LA CRISI DEI PARTITI di FRANCESCO BOCHICCHIO DEL 12 SETTEMBRE 2022
12 settembre 2022
In un bellissimo articolo, sul “Manifesto” del 4 settembre, si affronta da sinistra la crisi dei partiti, che è la crisi della rappresentanza, della politica e della democrazia. Senza partiti, o comunque con partiti in crisi vi è il plebiscitarismo, con l’uomo solo al comando o comunque con oligarchie insensibili al dibattito pubblico.
Tutti –anche al centro, basti pensare a Sabino Cassese- affrontano la crisi dei partiti,
Ma la affrontano in modo erroneo, trascurando che i cittadini hanno perso identità e soprattutto partecipazione collettiva e votano in funzione delle contingenze.
La crisi dei partiti è in conseguenza della fine della società e della fabbrica fordista.
Mancano blocchi sociali compatti interessati ad una rappresentanza trasparente. La politica resta in mano ad “elite”, il cui interesse è ad un accentramento decisionale, in senso autoritario, e trasformando la rappresentanza in plebiscito.
Vi è un nesso tra dominio delle “elite” politiche economiche, che frantumano i gruppi sociali -basti pensare alla delegittimazione del sindacato ed alla marginalizzazione dei contratti collettivi di lavoro- da un lato e dall’altro svilimento della democrazia e della politica, di cui il partito è il perno.
Il partito, con la formazione al suo interno di “elite”, arreca a propria volta alla politica ed alla democrazia delle profonde distorsioni ma il dibattito pubblico da un lato e dall’altro la pressione dei gruppi sociali sottostanti avrebbero reso tali aspetti in qualche modo circoscritti.
L’attacco ai partiti ed alla rappresentanza in nome di società civile protagonista può costituire un fenomeno di riforma e di rinnovamento esclusivamente se la società civile coinvolta non è indifferenziata ma consiste in gruppi, altrimenti è mera strumentalizzazione del popolo da parte delle “elite”, e ciò spiega le profonde difficoltà in cui versa il populismo di sinistra, quali i “5Stelle” in Italia.
E così la crisi della democrazia e della politica si traduce nello svuotamento della società da parte del potere economico.
L’individuazione di forme di rappresentanza informatica coglie fuori dal segno, in quanto relativa a profili procedurali secondari.
Il vincolo sociale è quello decisivo: contrapposto a quello di dominio, verticale, vi è il vincolo orizzontale tra i dominati per emanciparsi.
Il vincolo sociale trova espressione nella politica, ma questa non può pretendere di sostituirsi.
Nella teoria marxiana della lotta di classe vi è un’ambiguità di fondo, consistente nell’oscillare tra classe in sé, nella sua oggettività, e classe di per sé, come coscienza sociale, che corre il rischio di essere introdotta d’imperio “ab externo” dalla politica.
La disintegrazione della classe è non annullamento ma dispersione, in quanto essa esiste ancora, ma non ha compattezza e consistenza oggettiva, essendo frantumata in mille rivoli incapaci di convergenza oggettiva.
La ricomposizione passa per la ricreazione del’antagonismo sociale su basi diverse da quelle partecipative e di mobilizzazione di gruppi sociali –lavoro e risparmio come mostrato in precedenti occasioni-.
Il gruppo sociale può essere compattato in senso non necessariamente materiale e comunque non necessariamente a partire dalla materialità, ma andando a scomporlo prima per effettuare in un secondo tempo la ricomposizione. Occorre insinuarsi nelle contraddizioni del capitale -penetrando nel suo profondo- per far emergere la loro insanabilità e la conseguente necessità che gruppi sociali antagonistici, da ricomporre per l’appunto far emergere, introducano elementi incompatibili in funzione di equilibri alternativi.
La domanda è chi possa assolvere a tale ruolo, alla luce da un lato dell’inidoneità dei gruppi sociali “in fieri” a ricomporsi, e dall’altro della necessità a monte della scomposizione di quelli in essere.
Ebbene, la scomposizione da chi può essere effettuata se non dalla politica, che però, per le ragioni appena, viste non è strutturata attualmente?
Ed è qui che occorre imprimere una frattura anche alla politica, per porla in condizione di realizzare lo scatto decisivo.
E’la natura endemica e insanabile della crisi, che può essere risolta solo temporaneamente, e con traslazione di costi abnormi sui settori meno indicati, in un’ottica distruttiva senza fine, che richiede ed anzi suggerisce articolazioni sociali profondamente innovative: in via emblematica, basti a proposte di interventi su crisi industriali e bancarie condizionarti alla predisposizione di piani di ripresa, in cui il vincolo degli intermediari di finanziari di investimento di operare solo nell’interesse dei risparmiatori, con espunzione di qualsivoglia altro interesse con questo incompatibile, sia reso effettivo, e non solo sulla carta come invece attualmente.
Sarebbe il primo passo per liberare i risparmiatori dal giogo del capitale finanziario, fissando le basi per un’alleanza organica con i lavoratoti, e così per finalizzare la finanza alla promozione dell’economia reale, pur da essa diretta.
Le riforme costituzionali ed istituzionali sono necessarie, ma la politica deve fornire da sola ed in autonomia un segnale forte, perché scossoni sociali siano incentivati dall’aspettativa di una sponda politica su cui contare.
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