LA DEMAGOGIA HA AFFOSSATO L’ILVA, UN DISASTRO VOLUTO DALLA POLITICA di Marco Bentivogli da Il Riformista del 5 Novembre 2019
05 novembre 2019
La notizia arrivata ieri in cui Am InvestCo Italy ha inviato ai Commissari straordinari di ex Ilva S.p.A. una comunicazione di recesso dal contratto dello stesso per l’affitto e il successivo acquisto condizionato dei rami d’azienda di Ilva S.p.A. e di alcune sue controllate a cui è stata data esecuzione il 31 ottobre 2018 è gravissima. Significa che entro 25 giorni i lavoratori e gli impianti dell’ex-Ilva torneranno nelle mani della già rovinosa amministrazione straordinaria. Un disastro sul piano lavorativo e sociale che impatterà negativamente su oltre 20mila lavoratori del polo siderurgico più grande d’Europa e sull’economia del Mezzogiorno e dell’intero Paese, mandando all’aria un Piano industriale e ambientale di 3. 6 miliardi che era stato raggiunto con molta fatica il 6 settembre del 2018.
Tra le motivazioni principali che hanno portato Am a questa scelta, il pasticcio combinato in Senato sul “Salva Imprese” con lo stralcio dell’articolo 14, il cosiddetto “scudo penale”, una norma che in qualsiasi altro Paese non sarebbe stata necessaria ma che in Italia invece è stato necessario inserire per impedire che nell’attuazione del piano i dirigenti, ma anche i lavoratori rischiassero penalmente, quello che è poi accaduto. Si è fornito con quella scelta un alibi, clamoroso, per far andar via l’azienda senza vincoli e penali, e la dipartita di Matthieu Jehl e l’arrivo della Morselli lasciavano sperare poco di buono. Dal 2018, poco prima dell’accordo, e da luglio 2019, era stata ribadita dall’azienda la necessità dello scudo penale come condizione per acquistare e poi per operare. A onor di cronaca c’è da ricordare che il Pd aveva costruito quel provvedimento confermato dai 5S con Di Maio al Mise e poi cancellato sia da Pd che dal M5s. Schizofrenie dettate da contese interne ai partiti di governo. Olimpiadi della demagogia che conferiscono Medaglie d’oro di cui c’è inflazione nella politica italiana. Un capolavoro d’incompetenza e pavidità politica di cui ne faranno le spese i lavoratori e l’ambiente, che dimostra la totale irresponsabilità in un momento in cui il mercato dell’acciaio è in forte calo in tutta Europa.
La vicenda Arcelor Mittal è lo specchio di un Paese profondamente anti-industriale, che avrà ripercussioni rispetto alla percezione che si avrà fuori dall’Italia. La vicenda è, e resterà per anni, un grande cartello con su scritto «non venite a investire nel nostro Paese». Una vertenza che va ad aggiungersi al processo di desertificazione del Sud a cui la politica, è evidente, non sa dare risposte. La notizia infatti arriva dopo che il Parlamento ha eliminato la protezione legale necessaria alla Società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, con effetto dal 3 novembre, fornendo un alibi all’azienda per andare via. Già la scelta di un ad esterno al Gruppo sembrava dettata dalla volontà di proteggere i propri manager per il dopo 3 novembre e assestarsi su un ripiegamento industriale e occupazionale come prologo al disimpegno totale nel nostro Paese.
L’azienda non è priva di responsabilità, la cassa integrazione non era necessaria. Secondo voi chi avrebbe investito 3,6 miliardi di euro per uno stabilimento in cui è ancora sotto sequestro l’area a caldo, per il quale la magistratura ha chiesto il fermo dell’Afo2 (altoforno) in una Regione in cui il governatore è esperto su che cosa devono fare gli altri ma smemorato sulle sue responsabilità e che impiega il suo ruolo più nei ricorsi (a oggi tutti persi) che chiede la de-carbonizzazione per cui serve tanto gas a basso costo e contemporaneamente blocca la Tap (che servirebbe proprio per avere il gas)? Rimpalli e accuse tra politica nazionale e locale, conflitti tra i poteri della Stato che da anni lavorano a questo epilogo. Un processo penale, il cui dibattimento è partito quasi 5 anni fa dal sequestro dell’area a caldo e dagli arresti.
Certo, la domanda d’acciaio europea è crollata per la follia del mondo chiuso che si scontra con i dazi e per il calo dell’auto, per l’incapacità, anche lì, di gestire la transizione con scelte intelligenti e meno spot. Ma l’Ilva perdeva in questi anni anche quando l’acciaio tirava e grazie ai sovranisti italiani lo compravamo dalla Germania e dalla Turchia. Anche l’azienda ha responsabilità, ci mancherebbe. Ma questo disastro è un capolavoro tutto politico, è il frutto amaro di gruppi dirigenti che hanno paura a dire la verità e scelgono l’imbroglio della demagogia quando dovrebbero semplicemente imparare che il loro compito è assumersi responsabilità anche impegnative. Secondo l’ultimo Rapporto Svimez, dal 2000 a oggi sono 2 milioni i meridionali che hanno abbandonato il loro territorio, la metà dei quali under 34. Nel 2019, inoltre, la crescita dell’occupazione nel primo semestre ha riguardato solo il Centro-Nord con 137mila posti di lavoro in più, ai quali si il Meridione, dove si contano 27mila posti in meno.
Il Sud è ufficialmente in recessione ma mentre nel Centro Nord la deindustrializzazione è iniziata, nel Sud siamo alle battute finali. Carenze di infrastrutture, accesso al credito, burocrazia soffocante, costo dell’energia, scoraggiano gli investimenti e fanno scappare quelli presenti. La Puglia ha il doppio della disoccupazione della media europea. A luglio, all’assemblea generale di Federmeccanica, l’ad Mattheus Jehl lo aveva detto dal palco. Lo avevamo ripetuto in coro, il 25 ottobre, durante l’incontro con i ministri Patuanelli e Provenzano. In nessun paese al mondo si rischia il carcere per attuare un piano ambientale. Abbiamo creduto, ingoiando bocconi amari, di poter realizzare il più grande progetto di sostenibilità d’Europa. Bastava la coerenza e il rigore di dare corso a quello che prevede il piano ambientale e l’Aia. E invece hanno scelto di dare l’alibi all’azienda per fare le valigie.
Tra 30 giorni, senza intervento, si torna nelle mani dell’amministrazione straordinaria. Periodo già durato 6 anni e in cui sono aumentati gli incidenti e di sostanziale immobilità sul piano ambientale, di ripiegamento produttivo e cassa integrazione, costato oltre 3 miliardi. Solo il sindacato si è assunto la responsabilità di tener duro e andare avanti per bonificare il sito e far sì che non inquini più. Continueremo a farlo. Ma serve una convocazione immediata del Consiglio dei ministri che ripristini lo scudo penale. Altrove gli elettori scelgono politici che risolvono i problemi, in Italia ci piacciono troppo gli incompetenti che li esasperano. Ho lottato tutti questi anni accanto ai lavoratori Ilva, ci siamo presi i peggiori attacchi, “assassini” era il più gentile, solo perché pensiamo che il nostro ruolo sia conciliare salute, ambiente e sviluppo come in quasi tutto il mondo. Verrebbe tanto la voglia di fare un passo indietro e lasciare il campo a quelli che non pagano mai, ai benaltristi e vedere cosa combinano. Ma il costo è troppo elevato, Bagnoli è ancora li da bonificare per 2/3, ma chiusa dal 1988, un deserto di inquinamento, disoccupazione e camorra.
Speriamo che cresca consapevolezza ambientale, industriale e civile e che nessuno dia più fiducia agli imbonitori e ai demagoghi, a chi cerca gli applausi mentre racconta bugie e il paese muore.
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