LA NIPOTINA DI PADRE BRESCIANI, di Nicola Del Corno, da Mondoperaio 8

19 dicembre 2009

LA NIPOTINA DI PADRE BRESCIANI, di Nicola Del Corno, da Mondoperaio 8

Fra le tante contraddizioni che animano lo spirito del nostro governo c’è ne una storiografica che merita forse una qualche riflessione. Ossessionato dalla stampa estera che a suo dire denigra il prestigio della nostra patria, preoccupato di vedere anti-italiani dappertutto, il premier non ha poi trovato di meglio alla festa dei giovani di Atreju di consigliare la lettura di un libro che veramente getta fango sul processo risorgimentale derubricandolo a mero complotto di occulte forze straniere. Il riferimento corre al volume di Angela Pellicciari, da tempo impegnata nel tentativo di dimostrare come furono presunti poteri forti esteri, collusi con massoni e protestanti, a volere l’unità del nostro paese nel tentativo di scardinare ogni possibile traccia cattolica nella penisola italiana.
Per l’autrice il Risorgimento, lungi da essere una pagina più o meno gloriosa scritta comunque da italiani, fu il frutto di una cospirazione internazionale i cui mandanti vanno cercati oltralpe, e di cui gli italiani risultarono spettatori passivi. Anche chi vi partecipò viene relegato al ruolo comprimario di marionetta; stranieri erano infatti i burattinai, i “grandi vecchi”.
Ha ragione Aldo Cazzullo quando sul magazine del Corriere della sera di qualche settimana fa ha parlato di masochismo della Destra: essa aspira a rappresentare sempre di più la maggioranza del nostro paese e poi non sa valorizzare la storia patria, i suoi valori, le sue figure andando dietro a stereotipi di una certa cultura passatista che cerca apprendisti stregoni quando non sa trovare altre spiegazioni al mutare dei contesti storici.
La tesi presentata dalla Pellicciari – e da altri come lei fautori di una “quarta” dimensione storica, quella occulta e cospiratoria, nel tentativo di illustrare l’inarrestabile decadenza del progredire umano nelle vicende patrie – è vecchia, trita e ritrita; è consuetudinaria per una certa retorica reazionaria, ossia per chi, non capacitandosi di contemplare la possibilità che i fatti siano andati in modo contrario alla loro aspettative, accusa forze oscure di muovere i fili della storia, a prescindere dalle passioni e dai sentimenti popolari. Già durante la Rivoluzione francese vi fu chi, come l’abate Barruel, pretese di dimostrare come questa fosse stata un complotto preparato sin nei minimi particolari, e come per nulla avessero avuto voce in capitolo il malcontento popolare, il desiderio da parte della borghesia di contare maggiormente nell’amministrazione della cosa pubblica, le idee di libertà, eguaglianza e fraternità che allora si andavano diffondendo. L’idea del complotto prese piede anche in Italia per giustificare il diffondersi di istanze rivoluzionarie; incolpare di tale circolazione solamente forze estere salvaguardava una presunta concordia conservatrice che avrebbero dovuto albergare fra i nostri concittadini, contenti di vivere sotto il binomio Trono-Altare. Per tutto l’Ottocento il processo risorgimentale fu accusato dai suoi avversari di essere un complotto ordito dall’estero. Un esempio fra tanti lo si può leggere nelle parole del gesuita Antonio Bresciani quando nel 1862 denunciava che gli italiani «veggono Garibaldi, Mazzini, Cavour, e tutti gli altri concitati e ardenti provocatori delle rivolture d’Italia, e li credono i Capi manifesti e massimi delle novità presenti, laddove non sono egli che istrumenti, attivi sì, ma secondari degli ordini arcani del profondo magistero delle società segrete».
Così da parte dai polemisti antiunitari di ieri e di oggi si insiste sulla mancanza di qualsiasi forma di appoggio popolare ai moti risorgimentali. Ai giorni nostri in prima fila ovviamente c’è la Lega che contesta ogni legittimità democratica e popolare al processo risorgimentale dimenticando cosa affermò Carlo Cattaneo a proposito della partecipazione delle classi umili alle gloriose cinque giornate milanesi.
Scrisse il grande Lombardo, ricordando i patrioti caduti sulle barricate di Milano nel 1848: «Il sangue dei cinque giorni fu veramente versato dal popolo, e al popolo se ne deve gratitudine e gloria».
Come è stato notato da Daniel Pipes, nella desolante visione dell’umanità dei teorici del complotto la brama di potere mette da parte qualsiasi altra motivazione.
Allora tutti i fatti e tutte le idee si devono legare indissolubilmente in una prospettiva cospiratoria; le pagine di questi autori si riempiono così di più o meno sprovveduti, ma sempre tenebrosi, complottatori, senza prendere nemmeno in esame le aspirazioni di chi invece voleva dare al nostro paese istituzioni più libere e leggi che, ad esempio, permettessero a ciascuno di poter esprimere la propria opinione, possibilità non proprio contemplata e tollerata nell’Italia prerisorgimentale. Sembra a volte sfuggire a questi autori che se spesso liberali e democratici, e più in generale i fautori dell’Unità d’Italia, dovettero agire segretamente, era perché la libertà d’espressione, di riunione e altre ancora erano conculcate da repressioni censorie e poliziesche Ma il fascino semplificatorio di Barruel è duro a morire. Appare infatti ancora ben radicato in alcuni settori della società italiana, ossia in quelli dove milita colui che, come ammoniva Luigi Einaudi, «ragiona “al punto di vista”», e che «prima di studiare […] sa già quello che deve dire».

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