LA POLEMICA SUL MES: TANTO RUMORE PER NULLA IL VERO PROBLEMA E’ UN ALTRO di Francesco Bochicchio del 2 dicembre 2019

02 dicembre 2019

LA POLEMICA SUL MES: TANTO RUMORE PER NULLA IL VERO PROBLEMA E’ UN ALTRO di Francesco Bochicchio del 2 dicembre 2019

Lo scrivente è meridionale (lucano, per l’esattezza, ancorché nato a Roma), e da meridionale ama andare a dormire tardi e, in via speculare alzarsi il più tardi –che da tempo, con il lavoro, è diventato il meno presto- possibile la mattina: la mancanza di gioia nell’alzarsi la mattina, anche alla luce di un amore profondo per il sonno –derivato da un’adorata prozia materna, che con malcelato compiacimento, ascriveva questa tendenza di entrambi ad “una vera e proprio malattia del sonno”-, spinge lo scrivente a stentare prima di sintonizzarsi sulla concentrazione giornaliera, e provoca in lui un vero e proprio sconcerto il vedere gli altri quando si svegliano –anche in senso solo figurato- in modo subitaneo e improvvisano un vero e proprio attivismo, che spesso è pieno di inconsapevolezza in quanto tale da reagire al tempo perduto –e si tratta spesso di tempo perduto del tutto ingiustificatamente-. A volte l’attivismo è apparente e solo strumentale, e magistrale era il motto delle navi borboniche sul comportamento da tenere in caso di ispezione, secondo cui, pressappoco (con traduzione in italiano che non rende onore all’originale) “chi sta sopra va sotto e chi sta sotto va sopra” il tutto con un invito conclusivo: “e facite ammuina”.

Tale attivismo sconclusionato ed inconsapevole, unito paradossalmente a vera strumentalità, è riscontrabile nel dibattito esploso di recentissimo sulla riforma del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità (c.d. “Fondo SalvaStati), dibattito da marziani.

Il punto eclatante è il condizionamento dell’aiuto al mantenere i propri conti in ordine, ma ciò non è una vera e propria novità, visto che tale condizionamento è sempre stato richiamato per il passato.

Il vero punto è un altro: il MES può, grazie alla modifica, intervenire a favore di banche e dell’intero settore bancario di Paesi europei.

Non solo vi è maggior tolleranza nel risanamento interno delle banche, ma addirittura vi è la possibilità di salvataggio, in contraddizione palese con la normativa “bail-in”, che limita il salvataggio delle banche, normativa demenziale -in quanto in contrasto con i principi fondamentali della tecnica bancaria, secondo cui l’insolvenza della banca, i cui debiti costituiscono mezzi di pagamento, è esiziale per l’intero settore economico-, ed applicata in Italia nel 2015 in modo ancora più demenziale in quanto, non disponendo –per le famose quattro banche- il rimborso di obbligazioni subordinate per euro 350 milioni, si è creata una situazione di panico che ha provocato una fuga di depositi dal settore bacatio per diverse decine di miliardi ed una crisi anche di fiducia che ha portato al tracollo di banche importanti –MPS, le due banche venete e Carige-.

Tra l’altro, il salvataggio delle 4 banche fu impedito dall’Europa vietando il ricorso al Fondo interbancario dei Depositi, in quanto qualificato come forma di aiuto pubblico, il che è stato recentemente confutato da una decisione giudiziaria italiana.

Perché l’Europa è tornata indietro sui suoi passi?

La Germania è sempre stata fiera sostenitrice della normativa “bail-in” e per il tramite di propri primari esponenti ha anche nel contempo evidenziato che tale norma ben ammetteva deroghe ma solo a favore dei Paesi con casse solide, a pena altrimenti di far pesare il salvataggio sugli altri Stati.

Pertanto la modifica relativa al MES ha codificato la presa di posizione tedesca discriminando, negli aiuti e nei salvataggi bancari, tra Paesi solidi e Paesi deboli.

Ma ha apportato una ridentissima modifica, ponendo il salvataggio delle banche, dei soli Paesi forti, a carico dei Paesi deboli, i quali, in quanto deboli, non possono provvedere al salvataggio delle proprie banche, non avendo le possibilità finanziarie necessarie, ma proprio in quanto deboli e quindi sottomesse, devono concorrere al salvataggio delle banche dei Paesi forti.

E’ bene avere chiarezza sull’evoluzione.

In un primo tempo, l’Europa ha vietato il proprio salvataggio delle banche.

In un secondo tempo, ha vietato anche il salvataggio interno da parte dei singoli Paesi, ma di fatto ha consentito deroghe, su tale aspetto, a favore dei Paesi forti.

Ora, infine, si deroga anche sul punto di cui al primo punto sempre a favore dei Paesi forti.

L’Europa, mentre prima l’Europa non aveva senso, precludendo ai Paesi deboli di avere una propria politica economica resa impossibile dalla loro mancanza di autonomia finanziaria, ed accettando questi di muoversi sì con autonomia ma esclusivamente nei ristretti spazi consentiti dalla politica economica dei Paesi forti, ora acquista finalmente senso ma come realtà imperialistica, con i Paesi deboli che devono tassarsi a favore dei Paesi forti per concorrere al salvataggio delle banche di questi ultimi.

La verità è che Deutsche Bank, la principale banca tedesca ed una delle più importanti europee e mondiali, è in situazione di crisi abnorme irreversibile e che occorre un aiuto ciclopico, che la Germania vuole effettuare non più con i soli propri mezzi: ma non basta, in quanto crepe vistose stanno aprendosi in tutto il sistema bancario tedesco.

La scelta della tassazione dei Paesi deboli a favore dei Paesi forte è tipica dell’imperialismo sin dai tempi dell’antichità ed è la logica conseguenza della sacrale trasformazione dell’Europa in Impero Tedesco con supporto francese di cui al recente accordo di Aquisgrana (tanta è l’arroganza dei due Paesi che non si sono nemmeno peritati di cercare una sede dell’accordo diversa dalla capitale del Sacro Romano Impero).

Ma ora vi è un salto di qualità tipica del capitale finanziario.

I Paesi deboli non solo si devono tassare a favore dei Paesi forti, ma nel contempo i Paesi deboli devono rinunciare a qualsiasi politica economica dovendo eseguire quella dei Paesi forti e rinunziare a qualsivoglia ruolo sia della propria mano pubblica sia del proprio settore bancario, oramai al tracollo e non più in grado di reggere il confronto con le banche tedesche e con le banche francesi.

E’ così evidente che il dibattito sulle accettazioni delle modifiche al Mes è surreale.

Tale conclusione è di sicuro applicabile alla posizione di chi sostiene l’accettazione delle modiche.

L’affermazione che le imposizioni dell’Europa possono non essere accettate -basta non richiedere aiuti-, e che la situazione dell’Italia è delicata ma non drammatica è del tutto avulsa dalla realtà.

L’alto debito pubblico unito alla crisi del settore bancario tiene il nostro Paese in una situazione precaria, con un equilibrio che può saltare da un momento all’altro, in virtù di qualsivoglia scossone sui mercati finanziari: la soluzione è una sola, vale a dire il commissariamento da parte dell’Europa.

Ma non solo: gli europeisti non si rendono conto che l’Italia sta capitolando di fronte all’Europa quale Impero Tedesco(-Francese) proprio nel momento in cui questa intona, con struggente melodia, il canto del cigno.

L’Italia si tassa per concorrere al salvataggio delle banche tedesche e forse anche di quelle francesi, vale a dire viene spremuta a favore di un’Europa il cui settore bancario è in dissoluzione. Lo sfruttamento dei Paesi deboli da parte di quelli forti avviene anche questi hanno intrapreso la strada del tracollo.

Ma non solo: le economie dei Paesi europei sono state sostenute da una politica monetaria espansiva che, con i tassi negativi, ha creato le condizioni per una bolla speculativa che, se scoppiasse, troverebbe tutti i Paesi, ivi compresa la Germania, privi di strumenti di protezione, vista la fragilità dei propri settori bancari.

      Ma, sia ben chiaro, la conclusione di dibattito surreale si applica anche alla posizione di chi respinge le modiche al Mes.

L’Italia è in un vicolo cieco da cui non può uscire, con lo Stato e le banche in dissesto. Ma questo non è caduto dal cielo. La politica è stata assente di fronte alle crisi bancarie, divisa solo tra atteggiamenti filo-bancari da un lato e demagogia populista dall’altro: e nessuna posizione ferma è stata assunta in opposizione all’attuazione della demenziale normativa “bail-in”.

Ma a monte, la politica liberista, ha posto le basi del dissesto e della dissoluzione prima dello Stato con la separazione tra Tesoro e Banca d’Italia nell’81 e poi del settore bancario con le dissennate liberalizzazioni a partire dalla privatizzazione delle imprese –ivi comprese le banche- pubbliche per finire all’ammissibilità piena della speculazione più sfrenata, che “piano piano” ha tagliato l’erba sotto i piedi dell’attività bancaria e finanziaria sana.

Il nazionalismo di destra ha sempre appoggiato la politica liberista; ora si sveglia accorgendosi della situazione di degrado in cui ci ha trascinato il liberismo che non ha mai attaccato e non attacca tuttora, opponendosi solo alla dimensione sovra-nazionale di esso, ma non ad esso in quanto tale.

Solo una politica di pianificazione sociale può sorreggere lo Stato ed il settore bancario.

Il nazionalismo di destra ha senso solo quale volontà di potenza: quando un Paese non se la può permettere –ed è il caso dell’Italia- non ha alcun senso.

Di fronte al dibattito, del tutto surreale, in essere non ci si può che sottrarsi ad esso, mostrando qual è il vero terreno di discussione.

Il terreno non è nemmeno quello di opporre a questa Europa un’altra Europa, dei popoli e sociali: con buona pace delle utopie, di Europa ve ne è una sola ed è quella attuale.

Tutte le confederazioni sovra-nazionali non nazionaliste e non imperialiste non hanno mai raggiunto alcuna effettività.  

Il terreno vero è quello di una politica economica di natura sociale e pianificatoria antiliberista.

L’Italia non ha le condizioni per permettersela: ebbene, occorre trovare le alleanze internazionali che ce la consentano.

Tale soluzione non appartiene anch’essa al piano dell’utopia. La posizione geografica dell’Italia –la geopolitica non è funzionale solo al conservatorismo- consente di poter negoziare in posizioni di vantaggio.

Le alleanze vanno trovate all’interno dell’Europa –l’Inghilterra se vince Corbyn per esempio, ma è un esempio non esaustivo-. ed all’esterno –la via della seta con la Cina è un’occasione unica al mondo, ed alla nostra adesione ad essa si oppongono non solo Trump, per ragioni di politica estera aberranti ma logiche, bensì anche la Germania e la Francia che vogliono evidentemente tenere l’Italia in posizione deteriore; sulla via della Seta i 5Stelli hanno una posizione coraggiosa, peccato che in materia di politica economica siano semplicemente disastrosi-.   

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