L’EUROPA E’ SOLO UN EQUIVOCO di Francesco Bochicchio

06 settembre 2019

L’EUROPA E’ SOLO UN EQUIVOCO di Francesco Bochicchio

L’Europa è un fantasma: ammesso che sia mai stata una realtà, in ogni caso è ora in via di dissoluzione, anzi si è già dissolta (l’Accordo di Aquisgrana –ma proprio ad Aquisgrana dovevano fare l’accordo?- ha formalizzato la sua fine a qualsivoglia livello). Ma, a ben vedere, non è mai stata realtà, se non fittizia, quale mera copertura ideologica.

Essa si è basata su tre equivoci.

In primo luogo, la nascita dell’Europa è stata ascritta al trionfo della pace, per rimuovere i conflitti nazionali che la hanno infestata nella prima metà del Novecento e così a monte per superare le divisioni nazionali.

In secondo luogo, l’Europa è stata considerata quale modello d’Occidente alternativo all’America in quanto non bellicista, e non basato sulla forza, ma frutto di pura, piena e completa, civiltà, in grado di superare la forza o comunque di attutirla.

In terzo luogo, l’Europa è stata vista come modello di capitalismo sociale e solidale alternativo al puro liberismo.

In Italia, in sintesi dei tre argomenti, si è vista nella nascita dell’Europa di Maastricht la realizzazione del sogno del Manifesto di Ventotene di Spinelli e di altri durante il confino in pieno fascismo, vale adire della realizzazione degli Stati Uniti d’Europa.

Sul primo punto, la pace (con a monte la definitiva concordia) in Europa si realizzava mentre si manteneva in pieno l’alleanza, da posizione assolutamente subordinata, con l’America, che non ha mai esitato a ricorrere alle dittature fasciste nel Sud-America (ed anche in Grecia), che ha avallato la lesione permanente dei diritti sacrosanti del popolo palestinese ed infine che ha irresponsabilmente trasformato il Medio-Oriente in una polveriera.

La tesi dei due modelli di Occidente, di cui al secondo punto, non solo non regge come si vedrà discettando dello stesso secondo punto, ma trascura che l’Europa è nata, non in alternativa, ma in piena aderenza al modello americano,  in quanto si è realizzata in piena violazione e lesione della sovranità interna (il che non era in ogni caso conforme all’art. 11 della Costituzione italiana, che ammette sacrifici della sovranità interna solo per ragioni di giustizia e di pace, assenti nel nostro caso) in modo non uniforme, ma solo a carico dei Paesi deboli, senza incidere, nemmeno  parzialmente, su quelli forti.

L’Europa non è mai stata una forma di integrazione sovra-nazionale, ma è una forma di imperialismo dolce (tedesco, con appendice francese).

Sul secondo punto, l’attaccamento a principi di civiltà è venuto ora meno con la crisi, con l’Europa che non è riuscita ad opporsi alle linee di politica estere peggiori ed aberranti di Trump, in materia di adesione alla terrificante condotta di Israele Sul popolo Palestinese, e di sostegno al tentativo di colpo di Stato in Venezuela. Ma anche prima, i “distinguo” dell’Europa rispetto all’America in Medio-Oriente e rispetto alle dittature fasciste in Sud-America non hanno prodotto risultati di alcun tipo, senza del resto mettere in discussione l’Alleanza con l’America, e pertanto la linea europea è stata più che altro una nobile presa di posizioni a livello teorico ma senza effettività.

Sul terzo punto, l‘Europa, sin prima di diventare Unione e quindi forma di integrazione sovra-nazionale, vale a dire quando era semplice Comunità, si caratterizzava in senso decisamente liberista, con una disciplina rigorosa di tutela della concorrenza, che precludeva l’utilizzo delle imprese pubbliche per obiettivi di politica economica: in pratica, le imprese pubbliche potevano sussistere a condizione che si comportassero come imprese private e così del loro snaturamento.

Man mano, la disciplina della concorrenza è stata ritenuta applicabile nei confronti di qualsivoglia elemento discorsivo, anche esterno, ed anche sul mercato del lavoro, pertanto nei confronti dei limiti ai licenziamenti. Se non si è arrivati a precludere ai singoli Stati di adottare tali misure, si è peraltro creato un clima di loro demonizzazione, in modo da arrivare di fatto a tale risultato.

L’Europa, anche prima di Maastricht, non è mai stata sociale, essendo improntata ai canoni dell’ultra-liberismo.

Gli elementi sociali sussistenti a livello europeo, in termini di istruzione per esempio, sono così pallidi che anche il richiamo all’assolutamente insufficiente economia sociale di mercato è del tutto decettivo. Detti elementi e profili sociali, anche quando sussistenti e tali da sembrare suscettibili di dotarsi di una certa corposità, erano mostrati solo per non creare malcontento e perché i rapporti di forza, pur palesi, non erano privi di una certa dialettica, visto il pericolo rappresentato dal socialismo reale. 

Il richiamo effettuato, ai tempi dell’adesione a Maastricht, anche da parte di icone della sinistra istituzionale, come Ciampi, al Manifesto di Ventotene (per venire al profilo di sintesi), che si caratterizzava in terni fortemente ed effettivamente sociali ed addirittura con inconfondibili venature socialiste, è frutto di pura mistificazione.

In definitiva, il modello europeo alternativo rispetto americano è del tutto insussistente sotto tutti i punti di vista, economico-sociale, di approccio alla guerra ed in genere di civiltà. Quando era in vigore e nel pieno dell’efficacia il comunismo sovietico, con la sua temibile minaccia, sono state fatte concessioni anche significative all’Europa, parte del capitalismo contigua rispetto alle aree comuniste. Ma erano concessioni che pur nella loro significatività non intaccavano il modello occidentale complessivo, sulla falsariga di quello americano.

Il rifiuto della guerra, e la civiltà e la socialità europee erano nient’altro che manifestazioni di pura sovrastruttura e di ideologia, intesa in senso marxiano come falsa coscienza.

Con la crisi da un lato e dall’altro con la caduta del modello sovietico la sovrastruttura ha un costo eccessivo e non più necessario.

L’equivoco dell’Europa, in senso unitario e nella specificità dei singoli equivoci, è venuto irrimediabilmente meno.

Ma la Storia si sottrae al suoi protagonisti (in ottemperanza  al materialismo storico, basti ricordare la celeberrima frase de  “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”, che pressappoco recita: “Gli uomini fanno la Storia, ma entro determinate condizioni”).

Proprio adesso che l’Europa si é dissolta ed il suo modello si è sciolto come neve, “rectius”, come “nevischio” al sole, proprio adesso detto modello può risorgere.

Il modello economico americano si é dimostrato rovinoso, con il capitale finanziario che lede la stabilità e la solidità degli Stati deboli, in modo che per forza di cose ripristina la legittimità originaria del  modello europeo, liberato però dei profondi limiti e delle altrettanto profone tare ed incrostazioni.

L’Occidente  può trovare finalmente il secondo modello, alternativo all’America, con  socialità, ma anche in rinunzia alla guerra, e con scelta della civiltà in contrapposizione alla forza, elementi questi ultimi due altrettanto necessari della socialità al fine di tutelare le esigenze fondamentali di ciascun Stato e così la sovranità popolare.

Facile l’obiezione che è illusorio contrapporre la civiltà alla forza, la quale illusorietà deriva dal periodo successivo alla seconda guerra mondiale in cui si pensava che l’Illuminismo sarebbe passato da una fase di sua rilevanza solo in materia di conoscenza ad una di rilevanza anche in termini di prassi e di politica.

E’ facile la replica che non si tratta di restare all’interno di un mondo, l’Occidente, con all’interno due modelli, nel caso la forza avrebbe il ruolo oggettivamente preponderante. All’esatto contrario, la rottura dei vecchi equilibri determinerebbe uno scenario alternativo in cui le alleanze sarebbero mobili e variabili. Non si tratta neppure di dimenticare l’asse privilegiato dell’Europa con l’America (Angelo Panebianco), in quanto il discorso è ben più complesso ed investe un nuovo assetto globale in cui la tutela da tentativi egemonici consentirebbe di condizionare qualsivoglia asse al rispetto della  sovranità nazionale. E l’ulteriore obiezione che gli avversari dell’America hanno mire egemoniche ben più temibili è facilmente confutabile con la replica che in tal caso sarebbe l’America ad abbassare forzatamente le pretese per non essere isolata.

Due osservazioni per chiudere.

E’ necessario, per entrare nell’ottica qui proposta, abbandonare due pregiudizi.

In primo luogo, la visione qui proposta  non si inserisce nella pretesa tipicamente leninista e poi terzomondista, che ha rinverdito recentemente i propri fasti, di proporre l’attacco al capitalismo indirizzandosi  contro gli anelli del sistema e comunque utilizzando tali anelli deboli: all’esatto contrario si tratta di organizzare la parte debole dell’Occidente, non come contrapposizione alla parte forte, ma per effettuare quello sforzo di razionalizzazione necessario al fine di introdurre regolamentazione e programmazione nel “caos” del capitale finanziario, collocandosi quindi in un’ottica –tipicamente marxiana- di fuoriuscita dal sistema attaccando gli anelli forti.

In secondo luogo, la visione qui proposta richiede una riorganizzazione profonda dell’Europa, costringendo la parte forte di questa a cambiare radicalmente approccio al fine di non trovarsi isolata nei mercati e nei rapporti internazionali.

Ma non per questo si resterebbe nella retorica, vuota ed effimera, di un’Europa diversa, come se quella attuale consentisse un evoluzione virtuosa, in un’ottica così di evoluzione da quella stessa attuale: all’esatto contrario, si tratta di proporre un’Europa che si ponga in totale rottura con quella attuale medesima, senza più lesione delle sovranità interne -da coordinare solo, in un’ottica di programmazione economica pubblica-  e con scioglimento dell’alleanza con l’America.

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