LA CRISI DEL PD E' CULTURALE intervista a Gianfranco Pasquino da Il Giornale del 13 maggio 2009

16 giugno 2009

LA CRISI DEL PD E' CULTURALE intervista a Gianfranco Pasquino da Il Giornale del 13 maggio 2009

Se c’è uno che può spiegare i motivi della crisi del Partito democratico nelle regioni rosse, è lui. Gianfranco Pasquino - infatti - è da anni è una delle coscienze critiche della sinistra. Sempre lucido, affilato, caustico, inattacabile - dato il suo prestigio accademico - e disinteressato nella sua ultima folle impresa. Quella di candidarsi contro «il partito» a Bologna, il primo candidato eretico all’ombra delle due torri dal dopoguerra a oggi. Pasquino parla dei problemi della amministrazioni locali di sinistra da politologo. Solo alla fine parla della sua candidatura. Ma prima spiega con grande chiarezza perché il Pd può perdere.
Pasquino, come va la sua campagna?
«Sa, il candidato è terribilmente intelligente, spiritoso, parla bene in pubblico… Non ha una lira, ma se la cava bene. Finora ha speso 16mila euro».
È convinto che il leggendario modello amministrativo delle regioni rosse sia in crisi?
«Allora. Non sono un folle, quindi so bene che il Pd ha una macchina organizzativa potentissima. Dopodiché c’è una crisi culturale enorme. È quella che produsse la sconfitta del 1999 a Bologna e che non è stata risolta, ma solo tamponata nel 2004».
Il nodo qual è?
«La prima è di conoscenza. Il Pd oggi non sa più quale sia il suo ceto di riferimento. Contano i voti, ma non sanno che politiche offrire ai loro elettori».
Facciamo un esempio?
«Bologna è la città delle badanti e degli anziani, e loro hanno l’eccellenza negli asili nido. Per carità, io amo i bambini, ma non puoi continuare per inerzia a fare quello che hai sempre fatto».
Come mai
«Non leggono più la società, e quindi non sanno che sta cambiando, e come».
Altro esempio?
«Il secondo soggetto forte della città sono i giovani. Ma non c’è più il partito capillare che li educa, li coinvolge, li controlla. Vengono percepiti come una minaccia».
E il partito come sta?
«Malissimo. Soprattutto la sua classe dirigente. Hanno preso Cofferati, nel 2004, perché non avevano nessuna personalità apprezzabile. Sa qual è l’unico criterio di promozione?».
Mi dica.
«Le poltrone che si liberano. Guardi i due uomini-simbolo, si fa per dire, di questa stagione. Caronna, l’eurocandidato, libera due posti: la segreteria nel partito, e uno nelle istituzioni. Del Bono, il candidato sindaco, ne libera addirittura tre».
Cofferati perché non si è ricandidato?
«Non certo per il figlio Eduardo. Non si è curato della città, non ha coinvolto nessuno, rischiava di perdere. Ora corre in un’altra regione!».
E le case del Popolo?
«Non se n’è accorto nessuno, ma al partito ne è rimasta una sola! Tutte le altre sono ormai dell’Arci. Perfetto per il liscio. Ma non porta più i voti come una volta».
E il sindacato?
«Tiene la sua struttura di consenso. Ma la sua per piazzare i suoi uomini nei posti chiave, e con i suoi obiettivi, impone i suoi assessori».
È solo un problema locale?
«Per nulla. Vuole un esempio? Il paradosso di Reggio Emilia, dove la Spaggiari, storico sindaco del Pci e poi dei Ds corre alleata con l’Udc. Il candidato del Pd è un ex Dc?».
Un casino.
(Sorride). «Abbastanza… E ancora peggio va a Forlì, dove l’uomo del partito è stato sconfitto alle primarie da un candidato di sinistra e libertà».
Che interpretazione suggerisce?
«La più semplice. Il partito ha perso qualunque capacità di presa sulla classe dirigente. E perde colpi a destra a Reggio, a sinistra a Forlì e al centro, a Bologna».
Però hanno rifatto l’Unione.
«Macché Unione! Io la chiamo ammucchiata partitocratica. Lì c’era uno straccio di programma. Qui siccome hanno una paura nera di perdere, si sono messi con Rifondazione, Pdci, Verdi… Ovvero quelli con cui fino a ieri si sono presi a pesci in faccia! Secondo lei è una prova di forza?».
E di lei, che dicono?
(Sorride) «Solo due cose, ma che danno l’idea. Prima dicono che se mi votano la sinistra perde. Poi che sono irrilevante».
Se è irrilevante loro dovrebbero vincere lo stesso.
«Esatto. Sa che qualcuno di quelli che ci ha finanziato ci ha detto: vi voglio aiutare ma solo se resto anonimo?».
Perché?
«Metti che sei un notaio di sinistra. Se si scopre che sostiene Pasquino? Molto probabile che il comune non ti affidi più il rogito».
E lei quanto si assegna?
«Fra il 5% e il 9% stappo lo champagne».

Vai all'Archivio