LA BATTAGLIA BELLA E IMPOSSIBILE DI SÉGOLÈNE – da il Riformista del 7 maggio 2007

14 maggio 2007

LA BATTAGLIA BELLA E IMPOSSIBILE DI SÉGOLÈNE – da il Riformista del 7 maggio 2007

Dunque niente sorprese, niente colpi di scena, niente magie dell’ultimo minuto. Come era da un pezzo nelle previsioni universali, vince Nicolas Sarkozy, il Sarkozy che in questi anni ha cambiato tra strappi e lacerazioni volto e pelle alla destra francese e si è presentato con successo come il campione del cambiamento possibile, concedendosi senza timore di pagare dazi troppo elevati, lui che un populista non è, tutte le radicalità e le durezze del caso, compresa la legittimazione non di Le Pen, certo, ma di molti umori dell’elettorato lepenista profondo altrettanto certamente sì. E perde Sègoléne Royal, che pure era riuscita a mettere in condizione di non nuocerle gli elefanti del suo partito (che adesso, c’è da scommetterlo, si trasformeranno in avvoltoi) e anche a fare il miracolo di restituire la voglia di combattere a una sinistra estenuata, divisa e prigioniera dei suoi vecchi fantasmi. Sègo ha fatto, crediamo, tutto quello che ha potuto, e anche qualcosa di più, mettendo in campo, lei, donna, una personalità più forte e appassionata, e comunque assai meno incline alla manovra politicante, di tanti maschietti: con ogni probabilità nessun altro candidato socialista avrebbe preso i suoi voti, né al primo né al secondo turno. Ma non ce l’ha fatta, e non poteva farcela, a convincere la maggioranza dei francesi che il rinnovamento della gauche da lei incarnato o almeno simboleggiato fosse già adesso qualcosa di più significativo di un rinnovamento di immagine, la promessa e la speranza concreta di una svolta modernizzatrice, per il socialismo francese e per una Francia che ha smarrito tante delle sue orgogliose certezze, più credibile della modernizzazione à la Sarko.
Di sicuro non l’ha aiutata la tendenza alla demonizzazione dell’avversario, quel «tutti ma non Sarkozy» che ha circolato ampiamente nelle manifestazioni pubbliche, sui giornali, in rete, negli ultimi giorni della campagna elettorale, di sicuro le ha fatto del male l’evocazione, poi solo in parte ritrattata, delle banlieue in fiamme in caso di vittoria del candidato della destra. Verrebbe da dire che gli strateghi della sua sfortunata corsa all’Eliseo le avrebbero risparmiato errori simili, se solo avessero guardato con un po’ di spocchia in meno all’America, dove la parola d’ordine «anyone but Bush» certo non ha aiutato Kerry, o all’Italia, dove l’antiberlusconismo puro e duro è valso pressoché solo a fare le fortune del Cavaliere. Ma c’è, ovviamente, qualcosa di più profondo e di più serio, il male oscuro di una sinistra (e davvero non parliamo solo del Ps francese) che quanto meno coglie le trasformazioni, le ambizioni e le paure della società che gonfiano le vele dell’avversario tanto più si intestardisce nelle sue parole di sempre. Sègo ci è caduta solo in parte. In generale ha giocato la sua partita declinando le parole in questione nel modo più appassionato e convincente possibile, e aggiungendone di nuove e non facili, dalla sicurezza all’Europa. Non solo: ha cercato, forse tardi, ma ha cercato, di gettare un ponte verso quei francesi (milioni) che nella gauche non si riconoscono, ma in Sarko si riconoscono anche meno. Un risultato, importantissimo, lo ha ottenuto, visto che quasi la metà degli elettori (anche se non la metà più uno, che è quella che conta) ha votato per lei. È una sconfitta, certo, ma è anche un miracolo: cinque anni fa, non un secolo fa, Jospin non era nemmeno arrivato al ballottaggio. Dovessimo dare un consiglio non richiesto ai socialisti francesi, diremmo: rinfoderate subito le armi della lotta intestina, risparmiateci il gioco al massacro, ripartite con lei, ripartite da lei, dalle speranze che ha rianimato, dalle forze che ha messo in movimento.

Vai all'Archivio