LA PAROLA "SOCIALISTA" CHE DIVIDE IL PD di Paolo Franchi, Il Corriere della Sera del 15 febbraio 2012

20 febbraio 2012

LA PAROLA

Ogni infortunio o, direbbe Bersani, ogni ammaccatura, ha una sua meccanica e una sua storia. Ma quando ci si infortuna o ci si ammacca con inquietante regolarità è altamente probabile che di mezzo ci sia pure qualche problema d'ordine, diciamo così, più generale. Tradotto. Certo che Genova non è Napoli, e nemmeno Cagliari e nemmeno Milano e nemmeno la Puglia, dove tutto è cominciato qualche anno fa, e nemmeno Palermo, dove il centrosinistra sembra avere già predisposto tutto per perdere prima ancora che la partita cominci.
Adesso anche a Genova, però, proprio come ieri a Napoli, a Cagliari, a Milano, e l'altro ieri in Puglia, le candidature targate in un modo o nell'altro Pd, quella ufficiale di Roberta Pinotti e quella polemica del sindaco uscente Marta Vincenzi, sono state bocciate dagli elettori delle primarie. Non è il caso di ricavarne una qualche legge bronzea.
Ma sostenere, come i conduttori televisivi di una volta, che questo è il bello delle primarie, e per il resto immaginare di cavarsela rivedendone le regole, per fare in modo (ma come?) che il Pd vi partecipi con un candidato solo, non pare particolarmente intelligente. Stiamo parlando, sarà bene ricordarlo, del più grande partito italiano. Ed è piuttosto difficile immaginare che il più grande partito italiano possa considerare alla stregua di un problema tutto sommato tecnico una così vistosa e persistente difficoltà (è un eufemismo) a selezionare candidature apprezzate dal proprio elettorato.
Forse - forse - sullo sfondo di tutto questo c'è anche una questione politica, strategica e identitaria irrisolta, che va ben oltre la scelta dei candidati sindaci. Il Pd se la porta appresso dalla fondazione, ma adesso che, incassata la caduta di Berlusconi, è entrato a far parte della maggioranza tanto «strana» quanto vasta che sostiene il governo Monti, se la ritrova di fronte in termini nuovi e pressanti. Come conferma il curioso scambio di messaggi politico editoriali che ha animato questi ultimi giorni. Ha cominciato, sull'onda di un'indiscrezione del Foglio , Eugenio Scalfari, chiedendo pubblicamente a Bersani di essere rassicurato «come elettore» del Pd, che mai e poi mai avrebbe votato se si fosse presentato come una forza socialdemocratica sullo «schema del socialismo europeo»: è vero o no che nella segreteria del partito ci sono dei giovanotti al lavoro per formalizzare una simile, insensata proposta? È bastato questo post scriptum all'editoriale domenicale del fondatore di Repubblica perché una piccola folla di ex popolari e di Democrat senza se e senza ma si levasse a giurare di condividere una preoccupazione tanto angosciata: ma questa non è una novità. Più interessante è il fatto che Bersani, piuttosto che smentire, abbia provato a ridimensionare il tutto, ricorrendo anche a un'innocente bugia («Non siamo più un partito in cerca di Dna»: fosse vero...), senza però tirarsi indietro. Recitano infatti le ultime righe della sua replica a Scalfari: «Chi volesse osservare la discussione nella Spd e nei Verdi tedeschi, o le recenti pratiche dei socialisti francesi, potrebbe forse riconoscere qualche traccia delle nostre buone ragioni». Come dire: non siamo i soli a credere che bisogna oltrepassare i confini delle vecchie famiglie politiche, le forze della sinistra che in Francia e in Germania sfideranno Sarkozy e la signora Merkel la pensano come noi, ma il campo di cui sto parlando è quello dei soggetti «che in tutto il mondo combattono il liberismo della destra conservatrice».
Bersani probabilmente ha ostentato qualche ottimismo eccessivo. Non so se i giovani scrivani del Pd continueranno a lavorare alle loro tesi «socialdemocratiche», la cui stessa stesura non è facilissima da conciliare con il sostegno al governo Monti. Ma, se andassero avanti, sarebbe un bene per tutto il Pd, anche per quel largo pezzo del partito che già in partenza non le apprezza affatto, che non si riconosce nel campo antiliberista indicato da Bersani, che molto probabilmente non si spellerà le mani per tifare Hollande.
Di un confronto aperto, o come si diceva una volta di una grande battaglia politica e ideale, non di guerriglie alla mordi e fuggi, il Pd ha bisogno come dell'aria per respirare. In fondo anche gli elettori genovesi proprio questo hanno provato. Una bruttissima sensazione di mancanza d'aria.

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