LA CRISI DELLE BANCHE: QUALE SOLUZIONE? di Francesco Bochicchio

13 gennaio 2017

LA CRISI DELLE BANCHE: QUALE SOLUZIONE? di Francesco Bochicchio

La crisi tremenda delle banche spinge a proporre soluzioni: Paolo Savona, insigne economista moderato realista, cresciuto alla scuola di Guido Carli, e critico nei confronti degli eccessi da liberismo e da “austerity”, ha proposto la separazione, nelle banche, tra attività creditizia ed attività di intermediazione nei pagamenti, tale da consentire la prima solo a chi emette obbligazioni. La tesi è (manifestamente) infondata: caratteristica principale delle banche è non il nesso tra raccolta del risparmio e  esercizio del credito ma l’essere i loro debiti moneta. Ciò chiarito, la separazione tra crediti e pagamenti evidentemente non ha senso, in quanto la moltiplicazione dei crediti, anche in misura in modo stratosferico maggiore degli indebitamenti, è possibile solo grazie ai servizi di pagamento: inoltre, in mancanza di separazione, vale a dire nelle banche ordinarie nella loro (si chiede scusa per il bisticcio di parole) ordinarietà, manca la paventata divaricazione tra forma di raccolta, a breve, e impiego in quanto i fidi bancari sono revocabili “ad nutum”. La proposta,  di fatto, ove inopinatamente realizzata,  impedirebbe alle banche di utilizzare i depositi a breve per i crediti con il risultato così di bloccare l’attività creditizia, la quale, potendo utilizzare solo la provvista derivante dalle obbligazioni, assimilerebbe la banca ad una finanziaria qualsiasi, con una dequalificazione enorme. Ma non solo: Il bilancio bancario con debiti obbligazionari a fronte di crediti con scadenza corrispondente si troverebbe indebolito in quanto anche pochi crediti insoluti non sarebbero compensati da altre attività, mentre la differenza tra interessi sui crediti ed interessi sulle obbligazioni non sarebbe in alcun modo all’uopo sufficiente. Paolo Savona, oltre ad un essere un insigne economista ed un vero esperto di banche, come detto è allievo di Guido Carli, che a propria volta fu un grande sostenitore della banca universale, contro ogni separazione tra attività. Come mai gli è venuta questa idea nel senso di una separazione tanto radicale ed addirittura estrema, finora mai sostenuta e mai applicata se non in situazioni al limite nel mondo anglosassone ? La prima idea che viene in mente è che il chiaro a. voglia dare un scossone alle banche che sono in crisi profonda e non ne sembrano consapevoli: non riescono a d uscire dalla crisi e nemmeno a salvarsi tra di loro e necessitano di aiuto pubblico. Il Presidente ABI Patuelli evidenzia che è giusto che le banche non si salvino tra di loro, poiché le banche sane verrebbero a trovarsi impelagate in situazioni di crisi con un effetto di  trascinamento verso il basso: ma Patuelli non si avvede che così le banche non dimostrano spirito imprenditoriale di sistema, a differenza di altri Paesi, come la Germania, dove gli imprenditori privati stanno investendo le proprie risorse per salvare Deutsche Bank, la principale banca tedesca. Guido Carli ha sempre ammonito gli imprenditori italiani lamentando che non dimostravano spirito di sistema. E non a caso il mondo bancario italiano pretende salvataggi pubblici fissando condizioni, quale quella che l’intervento pubblico sia a breve (così espressamente Gros,  Presidente di Banca Intesa, prima banca italiana): pretesa che la dice lunga sullo spirito del mondo bancario italiano, che persegue profitti privati a fronte di traslazione del rischio sullo Stato. In un crescendo rossiniano, lamentano che troppe regole ingessano l’attività; e certo, è bene liberalizzare, tanto il costo dei “default” viene caricato sullo Stato: qui si cade nella vera e propria irresponsabilità. Così Savona vuole dare loro uno scossone salutare invitandole ad un orgoglio imprenditoriale, ma è una provocazione non costruttiva. Diverso il discorso se si entra nell’ottica della consapevolezza che la crisi della banche è senza via di uscita senza una programmazione pubblica. Savona, liberale moderato, ritiene evidentemente che la via di uscita all’interno di un’ottica di mercato possa essere rappresentata solo dal ridimensionamento delle banche. Ma Savona non è così ingenuo da pensare ad una polverizzazione bancaria “tout court”: le banche hanno bisogno di dimensione e di capitale ingenti. Ed allora, il punto vero è un altro ed addirittura dirompente. Savona pensa evidentemente che l’attività bancaria costituisca un lusso che si possano permettere solo le grandi banche universali alla fine tali da ruotare intorno alle grandi banche d’affari internazionali. L’attività di dettaglio deve essere polverizzata tra mille banche/finanziarie ridimensionate: queste, per non saltare, devono seguire regole ultra-prudenziali (e questa è una risposta al mondo bancario italiano che, come visto sopra, vuole –irresponsabilmente- disfarsi di regole prudenziali). E’ un disegno lucido, che a partire dal settore bancario-finanziario, il più importante,  persegue una definitiva divisione del capitalismo in due, capitalismo vero in entità gigantesche da un lato e dall’altro piccole realtà polverizzate e parcellizzate. Ciò per far fronte alla mancata autosufficienza delle maggior parte delle imprese tipica del capitale finanziario e monopolistico, e nel contempo mantenere vivo un mondo imprenditoriale vitale per impedire l’esplodere della proletarizzazione. Savona, in definitiva, condivide l’analisi socio-economica di Marx ed Hilferding e vuole approntare un rimedio dal punto di vista del capitale. Ciò che interessa è che il modello cui pensa Savona è quello di un misto tra programmazione accentrata rigorosa, di natura non pubblicistica come vogliamo noi socialisti ma privatistica (che la vera alternativa fosse non tra programmazione e mercato ma tra programmazione pubblica e programmazione  privata lo diceva già negli anni ’50 Tullio Ascarelli) ed un piccolo mondo di imprese, sulla falsariga di quella originale via al socialismo che tentò di realizzare Bucharin nel 21 in Russia con la Nep (subito dopo al tragedia Kronstadt). Se questa è l’unica strada di salvataggio del capitale finanziario, l’alternativa socialista (ora solo riformista) è quella di rendere la programmazione solo pubblica e  così rompere il dominio delle imprese grandissime e salvaguardare anche imprese grandi e medie purché guidate e dirette dalla programmazione pubblica. Non è la salvaguardia della concorrenza, ma all’esatto contrario si tratta di un sistema economico in cui l’impresa privata sia funzione sociale e pertanto guidata dalla programmazione pubblica, con  imprese chiave pubbliche, poche ma non minori delle  grandissime imprese private, queste fondamentali perché sono loro che danno l’impulso all’economia ma entro confini ben precisi ed invalicabili  –e sul terreno di una vera riforma delle società per azioni a capitale diffuso si può innestare la proposta di elezione a suffragio universale da parte dei cittadini di una parte dei consiglieri di amministrazione delle grandissime imprese, secondo l’idea di Girogio Galli nel libro comune con lo scrivente, “Scacco alla Superclass”, e dallo  tesso scrivente poi ripresa con modifiche- e in conformità ai direttive pubbliche. E’ una vera forma di semi-socialismo. Non si illuda chi a sinistra pensa tuttora alle separazione di attività tra banca tradizionale di deposito e banca d’affari: si tratta di separazione, come anche quella qui criticata del resto, o illusoria o tale da ostacolare una vera riforma dell’economia rientrante in un’ottica socialista.

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