L’EGUALITARISMO E I SUOI NEMICI di Alberto Angeli
07 giugno 2019
Proviamo a ragionare sul significato del sostantivo: diseguaglianza, dato che alcuni, anche tra gli economisti e studiosi che più si spendono su questo terreno, propendono per una tesi che respinge l’idea che sia dovuta alla ricchezza o ai redditi, sostenendo invece che sia dovuta al livello dei consumi. Un argomento che ha in sé una certa suggestione, se però ci obblighiamo a non valutare il fatto rilevante che una buona quota della popolazione si indebita per sostenere i propri consumi, altrimenti miseri. Evidentemente, questa tesi dei nemici dell’egualitarismo ha il sostegno strategico di coloro che militano nell’area politica liberal/globalista e che avversano l’idea dell’egualitarismo ( dottrina politico-sociale tendente a realizzare un'uguaglianza di fatto, fondata sull'equa ripartizione dei beni e delle ricchezze tra tutti i membri della collettività). E’ da parte di questi rianimati portatori di un’idea liberista e globalista del mercato che si è aperta una contestazione al brillante saggio di Piketty ( Il capitale del XXI secolo ), indicato come il nemico della diseguaglianza. La loro tesi teorico/politica ha avvertito e incrociato i cambiamenti politici intervenuti negli Usa, con l’elezione di Donald Trump, in Inghilterra con la brexit, la crescita dei populismo/sovranista in Europa e il governo Giallo/verde in Italia.
Non si deve ritenere banale quanto scritto di Piketty nel saggio ricordato e in cui, mediante un’enormità di dati ed elaborazioni, che costituiscono il contrafforte dell’edificio su cui ha costruito la sua tesi contro la diseguaflianza si dimostra affatto strumentale. Di fronte quindi alla tenuta della tesi esposta da Piketty, l’attacco di coloro che ne disconoscono la fondatezza non sembra a tutt’oggi trovare una sostenuta e valida affermazione teorica, dimostrandosi caso mai debole ed inefficace sul piano sociale. Ma essendo la furbizia un’antagonista della malizia si è affacciata una tesi più subdola e raffinata, verso la quale si coglie un certo interesse da parte di quella scuola di pensiero di cui i conservatori e la destra economica sono maestri: avere tolleranza verso le pretese teoriche di chi sostiene che la diseguaglianza sociale è originata dal modello capitalistico/consumistico dominante a da una ingiustizia nella redistribuzione della ricchezza.
Quella della tolleranza delle diseguaglianze e delle azioni volte a mitigarne le conseguenze, si palesa come una strategia che la politica della destra e della borghesia conservatrice ha elaborato con astuzia e determinazione per depotenziare i rischi di una ribellione di popolo contro di essa.
Si tratta, a ben comprendere, di una singolare forma di tolleranza la quale, in realtà, è già piuttosto radicata anche nel nostro paese, specificamente con i provvedimenti del governo giallo/verde e i cui meccanismi possono rivelarsi distruttivi per la tenuta del sistema economico e sociale. Infatti, questa strategia della tolleranza, che si sostanzia nella concessione di assistenza economica e di facilitazioni previdenziali, accrescendo il debito pubblico, senza condurre una vera battaglia contro la diseguaglianza e quindi per una giustizia redistributiva della ricchezza, dei diritti e delle opportunità sociali, costituisce un servizio reso al disegno di costruire una società diseguale ma serena.
Ricomponiamo il discorso: Piketty è considerato un temibile nemico della diseguaglianza e i suoi detrattori cercano con ogni mezzo teorico di contrastarne il percorso e le conclusioni teoriche. Ma tra i suoi detrattori non possiamo collocare Varoufakis, nonostante sia intervenuto spesso su questo tema con articoli e saggi, il quale contesta a Piketty l’idea di superare il dilemma della diseguaglianza con l’introduzione di una imposta globale sulla ricchezza. La contrarietà di Varoufakis su questa proposta non verte certo sulla buona intenzione del proponente, ma sul fatto che pur essendoci molti poveri di reddito e molti tra di essi dispongono di piccole ricchezze per cui, tassare queste ultime, vuol dire generare disagi enormi a un segmento debole della popolazione che finirà per ribellarsi e dare linfa all’antiegualitarismo paventato da Varoufakis. Quindi il tema della diseguaglianza ha una forte natura divisiva anche a sinistra poiché permane il difetto di essere astratto e di non tenere conto dei meccanismi attraverso i quali la disuguaglianza concretamente si produce. E tuttavia i due autori, nonostante la diversa interpretazione della natura e degli strumenti a cui ricorrere per superare la diseguaglianza, rimangono uniti nella considerazione che essa sia un male del capitalismo e della globalizzazione contro cui è indispensabile organizzare le opportune difese.
E nel nostro paese? Presto il governo giallo/verde dovrà confrontarsi con l’Europa, ma soprattutto con la finanziaria del 2020 e chiudere quella del 2019, che registrerà un deficit di bilancio che sforerà ogni indicatore e segnerà un aumento del debito. Le voci, per applicare una tassa sulla ricchezza degli italiani, si fanno molto insistenti, anche se i due capi del governo si affannano a giurare che non sarà così. Ma alla prova dei fatti siamo già molto avanti con l’aumento delle tasse e la politica sociale messa in campo non ha per nulla avviato un superamento delle diseguaglianze, che permangono in tutta la loro brutalità. Quindi, un fallimento completo.
Ora usiamo il sostantivo: Sinistra. Un richiamo ineludibile se vogliamo costruire una credibile alternativa. Epperò nelle condizioni attuali, di divisione, per la sinistra resta una impresa costruire un’alternativa. Eppure, occorre fermare questo governo, è urgente. Questo comporta che la sinistra e le forze progressiste, ecologiste si accordino su un programma minimo e a definire una loro strategia e renderla aperta e sostenibile, rafforzandola con il coinvolgimento del mondo del lavoro, dei giovani, dei pensionati, degli esclusi. Quindi, di nuovo, il sostantivo: Sinistra, è quello di cui sentiamo l’assenza, l’indispensabile necessità politica per costruire un’alternativa, un lavoro che deve essere compiuto in fretta, per non trovarci alle porte con la crisi, impreparati a dare una nostra proposta al Paese. Sarebbe imperdonabile!
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