L’ASSESSORE DIMENTICATO. STORIA DELL’ASSESSORE E TEORICO MILANESE ALESSANDRO SCHIAVI di Walter Marossi da ArcipelagoMilano.org del 9 giugno 2020

09 giugno 2020

L’ASSESSORE DIMENTICATO. STORIA DELL’ASSESSORE E TEORICO MILANESE ALESSANDRO SCHIAVI di Walter Marossi da ArcipelagoMilano.org del 9 giugno 2020

Assessore, teorico dell’amministrazione, presidente dell’Ospedale Maggiore, frequentatore del circolo Kuliscioff e molto, molto altro: la storia (quasi) dimenticata di Alessandro Schiavi, antico assessore milanese.

Era uso tra gli amministratori comunali milanesi produrre periodicamente un rendiconto delle attività svolte, sia ad opera dell’amministrazione in generale sia dei singoli assessorati. In un opuscolo di più di un secolo fa dedicato al rendiconto dei primi 14 mesi di gestione del Comune di Milano, dopo le elezioni del 1914, leggiamo domande e osservazioni ancor oggi attuali:

“… parve a certo semplicismo, non ancora debellato anche nelle nostre file, si parasse davanti il triste dilemma: o abbandonare il programma per serbare le posizioni o abbandonare queste ultime per fedeltà platonica a quello…. rinnegare il programma per le difficoltà spaventosamente cresciute sarebbe stata fellonia; ma fellonia anche maggiore disertare nell’ora della fatale il posto di battaglia…il sobrio resoconto posto a raffronto con il programma iniziale dirà certo delle lacune e dei differimenti inevitabili, ma dirà anche la consonanza perfetta dell’azione alle promesse nel periodo già breve…vana è la protesta senza l’azione, più vana la contemplazione estatica della meta promessa senza il conato (azione diretta a conseguire un obiettivo difficile, il cui esito non è scontato ndr) quotidiano per accostarla.”

Avvicinandosi le elezioni comunali varrebbe la pena riprendere questa tradizione, in particolare per gli assessori. Fatto salvo quelli che sono diventati sindaci: Barinetti (1903/1904), Bassano Gabba (1909/1910), Emanuele Greppi (1913/1914), Caldara (1914/1920), Filippetti(1920/1922), Ferrari (1951/1961), Cassinis (1961/1964), Aniasi (1967/76),Tognoli (1976/1986), Pillitteri (1986/1992), la città ha infatti avuto assessori di grande nome che non necessariamente hanno lasciato grande traccia e assessori che andrebbero ricordati e che hanno segnato indelebilmente la storia della città di cui si è persa memoria.

Tra i dimenticati di peso Alessandro Schiavi, che per più di vent’anni fu amministratore della città e teorico della sua amministrazione, e per altri vent’anni nel secondo dopoguerra fu animatore e teorico di un Europa unita a dimensione glocale.

Nato a Cesenatico nel 1872, nel 1896 già schedato come sovversivo, partecipò, ai lavori della II Internazionale, venendo poi assunto alla redazione esteri dell’Avanti! Da allora fu uno dei socialisti a maggior connotato internazionalista entrando in corrispondenza con i leader della socialdemocrazia tedesca: Karl Kautsky, Eduard Bernstein, il belga Emile Vinck, il francese Edgard Milhaud, esponente di rilievo del riformismo municipale europeo che ritroverà negli anni 50 e collaborando a diverse testate europee e nazionali; come ha scritto Maurizio Ridolfi “… da questo momento tutta la biografia politica e culturale di Schiavi si svolge all’insegna di un interscambio continuo tra “provincia” e continente, tra il pragmatismo sociale e il solidarismo etico acquisiti negli anni della formazione e circolazione di idee fra i riformatori di sinistra europei“.

Arriva a Milano nel 1903 e viene assunto come direttore dell’Ufficio del lavoro della Società Umanitaria subentrando a Giovanni Montemartini, qui “istituì una cassa mutua per i disoccupati, avviò una scuola pratica di legislazione sociale e un ufficio di consulenza medico-legale per i lavoratori e promovendo inoltre studi e inchieste sulle condizioni della classe operaia milanese”. Le inchieste sul mondo del lavoro che oggi appaiono scontate al tempo costituivano uno strumento quasi rivoluzionario.

Sono gli anni in cui la Società Umanitaria realizzò le abitazioni popolari di Via Solari e nel quartiere alle Rottole. Schiavi ne è il teorico: pubblica infatti con Zanichelli Le case a buon mercato e le città giardino, uno dei manuali di edilizia popolare più diffusi di quegli anni nel quale sosteneva una sintesi tra l’opportunità di costruire quartieri popolari di impianto estensivo, adottando un “sistema della casetta”, direttamente ispirato al modello inglese della garden city elaborato da Ebenezer Howard e al modello francese “Societè des habitations à bon marchè”.

Schiavi ha una visione idilliaca delle città-giardino operaie, una sorta di città ideale in cui le considerazioni estetiche e politiche hanno ragione su quelle economiche, ma questo ideale cerca di realizzarlo concretamente e in parte vi riesce. Schiavi così descrisse il suo lavoro: “Questa è una delle caratteristiche dell’Umanitaria, di essere stata il laboratorio sociale in cui si sono saggiati, in un ambito prima ristretto e poi via via sempre più largo, esperimenti di istituti di presidio della classe lavoratrice, che poi lo Stato ha fatto proprio ed estesi a tutta l’Italia, o che altri Enti para statali proseguirono su più vasta scala”

Nel 1910 diventa direttore dell’Istituto autonomo case popolari vincendo un concorso e come scrive Landoni: “lo IACP non mancò di caratterizzare la propria presenza con iniziative immediate, la prima delle quali fu la costruzione di un nuovo quartiere, il Lulli, realizzato tra il 1909 ed il 1910. Nel triennio successivo si procedette invece all’ampliamento dello Spaventa ed alla definitiva consegna ai nuovi inquilini degli stabili edificati nei quartieri Lombardia, Cialdini e Niguarda, formati da grandi fabbricati a cortile chiuso, disposti su quattro lati e composti da sette unità: sei edifici da 4-5 piani ed uno comprensivo di tre villette plurifamiliari. La soluzione abitativa caratteristica di questa prima fase di attività dell’Istituto fu il monolocale con servizi, in grado di soddisfare la domanda prevalente, che proveniva soprattutto da lavoratori a basso reddito e in molti casi privi di un loro nucleo familiare. Nei confronti di questa classe sociale fu decisa l’applicazione di un canone di locazione, che, nel rispetto del paradigma inglese, non doveva superare il 18% del salario medio operaio”.

Membro del direttivo della sezione socialista, viene candidato e scrive parte del programma, alle elezioni del 1908, che accoglieva l’idea (come scrive Punzo di chiara origine fabiana), che ai socialisti spettasse il compito di assumere la difesa dei lavoratori in quanto consumatori. Svolge anche una concreta attività militante, sia attraverso scritti – pubblica infatti Come hanno votato gli elettori italiani – sia intervenendo direttamente: toccò a lui presiedere e regolamentare il voto nell’assemblea della sezione socialista che decise l’espulsione di Mussolini dal partito, che non gliela perdonerà mai.

La scena è descritta così da Paolo Valera: “Mussolini è uscito dalla assemblea con la faccia pallidissima, tremante di collera, mettendosi l’indice in bocca. Pareva dicesse: ci vedremo! Egli è corso in stamperia, in via Paolo da Cannobio, e con la testa incendiata si è messo senza indugio a scrivere il suo commento. “Espulso? Se io volessi fare una questione di procedura, avrei diritto di mettere in dubbio la legittimità del voto, chiedere anzi se un voto, vero e proprio, ci sia stato, dato il modo col quale la discussione è proceduta dal principio alla fine, diretta in un modo sfacciatamente parziale, dall’assessore Schiavi. Ma io accetto il fatto compiuto. Mi ritengo espulso. La storia del socialismo italiano non ha nelle sue pagine, più o meno gloriose, una esecuzione più sommaria, più inquisitoriale, più bestiale di quella che mi ha colpito. De Marinis, Bissolati e gli altri subirono la pena capitale nel grande dibattito di congresso e fu concesso loro amplissimo il diritto di difesa e l’accusa fu portata alla tribuna, documentata, esauriente. Per me, no. Si è fatto il processo per direttissima”.

Nel 1914 entrò come assessore al Lavoro nella giunta guidata da Emilio Caldara, la sua elezione venne contestata dalle destre e dopo un lungo contenzioso venne dichiarato incompatibile ma il sindaco per non privarsene assunse l’interim dell’assessorato e lo nominò “consulente” anche se partecipava alle giunte. In pratica resterà assessore per 8 anni.

A tutti gli effetti Schiavi fu il principale teorico e sperimentatore, la Treccani lo definisce intellettuale-tecnico, del municipalismo socialista milanese o del riformismo municipale se non si vuol citare il socialismo, che nelle intenzioni dei riformisti doveva ispirare tutto il paese; in un articolo su Quattro anni di amministrazione socialista a Milano (altro rendiconto) pubblicato nell’estate del 1918 sulla “Critica Sociale”, scrisse: “Ora, come il comune rappresenta una fase più evoluta e superiore di capitalismo pubblico, in confronto al capitalismo privato, così le maestranze da esso dipendenti debbono essere messe in grado di sentire più vivi i doveri e i compiti di classe, perfezionando i loro metodo di lavoro, educandosi a gestire le aziende a cui sono addette, senza bisogno d’allettamento di partecipazione agli utili, servendo di esempio agli operai dell’industria libera e per le condizioni di lavoro e di vita raggiunta e per la qualità e le abilità individuali e collettive acquistate.

Il 4 aprile 1917, nel pieno dell’emergenza bellica, diviene presidente dell’Ospedale Maggiore, carica che ricoprirà fino al 1921. Sarà lui a definire, scusate se è poco, l’acquisizione di un “terreno in fregio alla strada Valassina a nord della Villa Lonati per la costruzione di nuovi padiglioni ospedalieri”, cioè Niguarda. La sua direzione sarà peraltro contestatissima perchè verrà denunciato dai medici dell’ospedale e ne verrà chiesta la decadenza, in quanto pacifista e quindi traditore; in effetti il 3 luglio 1917 verrà processato per il reato di istigazione a delinquere in relazione alla diffusione clandestina dei manifesti della conferenza di Zimmerwald e del convegno di Kienthal.

Sempre in quegli anni viene nominato presidente dell’Istituto dei Ciechi, dell’associazione Alleanza Cooperativa e dell’Università popolare. Sua fu anche la definizione delle politiche comunali in materia annonaria con la costituzione dell’Azienda consorziale dei consumi.

Pilastro del riformismo turatiano milanese, praticamente frequentava quotidianamente il salotto Kuliscioff, in Portici Galleria Vittorio Emanuele 23; si distaccò dal maestro cercando una difficile alleanza con i massimalisti in occasione della elezione di Filippetti a sindaco, nella cui giunta fu assessore all’Edilizia e ai lavori pubblici, fino allo scioglimento deciso dal governo Facta nell’agosto del 1922 e per questo rifiutò l’offerta di nomina a direttore generale del inistero del Lavoro fattagli da Arturo Labriola.

Un po’ grafomane, oltre che all’Avanti! collaborò con: il “Tempo” di Treves, “Battaglia proletaria”, “La lettura”, “La Cooperazione”, “l’Azione cooperativa”, il “Bollettino delle Biblioteche popolari notevole una sua inchiesta sui libri più letti, “Il Miglioramento”, “Il Proletariato”, “Il Viandante”, “Quarto Stato” la rivista fondata da Carlo Rosselli e Pietro Nenni, e financo a “Redenzione” un giornale antialcolista, (sic). Nel 1924 con Rosselli, Levi, Sraffa ed altri tenta di fondare un Istituto di studi intitolato a Matteotti, ma non gli è consentito.

Tutti incarichi da cui fu “dimesso dai fascisti” vuoi per scioglimento dei consigli, degli enti, per decisioni prefettizie o per dimissioni forzate.

Chi volesse misurare la modernità delle intuizioni di Schiavi non ha che da leggersi l’articolo che scrisse sulla prima autostrada italiana e mondiale – l’A8 o Autostrada dei Laghi -, come scrive Fabrizio Bottini: “Quello che Alessandro Schiavi aveva capito (e spiegato in un bell’articolo intitolato Autostrade e Urbanesimo) era che il governo del territorio non doveva cedere il passo senza combattere, a questa nuova infrastruttura, che altrimenti si sarebbe mangiata città, paesi, intere regioni, in un solo boccone. La stessa cosa, a modo loro naturalmente, l’avevano capita anche i proponenti dell’autostrada, iniziando a comprare terreni nei comuni interessati, e ad aspettare che si rivalutassero”.

Con il fascismo imperante decide di lasciare Milano e torna a Forlì, dove si dedica ad un lavoro di traduzione, studio e ricerca con la casa editrice Laterza e Benedetto Croce, che gli consentirà tra l’altro di salvare il carteggio sterminato di Turati/Kuliscioff. Nel secondo dopoguerra è consultore nazionale e, facendo parte del gruppo di Critica Sociale di Faravelli, segue Saragat. Nel 1948 venne nominato vicepresidente della Banca nazionale del lavoro. Fu poi senatore e vicepresidente della Ceca dal 1954 al 1957, presidente dell’associazione nazionale IAPC ma soprattutto, recuperando l’esperienza degli anni 20, diede vita al Consiglio dei Comuni d’Europa, associazione sovranazionale nata per la difesa delle libertà locali e la promozione dell’unità europea a partire dai gangli vitali della vita politica e sociale delle nazioni: i Comuni democratici.

Prima ancora che per una federazione di Stati, Schiavi lotta per una federazione di comunità locali, un glocal ante litteram. Tra molti cambiamenti e aggiornamenti l’associazione esiste ancora oggi. Morì a Forlì il 17 maggio 1965.

Insomma una parte di questa città è anche il frutto del lavoro e delle teorizzazioni di quest’uomo a cui non è stata dedicata neanche lo straccio di una piazzuola o di un vicolo. Suggerisco quindi agli attuali assessori di prepararsi per tempo a salvaguardare il loro ricordo.

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