LA POLITICA ECONOMICA SOCIALE E PROGRAMMATORIA di Francesco Bochicchio del 6 dicembre 2019

06 dicembre 2019

LA POLITICA ECONOMICA SOCIALE E PROGRAMMATORIA di Francesco Bochicchio del 6 dicembre 2019

I) PERCHE’ E’ FINORA MANCATA UNA POLITICA UNA POLITICA ECONOMICA A SINISTRA?
La lotta all’evasione fiscale e l’affermazione della progressività fiscale presuppongono una nuova politica economica orientata in senso fortemente sociale ed in grado di coordinare, indirizzare e dirigere l’economia, impedendo la disintermediazione finanziaria, senza la quale la sottrazione dei cittadini ai propri obblighi e la “mappatura” dei redditi e dei patrimoni per una effettiva progressività sono “in apicibus” velleitarie ed irrealizzabili.
A sinistra finora è mancata una politica economica organica in quanto il suo pensiero in materia economica si è risolto in  una critica dell’economia politica, vale a dire nella demistificazione della legge borghese del valore che dietro al valore di uso cela il valore di scambio, il quale si presenta a sua volte come scambio di valori eguali, tranne che sul mercato del valore dove lo scambio è ineguale con un plusvalore a favore del capitale: essa si basa, così, su una duplice mistificazione, la prima che mostra la produzione quale finalizzata alla soddisfazione dei bisogni degli utenti, mentre invece trova le propria ragione esclusivamente nella massimizzazione dell’accumulazione del capitale, e la seconda che esalta l’eguaglianza degli scambi, invece del tutto non rispondente alla realtà effettiva.

Questa critica, del tutto fondata, non ha peraltro avuto sviluppo in una economia politica critica sostitutiva, ed in una teoria alternativa del valore, risolvendosi al contrario nell’abolizione della legge del valore “tout court”, vale a dire nell’utopia pura.
Inevitabilmente, la politica economica, priva di un progetto di assetto economico-sociale alternativo, è proceduta a tentoni senza valenza costruttiva. Oltre redistribuzioni di redditi e forme di intervento pubblico nell’economia, che non sono state in grado di incidere sulle leggi dell’economia, non si è mai riusciti ad andare.
Il pensiero keynesiano ha introdotto il sostegno anche pubblico della domanda, favorendo i consumi dei ceti deboli. Ma non si è mai tradotto nella direzione degli investimenti e della scelte economiche delle imprese private.
Ha anche fissato regole per limitare la speculazione finanziaria, basandosi sul presupposto che la stessa sia mera patologia mentre invece attiene alla fisiologia del sistema.

II) LA POLITICA ECONOMICA ALTERNATIVA
La politica economica alternativa si deve basare su due punti fondamentali: la programmazione economica pubblica e l’apposizione di briglie al capitale finanziario ed alla speculazione ad esso connaturato.
IIA) PROGRAMMAZIONE ECONOMICA PUBBLICA
La programmazione economica pubblica comporta la sottrazione delle grandi scelte alla mano privata per affidarle alla mano pubblica.
La mano privata cui le grandi scelte vengono sottratte è quella del grande capitale, che assume ruolo esorbitante il piano imprenditoriale per assumere una dimensione di decisione macroeconomica propria della politica economica.
La programmazione non invade il ruolo delle Partite Iva, che non sono danneggiate.
La contestazione è triplice.
In primo luogo, si eccepisce che un quadro pianificato riduce l’autonomia delle imprese e degli operatori.
E’ facile replicare che gli operatori non grandi agiscono nell’ambito del quadro economico generale “aliunde” fissato, su cui non possono incidere.
La fissazione del quadro economico generale in sede pubblica elimina abusi ed arbitrii.
L’incisione sul ruolo delle Partite IVA si verifica solo in caso di programmazione rigida e imperativa, che non discende affatto e necessariamente dall’imperatività della stessa programmazione: questa, in quanto tale, non entra nelle singole realtà economiche, ma ne fissa i limiti ed i confini.
In secondo luogo, si eccepisce che la programmazione pubblica alla fine limita i profitti e così i ricavi degli operatori privati autonomi, imprenditori o professionisti che siano.
E’ facile replicare che la programmazione vuole eliminare squilibri e non intende di per sé eliminare le forme meritocratiche ed incentivanti.
La lotta al profitto “tout court” è propria della programmazione solo se il profitto deriva da iniziativa antisociale.
La programmazione riconosce l’iniziativa imprenditoriale solo se questa è funzione sociale e partecipa al benessere collettivo, non se si realizza a detrimento di quest’ultimo.
La programmazione combatte gli extra-profitti, intesi non quali profitti di grande entità ma quali profitti che non derivano da un effettivo valore aggiunto per l’economia complessiva.
In terzo luogo, si eccepisce che si lede l’esigenza delle Partite IVA di diventare grandi operatori e di fare un salto di qualità economico e sociale.
E’ facile replicare che tale esigenza vale solo per una minoranza e non per la generalità delle Partite IVA, e pertanto la programmazione economica pubblica non avrà un fronte contrapposto compatto.
Ma il vero punto non è questo, in quanto la vicinanza di classe al grande capitale piuttosto che alle classi non abbienti è indubbia e costituisce un elemento che contraddistingue in modo essenziale le Partite IVA.
E’ la coscienza di classe e non l’interesse oggettivo di classe.
Lo scrivente crede ad una visione oggettiva e non ad una soggettiva della classe, in contrapposizione con l’indirizzo dominante assunto dal marxismo.
In un’ottica  oggettiva di classe, la vicinanza di classe è secondaria rispetto all’assetto di interessi.
La programmazione economica pubblica determina, per le Partite IVA, un quadro generale o peggiore o migliore di quello del grande capitale?
Per rispondere alla domanda, occorre proseguire nella ricerca.

IIB) L’APPOSIZIONE DI BRIGLIE AL CAPITALE FINANZIARIO E LA LOTTA ALLA SPECULAZIONE
Il capitale finanziario ha assunto la guida ed il dominio dell’economia sostituendo ad una logica industriale ed imprenditoriale di progetti e di programmi una legata all’utilizzo di occasioni di grande lucro, in virtù di “de materializzazione”,delocalizzazione, globalizzazione e così di speculazione, non più frutto di patologia ma vera e propria fisiologia e nuova essenza istituzionale dell’impresa. Quest’ultima si trasforma da attività organizzata coordinata e realtà oggettiva dotata di rilevante consistenza in un insieme disorganico di atti continui di speculazione.
La caratterizzazione finanziaria dell’economia consiste nello spostamento dell’asse decisionale dalle industrie alle grandi banche d’affari internazionali che svolgono una pura attività speculativa vittoriosa per esse e dannosa per gli utenti e per l’economia in virtù di un insieme di  leve derivanti dalla capacità di utilizzare a proprio esclusivo piacimento la disomogeneità totale dei diversi mercati.
Quella del capitale finanziario è una vera e propria pianificazione accentrata in grado di limitare fortemente le alee della produzione in virtù della direzione di quest’ultima, ma è una pianificazione che non elimina assolutamente, ma anzi esalta, l’anarchia del capitalismo, la quale  si esplica in pieno con la manza di limiti all’utilizzo di tutte le possibilità lucrative estemporanee e non programmate.
L’ipertrofia della finanza è solo di natura speculativa, a danno di quella creditizia, lesa dalla crisi del settore industriale e dalla mancanza totale di ordine sui mercati finanziari, la quale ultima nella fase attuale con i tassi negativi determina l’inaridimento dei crediti.
La programmazione pubblica ha quindi il compito di spostare il piano delle decisioni da scelte estemporanee a programmi e progetti in modo da ridurre al minimo l’anarchia ed addirittura da farla in prospettiva sparire e da fissare regole rigorose ed effettive idonee ad assicurare certezza a favore degli operatori.
Le Partite IVA non possono che trarre vantaggio dalla programmazione pubblica la quale limita il potere dei monopoli e degli oligopoli  e riduce il peso degli abusi e degli arbitrii, tutelando lo spazio di mercato delle stesse Partite IVA.
Potranno inoltre accedere al mercato dei capitali in modo più agevole e beneficare dei crediti bancari, una volta che il settore finanziario si sposta dalla speculazione al sostegno della produzione, vale a dire attività creditizia e consulenza e gestione negli investimenti in titoli.

III)  L’ECONOMIA PROGRAMMATA
La programmazione è vincolante ed imperativa in modo effettivo e non ci si può sottrarre alle sue regole in quanto gli intermediari finanziari non potranno più operare in modo abusivo ed arbitrario.
Senza il concorso di intermediari finanziari, pur debitamente autorizzati ed ufficiali, ma che operano in modo abusivo ed illecito –e ciò vale direttamente per essi o comunque per suoi qualificati esponenti, l’evasione e la stessa disintermediazione, a favore dell’estero o di operatori già di per sé abusivi e irregolari, sono assolutamente impossibili. 
In virtù di questa imperatività, si crea un processo economico destinato ad operare in modo oggettivo e senza abusi ed arbitrii ed addirittura senza alcun utilizzo di forza economica: a tale processo economico le Partite IVA potranno partecipare in modo libero e consapevole.
L’alleanza tra Partite IVA e lavoratori dipendenti mediante il comune interesse ad una crescita dell’economia senza squilibri e senza elusioni trova qui il suo terreno.
E’ un alleanza che si basa sulla centralità del lavoro, in cui si risolva anche la piccola impresa.
La risposta alla domanda se tale economia programmata si limiti alla correzione del capitalismo o riesca a porre le basi alla transizione appartiene alla Storia ed alla ripresa della lotta di classe e non può essere fissata a tavolino dalla teoria.
E’ compito della teoria –ed è compito ineliminabile- sorreggere l’economia programmata e la politica economica sottostante con una economia politica alternativa, che sostituisca gradualmente il lavoro al capitale e ponga il primo –libero da gioghi e così libero di sviluppare le proprie potenzialità- in grado di individuare ed enucleare i bisogni effettivi da soddisfare nel modo più economico possibile. Claudio Napoleoni, in conclusione della sua fondamentale monografia sul “Valore” del ’76, evidenziava che l’essenza dell’economia, quale scienza dei mezzi in relazione ai fini, si può esplicare in modo compiuto esclusivamente se il lavoro sostituisce totalmente il capitale.


Vai all'Archivio