LA FORZA DIROMPENTE DEL REFERENDUM di Franco Astengo del 11 febbraio 2020
11 febbraio 2020
“La forza dirompente del referendum”: sotto questo titolo il Corriere della Sera pubblica un intervento dell’ex-ministro Giulio Tremonti sul tema del referendum confermativo al riguardo della legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari da 945 a 600.
Nel suo articolo Tremonti sostiene, tra l’altro, che la portata politica di questo referendum è enormemente più forte di quello che, con il suo esito, decretò nel 1993 il passaggio dalla formula elettorale proporzionale a quella maggioritaria.
Formula maggioritaria poi temperata dal mantenimento di una quota del 25% riservata al proporzionale (con tanto di “scorporo” e di “liste civetta”) come stabilito dalla legge di cui fu relatore l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Giovanni Sartori in quell’occasione coniò la definizione “Mattarellum”).
Subito dopo il varo della nuova legge l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sciolse i due rami del Parlamento (la Camera era presieduta da Giorgio Napolitano, il Senato da Giovanni Spadolini) motivando a questo modo “ “Lo scioglimento trova la sua principale motivazione, non già in una disfunzione creatasi nel rapporto tra Parlamento – governo, bensì nel radicale cambiamento delle regole elettorali imposta dal referendum popolare del 18 aprile 1993, nonché nei profondi mutamenti emersi nel corpo elettorale e nelle stesse realtà politiche organizzate”.
Tremonti dunque sostiene che il referendum che dovrebbe svolgersi il prossimo 29 marzo risulti molto più incisivo sulla realtà istituzionale del Paese che non quello promosso dai Comitati Segni ventisette anni or sono: la ragione di questa superiore capacità d’incidenza risiederebbe non solo nella mutata composizione numerica ma anche nella funzione di rappresentanza territoriale che dovrebbe essere svolta dai due rami del Parlamento e nella meccanica della sua efficienza decisionale.
Ancora: una volta entrati in vigore Camera e Senato a ranghi ridotti rispetto all’attuale composizione si stabilirebbero anche rapporti diversi tra maggioranza e opposizione e di riflesso tra le forze politiche come queste sarebbero rappresentate in un Senato ridotto a 200 membri.
Sono tutti elementi da considerare e da riflettere per quanti si sono già schierati per il “NO” a questo ennesimo tentativo di deformazione costituzionale.
C’è da aggiungere che non solo il referendum previsto per il 29 marzo è assolutamente più dirompente di quello del 1993 ma che, sul piano della valenza costituzionale, equivale perlomeno a quello del 4 dicembre 2016, allorquando la proposta di revisione della nostra Carta Fondamentale portata avanti dal PD a segreteria Renzi fu respinta a grande maggioranza dal voto popolare.
Oggi siamo di fronte a una situazione che deriva dall’aver sparso a piene mani il veleno dell’antipolitica e il referendum stesso sulla riduzione del numero dei parlamentari (riduzione posta come pregiudiziale dal M5S al PD soltanto per aprire la trattativa sulla formazione del nuovo governo) assume un evidente ulteriore effetto di delegittimazione complessiva di un Parlamento ormai ridotto ad una sostanziale autoreferenzialità.
E’ il caso di ricordare come la caduta di credibilità del Parlamento abbia una delle sue principali cause nel reiterarsi ormai da tre legislature di elezioni legislative svoltesi su liste bloccate.
Scrive ancora Tremonti e vale la pena riprenderne le argomentazioni: “Ma ciò che è peggio è l’infima cifra della politica che viene così espressa: mai nella nostra storia così pochi hanno pesato e pesano tanto male sul presente e sul futuro di tutti gli altri”.
Tra pochi giorni ci troveremo dentro a una campagna elettorale che non solo sarà sbilanciata nell’attribuzione del peso mediatico tra le diverse opinioni in campo ma sarà anche invasa dalla facile mistificazione circa l’abbattimento delle poltrone e dei privilegi della “casta” (posizione paradossalmente sostenuta da chi della “casta” fa ormai interamente e integralmente parte).
Più o meno lo stesso tipo di mistificazione con cui ci trovammo a fare i conti nel già ricordato referendum del 1993, con l’idea facilmente propagandata e colpevolmente amplificata dai media di allora della semplificazione nel ruolo del Parlamento intesa come panacea di tutti i mali della democrazia italiana in quella fase alle prese con Tangentopoli, lo smarrimento dovuto alla caduta del muro di Berlino e all’inopinato scioglimento del PCI, al ritardo accumulato sulla strada dall’adeguamento ai dettati dell’appena firmato trattato di Maastricht e dell’avvio del percorso verso la moneta unica.
L’analisi fin qui compiuta ci dimostra che l’oggetto del contendere, nel referendum del 2020, non è certo quello della semplificazione del meccanismo parlamentare : ancora una volta, come già nel 2006 e nel 2016, siamo di fronte alla determinazione di arrivare ad un mutamento nell’equilibrio dei poteri così come questi sono stati configurati nel modello di democrazia repubblicana stabilito dalla Costituzione del ‘48.
Il tema, almeno dal nostro punto di vista di chi intende sostenere il “NO”, non deve quindi essere quello della conservazione del numero dei parlamentari ma quello del mantenimento e se possibile del rafforzamento di una “balance of power” della quale è parte indispensabile la rappresentazione nelle massime istituzioni legislative delle più importanti sensibilità politiche, sociali, culturali presente in una dimensione rilevante nel Paese.
Così come è fondamentale la presenza nei due rami del Parlamento di un equilibrio nella rappresentanza territoriale che, invece, sarà massacrata dalla riduzione numerica che, alla fine, presenterà situazioni di sicuro profilo incostituzionale.
E’ necessario inoltre ripensare alla formula elettorale, al meccanismo di scelta individuale dei parlamentari, di distribuzione della rappresentanza sul territorio.
Soprattutto va ripreso e avviato un diverso discorso culturale al riguardo dell’agire politico: la difesa dell’integrità anche numerica delle Camera può rappresentare, in questo senso, un primo passo perché si riaffermerebbe la centralità della Costituzione Repubblicana e uscirebbe sconfitta una inaccettabile idea di mortificazione della rappresentanza politica.
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