LA BRUTTA NOTTE IN CUI CADDERO LE STELLE E LA SINISTRA ITALIANA SCIVOLÒ NEL BUIO – di Rino Formica, da il Riformista del 13 dicembre 2006
03 gennaio 2007
Socialismo. L’amara lezione dei primi anni ’90
L'invito rivolto ai socialisti da Paolo Franchi di parlare ora o di tacere per sempre, penso che finirà per cadere nel vuoto. La questione socialista non può essere la resurrezione del partito dei socialisti dispersi. Ma è intorno alla questione socialista che si sta giocando la partita della sopravvivenza della sinistra di governo. All’inizio degli anni ’90 a sinistra caddero due stelle: quella socialista scivolò a causa della incapacità politica dei socialisti di fare fronte e resistenza ad una aggressione iniqua ed irragionevole; quella comunista, invece, si spense perché risucchiata dal buco nero della disfatta storica del socialismo reale. In quella notte di San Lorenzo la destra poté esprimere un desiderio e fu soddisfatta: diventò la maggioranza del Paese. Da quel momento la sinistra vide lacerarsi nel profondo gli antichi vincoli unitari. Fu così che la destra vittoriosa e la sinistra cieca tolsero la questione socialista dall’ordine del giorno della vita politica italiana. Fu così che i socialisti conobbero la via della mortificazione e videro falsificata la verità storica. Ma fu così anche per i post-comunisti che subirono una più umiliante penitenza: l’ammaina bandiera!
Ancora oggi i post-comunisti per governare devono ricevere una legittimazione dal protettorato dei tecnici, dei mercanti e dei moderati dorotei. In verità, se questi sono gli effetti di una causa recente, vi dovrà pur essere una causa più profonda e più intima perché in Europa l’Italia resta l’unico Paese dove il socialismo non può vincere con i suoi colori. Vi saranno stati certamente errori di visione politica, insufficienza di classi dirigenti e immaturità di popolo, ma il mal sottile che ha indebolito, in forma persistente e radicale, la sinistra italiana va ricercato nel persistente rifiuto del revisionismo ideologico. L’assenza di revisionismo ha fatto perdere, alla sinistra italiana, il contatto tra teoria e pratica, e ha visto dissolversi la distinzione tra miti e realtà. In Italia socialisti e comunisti, per ragioni diverse, aggirarono l’ostacolo del revisionismo ideologico e praticarono un revisionismo politico, riclassificato «svoltismo» occasionale e contingente. Con tale ingannevole formula fu spostato l’asse dello scontro politico dal terreno della conoscenza della società a quello più modesto della gestione pratica del corpo sociale di riferimento. La regola non scritta che rese anomala e provinciale la sinistra italiana fu questa: fedeltà acritica alla ideologia antica e immobile e applicazione disinvolta di una linea politica secondo opportunità e convenienza.
Nel ’900 il vento del revisionismo ideologico ha rinnovato la dottrina e l’azione politica delle grandi social-democrazie europee, mentre in Italia il pensiero della sinistra è rimasto fossilizzato e statico. Questa inadeguatezza culturale non è esplosa sino al giorno della grande crisi dei partiti politici (fine anni ’80). Il controllo della politica su l’economia assistita creava coesione sociale artificiale. La sinistra non raccolse negli anni ’80 l’appello al revisionismo che fu lanciato dai socialisti e questi non ebbero la forza di poter fare da soli. La sinistra è vero che arrivò alla grande crisi degli anni ’90 in ordine sparso e con un forte accumulo di inimicizie antiche e recenti, ma ciò che veramente le mancò fu l’arma della critica alla società globalizzata e la forza creativa per un nuovo compromesso sociale. L’ondata antipolitica è stata forte e impetuosa ed ha ottenuto tre vistosi risultati negativi: 1) si è rovesciato il rapporto politica-economia. La politica passiva viene utilizzata nella lotta tra i potentati; 2) il rapporto carisma-istituzione non è più in equilibrio: il carisma soffoca le istituzioni e sta creando un sistema politico feudale; 3) si è rotta l’armonia nel ricambio generazionale. La generazione che ha governato in questi quindici anni ha rotto con la tradizione e ha frenato il cambiamento.
Ora si annuncia una nuova ondata anti-politica che ha un fine semplice da raggiungere nel breve: lo scioglimento dei partiti in quanto formazioni comunitarie e la loro riduzione a gazebi elettorali. Il revisionista socialdemocratico tedesco Hilferding, studiando l’evoluzione post-bellica del capitalismo, sin dal 1924 aveva ammonito: «I vertici della gerarchia economica si spingono fino a toccare l’organizzazione politica costruita su basi democratiche. Essi cercano di influenzare in maniera decisiva la politica estera, economica e sociale degli Stati, la composizione dei governi e delle amministrazioni, i partiti politici: di tradurre insomma immediatamente il potere economico in potere politico». Questa analisi premonitrice e l’esito della seconda guerra spinsero le socialdemocrazie europee a riconoscere allo Stato non solo il potere di intervenire nella politica sociale ma anche quello più vasto e pervasivo di guidare l’economia. E’ questo l’atto di nascita dello stato sociale fondato su l’incontro tra capitalismo e movimento operaio all’interno dello Stato regolatore. A Bad Godesberg questa esperienza fu racchiusa nella magica formula «tanto mercato quanto possibile, tanto Stato quanto necessario».
Finché ha retto l’assetto istituzionale autosufficiente dello Stato-nazione le sinistre al governo hanno potuto accettare valori che ideologicamente rinnegavano. La crisi dello Stato-nazione ha obbligato tutti a trasformare in plurale ciò che era singolare. Il capitalismo diventava i capitalismi, il socialismo diventava i socialismi. Lo Stato nazione perdeva sovranità in basso (il regionalismo) e in alto (le istituzioni sovranazionali). Il compromesso socialdemocratico non reggeva più perché lo Stato era uno e trino.
Il nuovo revisionismo socialista deve affrontare la difficile ricerca in dottrina di una sua teoria dello Stato che è in declino ed in ascesa nello stesso tempo. Mentre a destra qualcuno (Tremonti) si pone questi problemi e nel centro in tanti guardano al rinnovato messaggio papale, a sinistra si risponde all’italiana: un po’ di estetica facciale e cambio del nome. Le grandi culture politiche vanno in cantina ed ecco pronto, per mantenere un potere debole e frammentato, il Partito democratico senza cultura, senza passione e senza futuro. Del resto il dibattito che si svolge intorno al Partito democratico sia in casa Ds che nella Margherita è povero e sfuggente, anzi è povero perché è sfuggente. Tra i sostenitori del Partito democratico, vi sono i cultori del semplice e gli studiosi del profondo. I primi ritengono che è sufficiente l’obiettivo (governare) per creare la forza (il motore della coalizione): questa è la pletora degli attivisti con scarsi studi. I secondi si dividono in due categorie. Chi ritiene che la sinistra ha perso definitivamente e che si governa al centro diventando ideologicamente «centro»; e chi ritiene che questa sia una verità parziale e che occorre governare al centro in attesa del giorno X. Queste due ultime categorie faranno naufragare il progetto, perché dichiarare che la sinistra è improponibile equivale a dire che il socialismo è morto; e sostenere che bisogna mimetizzarsi nel centro per guidare la riscossa dal luogo del potere è un modo vetusto di praticare l’entrismo. Lo scontro tra post-democristiani e post-comunisti è tutto qui.
Dinanzi ai grandi processi storici la via maestra per guidare le nuove generazioni verso il futuro, è avere il coraggio del revisionismo, che non è un adattamento della teoria alla convenienza della politica, ma è un processo di risistemazione della propria cultura che parte dai mutamenti della realtà per disegnare un futuro umanamente sostenibile. Altra via per il socialismo non c’è. Il semplice principio di governabilità sappiamo che non porta al socialismo ma presto degenera nel governismo, malattia senile di ogni sinistra storica. Il Partito democratico si annuncia come l’università del governismo che avrà per suo rettore un sempre pronto Dottor Sottile. Se così sarà la questione socialista resterà in sonno per una generazione.