L’ORA DELLA VERITA’ di Alberto Benzoni del 10 febbraio 2021
10 febbraio 2021
L’ORA DELLA VERITA’
Quello che ha portato alla nascita del governo Draghi non è stato un complotto. Ma un disegno politico.
A provarlo il lungo, chiaro e articolato documento con il quale Mattarella ha motivato la decisione di conferire l’incarico. Documento non certo preparato lì per lì ma nel corso stesso delle consultazioni.
Per il resto, si ha un complotto quando la vittima non ne è a conoscenza fino al punto di non nutrire alcun sospetto al riguardo. Mentre, nel nostro caso, Conte sin dall’inizio e Grillo poco tempo dopo, sono stati informati, in un colloquio a due e con una lunghissima telefonata, della natura dell’operazione e soprattutto dei suoi obbiettivi. E non certo per correttezza formale; ma per avere il loro consenso, condizione necessaria, anche se non sufficiente, per l’avvio dell’operazione Draghi.
Ciò posto, di quale disegno si tratta? Quali le conseguenze sul sistema politico e sulle forze che lo compongono?
Su questi aspetti occorre sottolineare che le risposte di quel “popolo italiano”, cui partiti, opinionisti e media si richiamano ritualmente, sono molte più sensate e realistiche delle loro. Come testimoniato da due sondaggi Swg, l’uno del dicembre 2019, l’altro realizzato nelle ultimissime settimane: nel primo caso la formula dell’unità nazionale è condivisa da appena il 14% dei sondati; mentre, appena un anno dopo, quasi i due terzi tra loro daranno un giudizio positivo sulla scelta di Draghi. A dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che agli italiani interessano poco le alchimie politiche che hanno portato alla nascita del governo e moltissimo, invece, la sua capacità di svolgere il compito che gli è stato assegnato.
Siamo di fronte, qui, a un disegno perfettamente comprensibile nei suoi principi ispiratori e nei suoi limiti; ma a condizione di affrontarlo liberi da pregiudiziali ideologiche e soprattutto dai cascami del pensiero unico e della vulgata politica della seconda repubblica.
Così facendo, ci accorgeremmo subito che il governo Draghi non corrisponde affatto né ai sogni di destra né agli incubi di sinistra.
Non è il trionfo del pensiero unico. Leggi il definitivo assoggettamento del nostro paese ai dettami e alle discipline dell’Europa di Maastricht. In primo luogo perché il pensiero come i dettami sono stati travolti dalla crisi economica e dalla pandemia; e (quasi) tutti sostengono che sono superati, senza peraltro precisare quali dovrebbero essere i nuovi.
Non è il governo Monti. Costruito, quello sì, sotto dettatura, per sottoporre il nostro paese a nuovi e assai più rigorosi dettami e a cure “lacrime e sangue”, con il consenso passivo della classe politica, pagato con il suo disastro elettorale del 2013.
Draghi stesso non è Monti. Il primo Mario usciva dalla Bocconi, senza che nessuna esperienza politica ne avesse temperato il dogmatismo. Mario secondo fa politica da oltre dieci anni e ne ha imparato tutti i trucchi; compresa la capacità di cambiare parere, quando necessario.
Mario secondo è un banchiere. Ma è solo nel pieno fiorire dello stalinismo che si è pensato che la sorte di un individuo dipendesse dalla sua classe sociale o dal mestiere che esercitava, fino a trarne le più estreme conseguenze.
Mario secondo è un banchiere. Ma questo gli ha consentito e gli consentirà di misurarsi ad armi pari con un ambiente di cui conosce a menadito mentalità e trucchi. Questo, per l’Italia, è un vantaggio. A meno di pensare che il motto dei nostri governanti sia “lui me ne ha date ma io gliele ho dette”.
Mario secondo non è De Gaulle. Non è entrato in campo per ricostruire un sistema a sua immagine e somiglianza. Non è questo il mandato ricevuto. Ma è piuttosto quello di gestire, al meglio e in uno spazio temporale limitato, l’uso del recovery fund e la gestione della pandemia. Due obbiettivi che, nelle circostanze date (un governo barcollante e diviso, un’opposizione cieca e distruttiva) apparivano difficilmente raggiungibili. Il suo orizzonte sarà, per altro, non quello della riduzione della spesa o del ruolo dello stato; ma l’esatto contrario.
Il suo non è affatto quel governo tecnico anzi di tecnici sognato dal qualunquismo generale, alimentato dalla seconda repubblica, a partire dall’idea che la “società civile” - e, per la proprietà transitiva, ognuno dei suoi esponenti - fosse migliore (leggi più competente) di un esponente della classe politica. Un pensiero ammissibile da un frequentatore del Bar sport; ma politicamente eversivo quando proviene dagli opinionisti di turno. Perché significa negare le ragioni stesse della politica. Sarà invece un governo politico; perché frutto di un accordo politico; e anche, appunto, di un disegno politico condiviso.
E qui veniamo al punto centrale del progetto. Che riguarda il sistema politico. Ma che non ha nulla a che fare né con l’omicidio o magari con il suicidio assistito. Ma con la messa in coma farmacologico. Così da consentirgli di riprendersi con le proprie forze.
Mattarella, come il suo predecessore, si trova di fronte al totale “disfunzionamento” del sistema bipolare. Un toccasana virtuoso secondo i padri fondatori della seconda repubblica. Un disastro alla “prova finestra”.
Ma, a differenza del suo predecessore, non se ne sta con la bacchetta in mano a redarguire questo o quello o a dirgli come si deve comportare. Ma da politico, vivaddio, siciliano, lo aiuta senza parere a ritrovare la via giusta.
Ci riuscirà? Non è detto. Ma vediamo. Cominciamo col sottolineare che condizione per il successo della cura è che tutti i malati siano messi nella stessa condizione di partenza Primo, con un governo politico ma senza maggioranze precostruite o etichettature di parte; ma che non a caso, lascia fuori chi non ha bisogno di cure, perché la sua politica corrisponde esattamente alla sua vocazione.
Così Salvini potrà tornare alle sue origini; un partito a difesa degli interessi del nord. Così i 5 stelle potranno trasformarsi da movimento anormale sia nei suoi sogni che nelle sue pratiche in un partito normale (ivi compresa la normalità del dissenso; e la libertà di frequentazione).
Così potrà scomparire dall’orizzonte la divisione, del tutto fasulla, tra sovranisti e europeisti, sostituita da quella tra nazionalisti e internazionalisti.
Così, infine, il Pd potrà capire finalmente che essere alternativi non significa essere più buoni, più sensibili, più responsabili ma semplicemente difendere gli interessi e i valori su cui si è costruita, nel tempo, la sinistra.
Abbiamo scritto “potrà”. Come punto d’equilibrio tra “dovrà” e “potrebbe”. Nel caso del Pd, il condizionale è d’obbligo…