percezione della medesima da parte del mondo esterno. E perchè può accadere che il modo in cui i militanti interpretano il loro passato e il loro presente sia di ostacolo alla costruzione del loro futuro collettivo. Stiamo parlando, beninteso, di noi stessi. Dei socialisti. Di persone che, nel corso della loro esistenza, hanno vissuto, prima, una vera e propria rivoluzione culturale e, non molto tempo dopo, una vera e propria catastrofe collettiva. Rivoluzione culturale, quella del craxismo. Di più, rivoluzione copernicana. Perché cancellava l’esperienza di tutto il socialismo postbellico che, da Saragat a Nenni, da Lombardi a De Martino, era stato-e al livello più alto- “partito di servizio”( della democrazia, della classe, dell’unità della sinistra, delle riforme di struttura, dei nuovi equilibri), in nome di un aggressivo e orgoglioso “nazionalismo socialista”. E perché, per altro verso, ribaltava completamente il rapporto tra partito e società italiana: non più una società ingiusta e malata che il partito era chiamato a sanare e trasformare; ma una società di per sé votata alla trasformazione che, per essere volta in positivo, doveva per prima cosa essere capita e interpretata; con la preliminare rimessa in discussione di tutti i paraocchi ideologici e di tutti i luoghi comuni della tradizionale cultura della sinistra. Ricordare tutto questo serve a capire ciò accade con Tangentopoli. Una rivoluzione, anzi una controrivoluzione che colpisce la collettività socialista su tre fronti distinti e separati. Il partito, con la decimazione del suo gruppo dirigente. I socialisti, come portatori malsani e altamente contagiosi del virus, intellettuale e morale, del craxismo. E, infine, il socialismo come anima e simbolo del modello italiano di welfare che andava radicalmente rimesso in discussione. Ora, la identità socialista, insomma il “comune sentire”del nostro popolo, si costruisce proprio sulla reazione a questo multiforme disastro. Con la conseguenza immediata di essere anch’essa multiforme. E con l’effetto ultimo di non consentire, nel corso di questi venti anni, la formazione di una collettività politica vitale e riconosciuta dal mondo esterno. Il processo di divaricazione, con le sue motivazioni, è stato descritto alla perfezione da Daniele Fichera, in un recente incontro di “socialisti senza tessera”. Secondo lui le componenti fondamentali dell’identità socialista sono almeno tre. Ci sono quelli che hanno visto il crollo come conseguenza della frattura nella sinistra, dando vita, nel nuovo schema bipolare, prima allo Sdi e oggi al Psi, pregiudizialmente reinserito nel tradizionale habitat della sinistra stessa. Ci sono quelli che hanno visto nelle vicende degli anni novanta la conferma della insanabile ostilità comunista; seguendo, quindi, la maggior parte dell’elettorato socialista, nel rifugiarsi sotto l’ala di Berlusconi, visto come l’erede e il vendicatore di Craxi. Ci sono, infine, quelli che hanno visto nella seconda repubblica, la cancellazione dell’eredità riformista e revisionista del craxismo. Collocandosi, di conseguenza, in una specie di terra di nessuno in attesa che il processo di impazzimento generale venisse in qualche modo a cessare. Identità diverse. Ma non mediabili. E nemmeno comunicabili. Identità perciò separate. E, soprattutto, del tutto inadeguate, di per sé, alla costruzione di una formazione e di un progetto politico socialista dotato della massa critica suscettibile di renderlo vitale. Così il partito di Boselli e poi di Nencini, svanita la speranza di riassorbire la diaspora socialista, e incapace di dare una qualsiasi sostanza a un identità puramente nominale, ha finito per vagare da un’alleanza a un’altra, senza realizzarne alcuna. Così i socialisti confluiti con Berlusconi hanno prosperato individualmente ma al prezzo della rinuncia a qualsiasi passato, e futuro, collettivo. Così i cultori della tradizione riformista continuano ad aspettare, per ora vanamente, una evoluzione del quadro politico e culturale che renda di nuovo praticabile e attuale il loro messaggio. Mentre i processi in atto sembrano andare in tutt’altra direzione. Le identità socialiste sarebbero dunque senza futuro? Forse non sarà così. Forse è lecito un qualche ottimismo dell’intelligenza. Forse la sinistra italiana avrà bisogno di sostanziare la sua proposta bipolare con qualcosa di più sostanzioso dell’antiberlusconismo moraleggiante. Forse tornerà ad occuparsi della sua gente; che è stata, in tutti i sensi, la grande vittima della seconda repubblica. Forse le due identità, socialista e riformista, saranno presenti all’appuntamento. Ma questo dipende solo da noi.

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