LA MILANO DI CARLO ROSSELLI, di Nicola Del Corno, dal sito www.leragioni.it, 14 novembre 2009

10 dicembre 2009

LA MILANO DI CARLO ROSSELLI, di Nicola Del Corno, dal sito www.leragioni.it, 14 novembre 2009

Negli ultimi tempi si discute sempre di più se Milano sia diventata oramai la tomba delle forze progressiste e riformista, ossia una terra ormai conquistata definitivamente alla pseudo cultura berlusconiana, o annientata dai tratti più beceri di un certo leghismo padano-centrico, o se sia possibile ancora volgerla a laboratorio per una riscossa delle idee e dei fatti che più ci stanno a cuore. Non credo inopportuno allora rivolgersi ad un grande del Novecento italiano quale fu Carlo Rosselli, romano di nascita e fiorentino di formazione. Rosselli passò qualche anno a Milano agli inizi degli anni venti, traendone un’immagine contraddittoria della città; insomma non raccapezzandosi del tutto fra le enormi potenzialità che essa poteva esprimere e alcune provinciali grettezze che ancora limitavano i suoi abitanti. Penso allora che rileggere alcune sue riflessioni possa tornarci utile; una sorta di bussola di orientamento per i prossimi anni e le prossime scadenze elettorali.
Almeno all’inizio della sua esperienza milanese, l’impatto con la città e con buona parte degli abitanti non fu entusiasmante; dobbiamo rifarci a due lettere alla madre per capire il motivo di tale contrarietà: il 13 febbraio 1924 infatti scriveva Rosselli: “Lunedì sera fui a pranzo dai Bonzi. Francamente finiscono per venire a noia, tale e tanta la piattezza e il grigiore della loro vita intellettuale. Che vi avessi incontrato, magari per errore, una persona interessante… Ma questa è la vera Milano, chiacchierona e vuota”. E solo un mese dopo, il 19 marzo, ribadiva ancor più risolutamente il concetto: “Decisamente non amo molto Milano. Intellettualmente è un vero disastro. Bisogna che cerchi di intrufolarmi in qualche ambiente un po’ più possibile. E’ una città grossa, danarosa, dove nei salotti anche più fini – salvo la moderatria – si strilla, si mettono in piazza i milioni e si misurano le persone per quanto valgono in banca. Disperante…”.
Giudizi poco lusinghieri se si pensa che comunque Milano in quegli anni era sicuramente la città dove più attecchiva e ferveva una forte presenza socialista e democratica; qui infatti stampavano i loro giornali e vi avevano le loro centrali il PSI, il PSU (a cui Rosselli aderirà dopo l’assassinio di Matteotti), il PCI, l’Associazione per il Controllo democratico, la CGL; e a questi si affiancavano alcune iniziative giovanili, quali il “Gruppo goliardico per la libertà” di cui presidente era Lelio Basso, e la rivista “Il caffè” che raggruppava giovani di diverse tendenze politiche, uniti da un’opposizione morale e ideale al fascismo dai forti richiami gobettiani. Per dare qualche riferimento numerico, se si pensa alle elezioni dell’aprile 1924, quelle che sancirono la vittoria del fascismo, i risultati milanesi furono contrari all’andamento nazionale. Se in Italia il listone “fascista-liberale” ottenne una schiacciante affermazione (4 milioni e 200 mila voti) contro i 645 mila dei popolari, i 448 mila dei socialisti unitari, i 348 mila dei socialisti massimalisti e i 304 mila dei comunisti), a Milano i fascisti ebbero 61 mila voti contro i 46 mila dei socialisti unitari, i 21 mila dei massimalisti, i 10 mila dei popolari e i 7 mila dei comunisti. Nella nostra città significativo fu quindi il successo delle liste socialiste, dove unitari e massimalisti raccolsero in complesso il 40% dei voti, e la lista fascista risultò minoritaria rispetto alle opposizioni.
Naturalmente Rosselli colse col tempo l’importanza di Milano quale centro propulsore di una possibile riscossa contro il fascismo; ne è testimonianza soprattutto una famosa lettera a Salvemini, datata 29 settembre 1925, in cui esortava lo storico pugliese, allora emigrato a Londra, a rientrare in Italia per guidare da Milano una forte azione politica e culturale, sul cui successo Carlo ne era fin troppo entusiasticamente sicuro. Si tratta di una lunga missiva di cui, credo, ne vadano attentamente letti alcuni passaggi perché contiene, oltre a riferimenti milanesi che qui ci interessano, già in nuce alcuni aspetti del pensiero politico socialista-liberale che poi approfondirà:
Io ritengo che sia un gravissimo errore emigrare, finché permane anche una minima possibilità di lavoro in Italia. Il lavoro all’estero è utile, prezioso certamente, ma non va sopravvalutato: il lavoro fondamentale, sia materiale che spirituale, deve farsi in Italia. Finché in Italia non si sarà formata e saldamente organizzata una élite capace di tenere nelle mani il movimento d’opposizione e di costituire la classe dirigente di domani, ogni attività estera poggerà sulla sabbia. […] Bisogna che lei venga a Milano, raccolga attorno a sé quei pochi elementi dell’opposizione veramente battaglieri (Canotti, Rossetti, Gonzales, Mira…) e i giovani più fattivi, e ricominci da capo, non badando a pestare i calli a quello, imponendo un obiettivo chiaro e preciso, mobilitando da un lato gli intellettuali, da Croce a Gallarati Scotti, per un’azione morale su grande scala che guardi più alla prossima che alla presente generazione, e dall’altro i più umili, adatti invece per il lavoro concreto. Se a Milano si costituisse intorno a lei questo gruppo, io sono certo che al massimo in sei mesi le cose muterebbero radicalmente. […] Qui a Milano non c’è nessuno. Una enorme forza in potenza, senza lo strumento per tradurla in atto. Mira e gli altri amici condividono pienamente il mio parere. sentono anch’essi chiaramente cosa significherebbe la sua presenza qui. Attorno a lei ci stringeremmo presto tutti,necessariamente, grandi e piccini. […] Quanto alla questione materiale, lei forse già sa che le colonne del “Corriere della sera” sono a disposizione dello storico Salvemini.
E qualche tempo dopo Rosselli ribadiva l’imprescindibile ruolo della città lombarda quale centro propulsore per una rinascita del socialismo italiano e per una riscossa antifascista nell’altrettanto famosa lettera a Pietro Nenni, databile verso il febbraio-marzo 1926, quando, esortandolo a sciogliere le riserve per far decollare l’esperienza del “Quarto stato”, affermava come fosse necessario “piantare le tende a Milano”.

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