L’IMPRENDITORE È UNA COMPONENTE FONDAMENTALE DEL MONDO DEL LAVORO E IL SUO RUOLO NON VA CONFUSO COL CONCETTO DI CAPITALE di Renato Costanzo Gatti da QDC del 14 marzo 2022
14 marzo 2022
Il
14 marzo 1883, all’età di 65 anni, si spense nella sua casa di Londra Karl
Marx. Nel 139° anniversario della morte pubblichiamo una riflessione
dell’economista Renato Costanzo Gatti sull’attualità del pensiero del genio di
Treviri
di
Renato Costanzo Gatti
Nel
suo interessantissimo lavoro “L’attualità di Karl Marx a 200 anni dalla
nascita. Lavoro, valore, sfruttamento” (Fondazione Stensen, Firenze,
13 ottobre 2018) Leonello Tronti, economista dell’Università degli Studi Roma
Tre, contesta il concetto di sfruttamento basato sul fondamento valore-lavoro
che Marx ha ripreso con “un’interpretazione un po’ sbrigativa dal pensiero di
Adam Smith” ritrovandolo tuttavia nella “strutturale asimmetria dei poteri
contrattuali” tra impresa e lavoratori, fenomeno esaltato, nei tempi attuali,
da “un’altrettanto profonda asimmetria, di carattere informativo, che regola
alcune forme di lavoro e di produzione di valore trasformandole in
sfruttamento. Si tratta del lavoro in piattaforma, della gig economy
organizzata in reti, della raccolta a titolo gratuito, attraverso il web, di
informazioni personali dotate di valore economico e altro ancora – attività che
sono consentite dal muro di conoscenza cristallizzato nelle piattaforme, negli
algoritmi e nel web, che separa in modo insuperabile chi governa i sistemi e
chi ne è governato”.
Mi
sorprende, innanzitutto, che l’autore, nel contestare la validità del
valore-lavoro non faccia accenno a Piero Sraffa che, nel suo testo “Produzione
di merci a mezzo di merci”, ha smontato quell’eguaglianza così come ha demolito
la contrapposta tesi marginalistica. Ma non è questo il punto che voglio
approfondire.
Nel
suo testo Tronti fa, a mio parere, un errore di impostazione quando contrappone
l’imprenditore, quale acquirente di lavoro, al lavoratore, quale venditore di
quella merce. Ritengo infatti che la contrapposizione non sia tra quelle due
figure, dal momento che l’imprenditore è una componente fondamentale del mondo
del lavoro, un lavoro che, come scrive Marx, è “dispendio di cervello, muscoli,
nervi, mani etc.”. Come Marx dà un differente peso al lavoro più o meno
specializzato, così l’imprenditore è, e come tale va considerato, una
componente molto qualificata del mondo del lavoro, una componente
indispensabile e determinante, e quindi non necessariamente in conflitto con
gli altri componenti, meno qualificati, del mondo cui entrambi appartengono:
quello del lavoro.
La
contrapposizione è tra capitale e lavoro, contrapposizione in cui spesso, anche
per ragioni storiche ed in particolare nel nostro paese, l’imprenditore viene
confuso erroneamente con il capitale ma ne è, concettualmente, assolutamente
distinto, nel senso che il contributo dell’imprenditore è un contributo di
lavoro “vivo”, mentre il contributo del capitale è un contributo di lavoro
“morto”, così come non è contributo di lavoro quello generato dalla rendita.
Certo
l’imprenditore opera spesso con una filosofia consona a quella del capitale e
quindi in conflitto con quella del lavoro, e ciò per una subalternità
all’egemonia del capitale, ma in momenti critici può entrare in conflitto col
capitale specie nel caso in cui si spostino fondi o si privilegino investimenti
al di fuori dell’impresa. È il caso in cui il capitale dirotta i suoi fondi su
altre imprese o, soprattutto, su investimenti finanziari, come sempre più
spesso accade nella fase finanziaria del capitalismo. Il capitale infatti va
alla ricerca del massimo profitto qualunque ne sia la fonte, mentre
l’imprenditore cerca la miglior combinazione dei fattori della produzione e si
aspetterebbe fondi per innovare il modo di produzione.
Marx
inoltre, nel suo libro “Critica del programma di Gotha” (il programma di Gotha
è un documento del 1875, alle origini della socialdemocrazia tedesca), contesta
l’uso acritico, fatto da ambienti socialdemocratici, di espressioni come il
diritto dei lavoratori a ripartirsi i prodotti del lavoro, e insiste sulle
detrazioni che debbono essere effettuate, in particolare quella destinata alla
“estensione della produzione”, esprimendo quindi il concetto per cui “lo
sfruttamento” non risieda tanto nell’appropriazione di fondi da parte del
capitale, quanto nell’appropriazione da parte di questo del potere
discrezionale su come disporre del plusvalore generato nel processo produttivo.
L’obiezione di Marx non era tanto sui livelli salariali, caratterizzanti il
momento economico-corporativo, quanto sulla rivendicazione del potere di
controllo del sovrappiù. I lavoratori rivendicano il poter decidere quanto del
sovrappiù debba andare al consumo e quanto all’accumulazione, ai progetti di
utilità comune, alla ricerca per l’innovazione. Come scrive Leszek Kolakowski
in proposito, a conclusione di una discussione basata anch’essa sulla Critica
al programma di Gotha: “Exploitation, in fact, does not signify either that the
worker receives less than the equivalent of his product, or that incomes in
general are unequal or even that the bourgeoisie pay for their luxuries out of
unearned income. Exploitation consists in the fact that society has no
control over the use made of surplus product, and that its
distribution is in the hands of those who have an exclusive power of decision
as to the use of the means of production.” (“Sfruttamento,
infatti, non significa né che il lavoratore riceva meno dell’equivalente del
suo prodotto, né che i redditi in genere siano disuguali e neppure che la
borghesia paghi i propri lussi con un reddito da lavoro. Lo sfruttamento
consiste nel fatto che la società non ha alcun controllo sull’uso che si fa del
plusprodotto, e che la sua distribuzione è nelle mani di coloro che hanno un
potere esclusivo di decisione sull’uso dei mezzi di produzione”.)
Ritorna
quindi la categoria di “strutturale asimmetria dei poteri contrattuali” citata
da Tronti, muta però l’oggetto del contendere che non consiste solo nelle
condizioni di lavoro, ma diventa un tema di egemonia nelle scelte economiche
nella fase pre-distributiva: quelle del capitale ispirate alla massimizzazione
del profitto opposte a quelle del mondo del lavoro ispirate a scelte razionali
e scientifiche finalizzate al benessere della comunità.