LA POLITICA ED IL CONFLITTOCONSIDERAZIONI PRELIMINARI di Francesco Bochicchio del 5 maggio 2020
05 maggio 2020
Il conflitto è elemento essenziale della politica ed è anzi la sua ragion d’essere: la politica èconflitto per il potere e questi comporta composizione in via di autorità del conflitto nonchémonopolio legittimo della violenza di fronte ai conflitti patologici.
Non vi è politica senza conflitto: il conflitto origina la politica e la politica gestisce tutte leforme di conflitto.La politica come soluzione d’autorità –ora di natura legale e democratica- dei conflitti,risponde ad una logica di realismo che esclude qualsivoglia ipotesi di conciliazione dei dissidi, valea dire di unificazione della società e di eliminazione degli stessi conflitti. La concezione realista della politica accetta il pluralismo a livello politico, economico esociale, contrastando i conflitti disgreganti e patologici.In tal modo, la concezione realista della politica va oltre e concretizza una precisa scelta dicampo di natura proprio politica: non si limita ad elaborare una teoria generale della politica, masceglie tra le parti in contesa.L’accettazione del conflitto porta infatti tale concezione a considerare la differenziazione dipotere, di classe, economica e sociale, quale ineliminabile, con la conseguenza che essa si schierainevitabilmente con chi detiene il potere politico, economico e sociale, vale a dire con i gruppiprivilegiati.
Siffatta scelta di campo viene posta in essere a difesa del conflitto, che sarebbe eliminatodall’incidere su tale differenziazione e pertanto da ogni pretesa di eguaglianza oltre un certo limite.
Le diseguaglianze possono essere attutite e limate ma l’intervento su di esse non può non essereassolutamente limitato e marginale.A monte della difesa della differenziazione tra gruppi vi è, a ben vedere, un parallelismo trapotere politico da un lato e dall’altro potere economico e sociale. La differenziazione di condizionieconomiche e sociali è una conseguenza indefettibile della distinzione tra chi esercita il potere e chiè ad esso soggetto.Il potere viene così fondatamente trasferito dal piano politico a quello economico e sociale eposto a base di tali due settori.Le commistioni tra teoria generale della politica e scelta di campo inficia la prima e le levaogni base scientifica.La teoria realista della politica non salvaguardia la differenziazione tra gruppi “tout court”ma esclusivamente quella tra chi esercita il potere e chi è ad esso assoggettato.Ebbene, essa è cosi intrinsecamente antipluralista e totalitaria in quanto ammette il conflittosolo nei ristretti limiti in cui non incide sul potere e non lo limita in modo eccessivo.Con il divieto di conflitti disgreganti, in realtà si inibiscono tutti i conflitti che mirano adincidere sul nucleo centrale del potere, ponendo le condizioni per rendere disgreganti tali tipi diconflitto e poi impedendo loro di esplicarsi: ciò ricorrendo a modi non necessariamente illegali edantidemocratici, basti pensare alla politica monetaria ed alla politica fiscale e più in generaleeconomica per bloccare i conflitti economico-sociali, tra cui spicca l’uso distorto dell’inflazione edel debito pubblico.
Il ricorso all’autoritarismo, sotto forma di stato di eccezione, diventa in quest’ottica lachiusura del cerchio.La contestazione di totalitarismo viene respinta dai sostenitori della concezione realista dellapolitica sulla base del bilanciamento tra potere sociale ed economico da un lato e potere politicodall’altro, ma è un bilanciamento del tutto fittizio, in quanto la divergenza tra potere politico epotere economico appartiene al libro dei sogni: i tentativi della sinistra non moderata sono sempre stati riassorbiti e la sinistra moderata è stata sempre omologata (Riccardo Lombardi, grazie persempre per esserTi rifiutato –al fine di evitare ciò e di battersi dall’esterno- di entrare nel primo Governo di centro-sinistra respingendo addirittura la carica di Ministro del Bilancio).
A dire il vero, i sostenitori della concezione realista della politica si rifugiano dietro aldogma liberista che il mercato sia l’arbitro delle decisioni economiche e che il potere economico siasolo un pungolo: il dogma è stato costruito a partire dall’identificazione dell’impresa conl’iniziativa economica individuale, e si tratta di identificazione esatta ma parziale e non totale, inquanto il potere è aggregazione dei fattori dell’offerta in funzione delle esigenze della domanda conla conseguenza precipua che la stessa è di per sé potere e non solo impulso e non solo iniziativa. A tale considerazione si deve aggiungere che il potere di impresa non trova unragguardevole limite nel mercato in quanto i comportamenti degli imprenditori sono in grado digrado di guidare e di indirizzare il mercato con collusioni tra di loro e con devitalizzazione delruolo dei consumatori: ciò anche a non considerare il passaggio dal capitale concorrenziale a quellooligopolistico/monopolistico ed addirittura da quello industriale a quello finanziario; quest’ultimopassaggio ha spostato il peso dalla produzione alla speculazione ed alle strategie di potere deicolossi, rendendo il mercato una mera espressione lessicale.
Esso mercato non è più neppure un’astrazione dalla realtà, in quanto è totalmente avulsodalla realtà, mentre l’astrazione è un esercizio intellettuale arbitrario -tranne che nell’astrazionedeterminata- quale generalizzazione con la conseguenza che un contatto con la realtà vi è sempre,sia pur solo minimo e come punto di partenza.Si può concludere che la concezione realista della politica è non solo priva di valorescientifico in quanto frutto di mera ideologia, intesa nel senso deteriore del termine quale cattivacoscienza -come superbamente evidenziato da Marx-, ma è anche antipluralista.In premessa, per accertare se impostazioni politiche caratterizzate da egualitarismo possanoessere effettivamente pluraliste, respingendo le critiche della concezione realista, di cui si èconfutata la parte costruttiva ma non ancora quella distruttiva delle avverse concezioni, occorrespostare il discorso su altro piano. Innanzitutto, occorre accertare se impostazioni egualitarie siano compatibili con criteri dirazionalità economica, mentre la concezione realista la intende in modo acritico ed apodittico insenso individualistico. In via ulteriore, occorre accertare se il potere sia suscettibile di essere adeguatamentecontrollato al fine non solo di impedire suoi abusi, ma anche di funzionalizzarlo agli interessi deisoggetti assoggettati al potere.Per la risposta positiva su entrambi i punti, si rimanda ad apposite sedi.
Ciò premesso, nel merito, l’egualitarismo, anche quando diventa radicale e cosìanticapitalistico e socialista, non esclude il conflitto, in quanto intende non eliminare il potere, inun’ottica utopistica, ma funzionalizzarlo agli interessi dei destinatari del potere: da ciò consegue invia indefettibile che l’egualitarismo non comporta né un appiattimento antimeritocratico, né unasocietà conciliata e caratterizzata da unanimismo, ma al contrario presenta una profonda dialetticatra sviluppo economico e valori sociali.Sei sono i profili più rilevanti. Il primo è il rapporto tra politica ed economia, vale a dire tra programmazione pubblicaaccentrata e unità economiche decentrate. Il secondo è il rapporto tra lavoro non qualificato e lavoro qualificato ed addirittura piccola emedia imprenditoria, mentre a tendere, vale a dire a medio-lungo termine, i complessiimprenditoriali grandi saranno nazionalizzati. Il terzo è il rapporto tra produzione e consumo.Il quarto è il rapporto tra economia e società.Il quinto è il rapporto tra economia reale e finanza, questa comprensiva dell’intermediazionebancaria/finanziaria e del risparmio, con annesso il rapporto tra tali due componenti economiche. Il sesto è il rapporto tra produzione e natura.
In via generale, il ruolo propulsivo dell’economia resta imprescindibile per assicurare losviluppo, ma non deve ledere l’equilibrio sociale, relativo ad una società coesa e compatta pur nelledistinzioni e quindi egualitaria. Il punto di compatibilità non può essere fissato in via rigida ma viene ad essere determinatodall’esito dei conflitti, fermo restando il rispetto di paletti insormontabili, il che non è affattoantipluralista in quanto qualsivoglia società deve impedire la propria disgregazione. Ciò nonimpedisce il cambiamento di società, purché in via democratica. Altra condizione necessaria è che il nuovo modello sia rispondente a razionalità economica:tale condizione sembra tale da violare il principio di democrazia, vincolando le scelte popolarimaggioritarie. In realtà, poiché la razionalità economica è a base della società, in sua assenza lastessa si condanna al disordine ed alla disgregazione. Con il metodo democratico si possonoassumere scelte irrazionali, anche su temi fondamentali, ma si apre una strada precaria e nonpermanente.All’obiezione che la razionalità è un concetto non univoco, è facile replicare che essa siidentifica con l’idoneità di soddisfare le esigenze generate dalla società e così è un concetto storico.Una società egualitaria ha il proprio equilibrio così come una società ad essa opposta e non èaffatto innaturale: semplicemente elimina il dominio. Il dominio è un elemento naturale dell’uomocome essere naturale ma non risponde a ragione, che ammette valorizzazione dei migliori, ma nonla lesione degli altri.Quindi, il vero punto è fino a che punto la ragione possa controllare la natura.
Ma se anche il dominio lede altri aspetti naturali, il discorso investe, una volta preso attodella dialettica tra ragione e natura –che non si trasforma di per sé in conflitto-, il conflitto traillimitatezza dei bisogni e limitatezza dei mezzi: il controllo della natura da parte della ragionediventa necessario a pena altrimenti di cadere in una logica distruttiva sia della società sia dellanatura non umana.L’eguaglianza sostanziale è una tendenza inarrestabile ed anch’essa naturale: il problema èdi individuare il punto oltre il quale essa diventa innaturale ed entra così in conflitto con la natura,sconfinando nell’utopia e nell’escatologia.Si devono quindi affrontare
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