La crisi profonda della Scala
21 marzo 2005
La Scala, il teatro lirico più famoso del mondo, simbolo della cultura italiana e della grandezza europea della Milano settecentesca, certamente più conosciuta di qualsiasi Albertini e persino di qualsiasi sovrintendente o direttore musicale, è entrata in una crisi profonda.
Una crisi maturata negli ultimi anni, almeno dal 2003, quando il maestro Muti, andando ben al di là delle sue prerogative e del suo ruolo, pose al sindaco e poi impose al Cda la defenestrazione del sovrintendente Carlo Fontana, per sostituirlo, e alla fine ci è riuscito, con la figura certamente meno prestigiosa di Mauro Meli, già discusso sovrintendente cagliaritano. Perchè? Cosa c'era dietro? Si domandano in molti. Nella vicenda, che è apparsa fin dall'inizio complessa, si intrecciano questioni personali, e dietro le divergenze personali, come spesso accade, si nascondono interessi e scelte di politica culturale ed economica diversi e contrapposti.
La stampa sta via via ricostruendo una storia che è covata sotto la cenere per più di due anni e la commissione cultura del Senato ha avviato un indagine conoscitiva.
Le questioni sul tappeto sono almeno tre.
La prima riguarda il "licenziamento" di Carlo Fontana, deciso all'unanimità dal Cda, contra legem, senza alcuna plausibile motivazione e spiegazione.
Fontana, ritenuto dal sindaco Albertini tanto bravo da proporlo come assessore alla cultura in sostituzione dell'assessore Carrubba, dimessosi per divergenze proprio sul caso Scala, ma tanto ingombrante da essere ritenuto non più idoneo a proseguire nel suo mandato almeno fino alla scadenza naturale di novembre.
La seconda riguarda il ruolo che i privati hanno svolto e intendono svolgere nella Fondazione Scala. Ruolo non chiarito, ma che sembra aver assunto un importanza tale da condizionare la decisione dei soggetti pubblici.
Dietro alla vicenda Scala ci sono interessi economici che sembrano aver preso il sopravvento sulla politica musicale dell'ente e per realizzare questi interessi bisognava rimuovere Fontana prima della scadenza del Cda.
La terza questione, molto collegata alle altre due, riguarda il progetto culturale e gli interessi economici che potrebbero ruotare intorno all'uso commerciale del marchio Scala e all'uso del nuovo teatro Arcimboldi. Il vero "scandalo" di tutta la vicenda. Un teatro non "regalato" da Pirelli al Comune, come è stato più volte fatto credere, ma costruito in conto oneri di urbanizzazione per la cosiddetta lottizzazione Bicocca. Una scelta sbagliata del Comune che pesa oggi sul Comune stesso. Oggi bisogna infatti decidere se lasciarlo in gestione alla Scala per fare musicals, o darlo in gestione ad altri o liberarsene se mai ci fosse qualcuno che volesse comprarlo.
Una cosa pare certa, dopo l'uscita di scena di Carlo Fontana, le dimissioni di Muti e di Meli sembrerebbero la cosa più naturale e più salutare.
Per il bene del Teatro e della città.
Non è infatti credibile un vertice della Scala a responsabilità invertite. L'attuale schema, con un direttore musicale "monarca" e un sovrintendente subalterno, non può reggere, è contro lo statuto ed è già il segno più evidente della decadenza.
Ma c'è di più. Muti e Meli, come appare in modo sempre più evidente, sono i maggiori responsabili della crisi e sembrano incapaci di reggere lo scontro con gli interessi economici che hanno preso di mira l'affare Scala.
Ma anche il Cda non ha minori responsabilità e se commissariamento ci deve essere, sappia il sindaco che non spetta a lui nominarlo. Dovrà essere scelto con criteri di assoluta trasparenza e il suo lavoro, come il suo curriculum, saranno sotto gli occhi di tutto il mondo.
Una cosa è certa la Casa delle Libertà è riuscita dopo 200 anni a incrinare il "mito" e a metter in crisi il Teatro, così come ha fatto sulle altre "sue aziende", per interessi naturalmente, tanto meschini quanto forti.
Interveniamo prima che in gioco ci sia anche la distrazione di denaro pubblico.
Sen. Roberto Biscardini