LA DATA DEL REFERENDUM di Franco Astengo del 30 maggio 2020
30 maggio 2020
Sul tema della riduzione del numero dei parlamentari chi ha ancora a
cuore la democrazia repubblicana ha il dovere di essere particolarmente
chiaro, questa volta senza sfumature: Il Comitato per la Democrazia
Costituzionale dovrebbe chiedere udienza al Presidente della Repubblica,
naturalmente non per chiedere un suo intervento che sicuramente non può
eventualmente oltrepassare il limite di una “moral suasion” .
L’occasione dovrebbe però essere colta per fare in modo che alla più
Alta Magistratura della Repubblica possano essere direttamente
illustrate le ragioni di chi si oppone a questo sicuramente nefasto
provvedimento.
La riduzione nel numero dei parlamentari, nelle
condizioni in cui questo provvedimento potrebbe realizzarsi se il voto
del Parlamento dovesse essere confermato nel referendum,
rappresenterebbe il “vulnus” più grave inferto alla Costituzione dal
1948 in avanti. Si tratterebbe, infatti, del frutto avvelenato
dell’antipolitica accettato dai gruppi parlamentari soltanto per
pavidità e opportunismo, al di fuori dai 5 stelle che ne sono stati
promotori all’insegna “dell’aprire le Camere come una scatola di tonno”
(discorso che echeggiava “l’aula sorda e grigia, bivacco di manipoli”).
Un’ emergenza questa della pavidità e dell’opportunismo che rappresenta
un vero problema per il corretto funzionamento delle istituzioni, come
abbiamo constatato anche nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria,
suggellando così la davvero mediocre qualità politica e di dimensione
istituzionale che fin qui è stata espressa dal combinato disposto
Governo – Parlamento. Un Parlamento eletto ancora una volta attraverso
una legge elettorale nel cui testo si ravvisano diversi profili di
incostituzionalità. Del resto i Parlamenti della XV, XVI,XVII
legislatura erano stati eletti con leggi elettorali dichiarate
incostituzionali dall’Alta Corte. Quello dell’incostituzionalità delle
leggi elettorali rappresenta un altro particolare dimenticato quando si
cerca di definire un profilo della classe politica che ha agito sul
piano istituzionale nel corso degli ultimi anni. Appare meschino il
tentativo di confondere una scadenza come quella referendaria, di
massima importanza per il futuro della qualità della democrazia
italiana, con la canea di basso profilo che si misurerà con l’elezione
diretta dei Presidenti di Regione (si tralascia, in questa occasione, il
discorso sulla vera e propria “disgrazia democratica” rappresentata
dall’elezione diretta a cariche monocratiche).
E’ necessario far
emergere con chiarezza i termini della questione in gioco che ancora una
volta, come nell’occasione dei due altri referendum confermativi del
2006 e del 2016, riguarda il cuore stesso dell’impianto previsto dalla
Carta fondamentale sui temi delicatissimi della forma di governo, del
ruolo delle Camere, della rappresentatività dei soggetti politici in
entrambe le direzioni della piena rappresentatività delle più
significative sensibilità culturali e dei territori. Dobbiamo sollevare
il tema al massimo livello. Il voto referendario necessita di una
accurata e specifica preparazione, nel corso della quale le diverse
ragioni in campo debbono poter disporre dello spazio temporale e fisico
per essere esposte all’intero corpo elettorale, senza interferenze varie
e senza asimmetrie nel numero di schede da votare da territorio a
territorio, come accadrebbe nel caso dell’accorpamento. Si sta
compiendo, in questi giorni, un vero e proprio “sopruso” al riguardo
dell’esercizio pieno e legittimo della democrazia nella sua espressione
più alta che è quella del diritto di voto dal punto di vista della
libertà personale di espressione. Occorre riprendere da subito la
mobilitazione e portare al massimo della visibilità e della presa di
coscienza collettiva, i motivi che sostengono la necessità di un
regolare svolgimento del voto.