L’EPINAY REALE E QUELLA IMMAGINARIA di Alberto Benzoni del 3 marzo 2021
03 marzo 2021
Commentando
il mio post sulle parole tossiche, un mio carissimo amico, pur apprezzandolo,
mi ha detto che, come al solito, avevo scritto troppo; mentre, a chiarirne il
senso, bastavano le ultime righe.
D’accordo.
Tanto che, tornando qui sull’argomento, dico subito che “riformismo/riformista”
è, per i suoi zeloti, come una specie di oppio dei popoli; con l’aggravante che
quest’oppio ce lo produciamo da soli e a nostro uso personale.
Nel
nostro caso la produzione funziona nei due sensi. Da una parte, a “riproporre”
un disegno politico totalmente fuori dalla nostra portata. Dall’altra, a
“battezzare” come tale un proposta che va nel senso totalmente opposto
all’originale.
Nel
primo caso, va ricordato che Epinay è stato il passaggio centrale di un
processo. Ai suoi inizi, i ripetuti traumi - adesione alla guerra d’Algeria,
divisione netta sulla interpretazione da dare al ritorno di De Gaulle,
scissioni, fallimento del progetto riformista e terza forzista (sponsorizzato,
non a caso, dai corrispondenti francesi del gruppo Espresso/ Repubblica). Nel
suo svolgimento: un Mitterrand, riconosciuto formalmente come federatore di
tutta la sinistra di orientamento socialista. Nel suo passaggio essenziale (e
tra l’altro, più difficile) l’alleanza destra-sinistra che, vincendo il
congresso (e di misura) porta lo stesso Mitterrand alla direzione della vecchia
Sfio, d’ora in poi Psf, modificandone nome e natura: meno passato e più futuro,
più internazionalismo, meno laicismo e più socialismo e insieme, una nuova
offerta al mondo cattolico rimasto privo di rappresentanza politica; e, infine,
una decisa collocazione all’opposizione nell’area della sinistra in concorrenza
con il Pcf. Da allora, l’inizio di un nuovo percorso di successi, in
particolare con il contributo decisivo del cattolicesimo democratico, da tempo
privo di una sua rappresentanza politica.
Un
elenco di fattori favorevoli forse troppo lungo. A dimostrazione del fatto che
di loro non è rimasta, almeno qui da noi, la minima traccia. Ciò che rende
“mission impossible” non solo l’arrivo a, ma anche la partenza per Epinay.
D’altro
canto, però, parlare di una “Epinay riformista” non è un’illusione ma un puro e
semplice inganno o, peggio, una falsificazione, magari anche inconsapevole e a
tutto danno nostro - e questo non va bene - ma anche dell’idea socialista che
dobbiamo preservare e consegnare alle generazioni future - e questo è
imperdonabile.
Ancora
una volta si ricorre all’aggettivo multiuso. Ma questa volta non solo per
attenuare il significato del sostantivo socialismo. Ma per gettarlo, come
diceva Trotsky, nella pattumiera della storia. O, più banalmente, per gettare
nel guardaroba un vecchio e inutile distintivo così da entrare, da
autoinvitati, in un nuovo mondo, popolato da personaggi inconsistenti, senza
nessun rapporto con il mondo reale e uniti solo dal conformismo intellettuale e
dall’antipatia viscerale per il socialismo e la sinistra.
Un
suicidio. E senza alcun disegno politico. Ma per la vocazione permanente a
cibarsi di parole vuote condite con la capacità infinita di ingannare non gli
altri ma se stessi.
Che
vergogna. Anzi, che tristezza.