LA CRISI DI AGOSTO: VERSO LA FINE DELL’ANOMALIA ITALIANA? di Alberto Benzoni
29 agosto 2019
Nel “qui e ora” dei media italiani, aggravato oltremisura nel prisma distorto dei giornali di destra e dell’immancabile “Repubblica”, il processo che sta portando alla nascita del governo giallorosso è stato dipinto in termini sostanzialmente negativi: accordo tra perdenti, timore antidemocratico per il voto popolare (Giannini dixit), attaccamento alle poltrone, miserie collettive e divisioni personali descritte come una minuzia degna di miglior causa; e così via.
Guardando dall’alto e in prospettiva le cose appaiono invece del tutto diverse; per una serie di ragioni su cui dovremmo, come italiani e come componenti della “sinistra che non c’è”, riflettere tutti.
La mia modestissima opinione è che la crisi di agosto e la sua soluzione abbiano creato tutte, dico tutte, le premesse per una fuoriuscita positiva dall’”anomalia italiana”; o, per meglio dire, dalle tante anomalie negative che caratterizzano il nostro paese.
Stiamo parlando di processi virtuosi che potranno svilupparsi, o pure no: ma che, questi sì, rappresentano una vera svolta rispetto al passato. E che sono stati aperti qui e oggi.
Parliamo dei rapporti tra Italia ed Europa- Di quelli tra populismo-sovranismo di destra e di sinistra. E, infine, di quelli tra le forze politiche italiane.
Cominciamo da Biarritz. E cioè dal fatto che Conte abbia confermato la frattura irrimediabile e definitiva rispetto alla Lega in terra straniera. E con il plauso dell’Europa intera: così da vedere caldeggiata la sua riconferma non solo da Macron e dalla Merkel ma anche da molti esponenti socialdemocratici; oltreché, in Italia, dal Vaticano di Papa Francesco.
Per Salvini (e temo anche per qualche ideologo della sinistra pura e dura) un segno di indegnità. Per il sottoscritto (non sospetto di simpatie per l’Europa che c’è), un’ottima cosa. Perché, alla lunga, la realtà delle cose e le leggi della politica hanno sempre la meglio sull’intossicazione ideologica. Perché, nel caso specifico, “ordoliberismo” e austerità stanno franando sotto i nostri occhi. E perché da ora in poi, statene assolutamente certi, l’Italia giallorossa cesserà di essere un ex criminale sotto sorveglianza; e il Pd non avrà più bisogno di tifare per lo spread. E perché, infine, per il combinato disposto del mutamento politico in Italia e della rivalutazione del keynesismo in Europa, gli appuntamenti annuali con la Commissione cesseranno di essere un processo sul debito e sul deficit e diventeranno un dialogo costruttivo sulle politiche da adottare. Come è giusto che sia.
Ed è sempre a livello internazionale che sarà chiarito quello che avrebbe dovuto essere evidente da tempo e cioè la distanza potenzialmente abissale tra populismo-sovranismo di destra e quello di sinistra. Il primo è nazionalista per scelta; il secondo, internazionalista per necessità. Il primo odia l’Europa e i suoi valori; il secondo lotta per cambiarla. Il primo corre lungo l’asse Trump, Bolton, Johnson, Bolsonaro, Netanyahu (con la benedizione interessata di Putin) il secondo corre invece lungo l’asse tradizionale della politica estera italiana a partire da Mattei e Fanfani per arrivare, via Andreotti e Craxi, sino a Berlusconi. E, per concludere, il primo è autoritario e regressivo e fondato sulla ricerca del nemico; il secondo, democratico e solidale.
Si dirà a questo punto che il Movimento 5 Stelle non appartiene al populismo di sinistra. E invece sì: per le 5 stelle che caratterizzano il suo programma e i suoi obiettivi, per i suoi riferimenti culturali; e per i suoi allineamenti politici a livello europeo. In senso contrario il leaderismo reale, Grillo, o vagamente comico, il capo politico, le risibili chiusure al mondo esterno, l’enfasi giustizialista e infine, il rifiuto della legge di gravità ( né di destra né di sinistra). Difetti per altro propri delle prime fasi di qualsiasi movimento antisistema; e che si sarebbero naturalmente dissolti di fronte al principio di realtà. Difetti, non marchi di infamia. E difetti superabili nel confronto anche polemico con il Pd, confronto obbligato per due formazioni con simile base elettorale.
Averlo ripetutamente rifiutato ha avuto conseguenze funeste. Sia per i due protagonisti, sia per l’Italia: l’unico paese dell’Europa occidentale dove il contrasto potenziale tra ottimati e popolo stava diventando guerra aperta, con inequivoche manifestazioni di razzismo culturale e con conseguenze funeste per la tenuta stessa della collettività nazionale.
In tale contesto l’avere evitato le elezioni, puntando sull’alternativa di un governo politico costituisce oggettivamente un titolo di merito. Oggi l’alternativa in campo non è più tra lettori di “Repubblica” e barbari. Ma tra i fautori della democrazia liberale e i suoi nemici; e in prospettiva tra sinistra e destra.
Non è detto naturalmente che questa battaglia sia vincente. Dipenderà dal programma e dalla sua natura di svolta non solo rispetto al passato prossimo del governo gialloverde ma anche a quella, prolungato, della sinistra di governo negli ultimi decenni.
E dipenderà anche dall’entrata in campo della “sinistra che non c’è” e dalla sua capacità di intervento e di mobilitazione. “Marciare divisi”, certo; ma anche, quando necessario, contrastare uniti l’avversario comune.
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