L’INTERVISTA JEROEN DIJSSELBLOEM (ex presidente dell’Eurogruppo) Rigore e riforme economiche per il rilancio dell'Eurozona di Lino Terlizzi

03 giugno 2018

L’INTERVISTA JEROEN DIJSSELBLOEM (ex presidente dell’Eurogruppo) Rigore e riforme economiche per il rilancio dell'Eurozona di Lino Terlizzi

Jeroen Dijsselbloem, olandese, socialdemocratico, è stato ministro delle Finanze e presidente dell’Eurogruppo (di cui fanno parte i ministri economici dell’area euro) sino alla fine del 2017. Dijsselbloem sostiene le posizioni dello schieramento che viene definito di moderna socialdemocrazia europea, che difende lo Stato sociale ma punta a renderlo sostenibile, applicando anche dosi di rigore nei conti pubblici. Lo abbiamo intervistato a margine del Private Banking Day di Lugano, nel quale è stato relatore.

Come valuta la situazione economica e politica italiana?

«L’economia italiana ha registrato una dinamica migliore negli ultimi tempi, ma restano alcune difficoltà nel realizzare le importanti e necessarie riforme economiche. Penso ad esempio alla tassazione del lavoro, che rimane in proporzione abbastanza elevata in Italia. Come mostra l’esperienza di altri Paesi dell’Eurozona, una tassazione del lavoro più bassa favorisce l’equità e la lotta contro la disoccupazione. All’interno di una riforma fiscale più complessiva, bisogna considerare il capitolo lavoro. Ora naturalmente bisognerà vedere cosa accadrà sul lato del nuovo Governo. A mio parere nello scenario meno negativo ci sarà una perdita di altro tempo e nello scenario più negativo ci sarà invece un deterioramento di una situazione economica che stava migliorando».

Lei è un sostenitore del rigore nei conti pubblici. Su questo versante, a che punto è l’Eurozona?

«Accanto all’azione per le riforme economiche, tra le quali ci sono quelle che riguardano i mercati del lavoro ed i sistemi pensionistici, occorre sempre l’azione per tenere i conti pubblici in ordine e in particolare per ridurre i debiti pubblici eccessivi. Ci sono stati alcuni miglioramenti in questo campo, ma in una parte dei Paesi dell’area euro – e tra questi l’Italia – c’è ancora da fare. Come socialdemocratico sono fortemente per il Welfare State, ma questo deve poter funzionare bene ed essere sostenibile nel tempo. La riduzione dei debiti pubblici elevati e il rientro dai deficit pubblici servono anche a questo».

I partiti socialdemocratici attualmente attraversano una fase negativa. Lei quali prospettive vede per la socialdemocrazia europea?

«I socialdemocratici si sono identificati con il Welfare e nel corso dei decenni sono riusciti ad ottenere molto. Da un certo punto si vista, siamo arrivati in cima alla collina. Lo Stato sociale ora va modernizzato e reso appunto sostenibile. Molti elettori non si aspettavano questa nuova fase e dunque hanno penalizzato i socialdemocratici. Ma io credo che una socialdemocrazia moderna abbia ancora un grande potenziale. È un periodo di transizione, penso che parecchi elettori saranno delusi dai populisti che promettono impossibili vantaggi. Nel Regno Unito per la Brexit sono stati promessi solo vantaggi e guardi cosa sta accadendo ora. Penso che più avanti anche in Italia molti elettori si renderanno conto del fatto che le promesse populiste non possono trovar riscontro nella realtà. D’altronde, anche dopo la caduta del Muro di Berlino molti dicevano che la socialdemocrazia sarebbe finita. Si è visto poi come sono andate le cose».

 

MINI GLOSSARIO

AUSTERITÀ Il termine (dall’inglese austerity) si è diffuso negli anni ’70, all’epoca della crisi petrolifera; in quegli anni si riferiva alle politiche di limitazione dei consumi, in particolare appunto nel settore energetico. In anni più recenti il termine è riemerso, riferito però alle politiche di riduzione del deficit pubblico (saldo negativo tra entrate e uscite di uno Stato) e del debito pubblico.

RIGORE Viene spesso identificato con l’austerità, ma rappresenta una linea più complessiva. L’austerità in genere è fatta di misure concepite come non ordinarie, è legata a fasi economiche particolari. Il rigore è di lungo periodo, è una costante, pur con naturali variazioni nei differenti cicli economici. Applicato ai conti pubblici, ha l’obiettivo di limitare il debito (freno all’indebitamento) e di ridurre al minimo o di azzerare il deficit. Secondo i sostenitori, il rigore non si oppone alla crescita economica, anzi la rafforza. Uno degli strumenti principali del rigore è la riduzione della spesa pubblica improduttiva.

DEFICIT SPENDING Il termine inglese indica una linea di spese pubbliche in disavanzo, cioè senza entrate pubbliche correnti a copertura. Nata soprattutto come linea temporanea, per attuare nuove spese pubbliche allo scopo di contrastare le fasi economiche negative e favorire la crescita, è diventata in molti Paesi permanente o quasi. Il deficit spending porta in genere all’emissione di nuovi titoli del debito pubblico e/o all’ampliamento della base monetaria, sempre per coprire le spese aggiuntive. Nel mondo deficit spending e austerità-rigore continuano a scontrarsi.

 

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