L’INTERVENTO DEL FONDO INTERBANCARIO DI TUTELA DEI DEPOSITI NON E’AIUTO DI STATO: ED ALLORA, “QUID NOCTIS”? di Francesco Bochicchio

08 aprile 2019

L’INTERVENTO DEL FONDO INTERBANCARIO DI TUTELA DEI DEPOSITI NON E’AIUTO DI STATO: ED ALLORA, “QUID NOCTIS”? di Francesco Bochicchio

Una recentissima sentenza comunitaria ha stabilito che i limiti posti dalle Autorità europee al salvataggio della Cassa di Risparmio di Teramo, realizzato qualche anno fa dalla Banca Popolare di Bari con l’intervento del Fondo Interbancario dei Depositi, sono inammissibili in quanto tale intervento è di un soggetto privato non può essere qualificato come aiuto pubblico.
L’intervento del Fondo fu precluso dall’Europa per le 4 banche nel 2015, le quali oggi sarebbero state salvate in modo più indolore, senza problemi per gli obbligazionisti subordini e senza quei danni all’immagine della credibilità del sistema bancario che si sono rivelati abnormi ed anzi esiziali. La sentenza è fondamentale e positiva ed addirittura doverosa.
Il Fondo interbancario è un ente privato tra banche, con la Banca d’Italia che approva lo statuto ed esplica i controlli di regolarità, propri della tutela del risparmio e dell’ottimale andamento del settore.
Considerare tali controlli quali indici rilevatori di una forma pubblica è un evidente e marchiano errore, in quanto il controllo non significa in alcun modo forma di sostituzione della decisione d’impresa. Peraltro, l’analisi qui si avvia soltanto e non termini affatto. 
Ed infatti, è anche parimenti da tener conto che il coordinamento delle iniziative dell’intero mondo bancario in una delle fasi più delicate del settore non attiene solo al controllo, ma rappresenta anche una forma di direzione del settore, la quale non ha ricevuto un inquadramento univoco a livello istituzionale (ciò al fine di impedire il suo inserimento, armonico, ed anche indefettibile, nella programmazione economica, ma su ciò si rimanda ad “infra”).
L’intervento del Fondo, lecito ed anzi doveroso, diventa così, in attesa di questo inquadramento, un intervento spurio, lodevole ed anzi necessario, ma privo di natura decisiva: il coordinamento di Banca d’Italia si rivela così un elemento -sistematico, manca la considerazione del sistema.
Il vero nodo è quello di opporsi, in via generale ed espressa, a prescindere dalle varie forme, al divieto di salvataggio totale, anche pubblico, delle banche e dei risparmiatori, che attiene al piano della tutela del risparmio (art. 47), che è assoluta ed incondizionata (almeno per i risparmiatori non azionisti per i quali il discorso non è peraltro escluso, ma si rivela solo terribilmente complicato).
La normativa europea “bail-in” era ed è incostituzionale, perché vieta ai singoli Stati (quelli deboli, mentre quelli forti riescono a sottrarsi ai rigori della normativa, come dimostrato dalle esperienze della Germania, soprattutto, ma anche della Francia) di effettuare salvataggi che risultano essenziali per il pubblico risparmio.
Una cosa è l’armonizzazione comunitaria, anzi l’integrazione in una più alta e superiore Comunità e sovranazionale, ed altra è l’oppressione degli Stati forti su quelli deboli al fine di mettere in ginocchio il settore bancario di questi ultimi a favore di quello dei Paesi forti; il settore bancario è la chiave portante di ogni Paese, e così non solo si rende irreversibile la crisi dei Paesi deboli, ma li si consegna, rendendoli forzatamente docili, nelle mani di quelli forti. L’Europa, non esiste, checché ne dicano i moderati liberali europeisti, se non come Impero tedesco con appendice francese.
I salvataggi sono essenziali ed ogni limitazione quale quella “bail-in” è inammissibile.
Ma la tutela del risparmio non si può risolvere nei salvataggi, che costituiscono solo un presupposto, essenziale e tale da costituire il suo fondamento, ma solo come primo momento.
Necessaria è la direzione del settore da parte di Banca d’Italia, che tutti, all’interno del settore, vogliono: e non a caso i primi commenti della sentenza da cui sono partite le presente note sono nel senso di apprezzarla entusiasticamente, fissando nel contempo il punto che il ricorso al Fondo non è illimitato ed automatico, dovendo rivelarsi, piuttosto, ed anzi all’esatto contrario, del tutto discrezionale.
In definitiva, si vogliono effettuare solo quei salvataggi funzionali al miglior funzionamento del sistema inteso quale riconducibile agli interessi dei gruppi più forti del capitale finanziario italiano. Ed infatti, la scarsezza di mezzi finanziari, sia pubblici, sia privati, del settore finanziario italiano richiedono l’abbandono dell’automatismo dei salvataggi, senza rinunziare peraltro alla facoltà di scelta.
E non si cade nella fantapolitica e nel “complottismo” se si pensa ad un “pactum  sceleris” a metà tra Italia ed Europa, vale a dire solo a metà scellerato, ma si tratta di metà espansiva: si tratta di patto per cui l’Italia rinunzia ad opporsi al “bail-in” e l’’Europa fa marcia indietro sul Fondo, in modo da concederci discrezionalità  di salvataggio, discrezionalità da usare ovviamente con parsimonia.
Si tratta ovviamente di un grosso passo in avanti, ma tale da non consentirci di arrivare ad una vera tutela del risparmio.
La direzione del settore da parte di Banca d’Italia è necessaria ma deve uscire dall’ottica di autoreferenzialità del settore finanziario, per porsi in un ambito da un lato di repressione degli abusi, ormai generalizzati ed in massima espansione, e dall’altro di una direzione dalla natura sociale e globale, come una vera e propria programmazione imperativa.
Programmazione e tutela del risparmio non sono non sono affatto tra di loro incompatibili, al contrario esatto di quel che ci ha insegnato l’opinione dominante, guidata dal pensiero gigantesco di Guido Carli, efficace anche oltre venticinque anni dopo la sua scomparsa, ma sono, all’esatto contrario, addirittura legati da un nesso indissolubile e biunivoco, in quanto da un lato una programmazione che obliteri la tutela del risparmio è velleitaria o oppressiva, mentre dall’altro la tutela del risparmio non può essere realizzata in un’economia in cui il ruolo decisivo è in mano alle imprese private. 
Patuelli, Presidente dell’ABI, ha evidenziato, con giusta indignazione, che vi sono i presupposti per i risarcimenti. Frase ineccepibile, in quanto i presupposti vi sono tutti, ma velleitaria o forse, all’esatto contrario, (fortemente) sospetta.
Ed infatti, è velleitaria in quanto i danni risarcibili sono solo una parte infinitesimale di quelli reali, visto che il sistema bancario italiano per essere rimesso in piedi, dopo la tragedia del 2015, provocataci dall’Europa, il che sarebbe stato evitato se ci fosse stato consentito il ricorso al Fondo, richiederebbe sforzi ciclopici (a meno che non ci sia il sostegno della Cina).
Ed è, invece, sospetta se il risarcimento cui pensa Patuelli è quello funzionale agli interessi del capitale finanziario italiano, che accetta la distruzione del sistema bancario nazionale e alza solo posta dei vantaggi compensativi, ad esclusivo vantaggio di sé, inteso come capitale finanziario e non come settore finanziario.

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